“La rivoluzione è sempre egoista” – Intervista a Marta Savina, regista di Primadonna
“Primadonna” è la storia di Franca Viola. Ma anche no. La storia di Franca Viola, quella vera, la conosciamo: grazie a lei, la prima a ribellarsi alla barbara usanza di obbligare le donne italiane a sposare i loro stupratori, per “riparare l’onore”, fu cambiata la legge. Dopo di lei, gli stupratori non poterono più salvarsi dalla galera offrendosi di sposare la vittima, come ci si offre di pagare un oggetto dopo averlo rotto. Su di lei si è detto molto e anche Marta Savina, la regista di questo film, le aveva già dedicato un corto. “Primadonna”, però, è un film diverso, perché racconta quella storia, ma racconta una storia. Perché Lia, la protagonista, è Franca, ma non lo è.
Ci immergiamo in una Sicilia degli anni ’60, ignara della rivoluzione di costumi che stava svolgendosi in altre parti d’Italia, e scopriamo una giovane donna, di fatto un’adolescente, che scopre di voler avere una voce, in una società che non è programmata per ascoltarla. È una storia di persone che vanno contro le regole senza proclami, ma certo non in silenzio. È un film profondamente siciliano, ma al tempo stesso universale, un film che si capisce se si conosce il sud, ma che arriva lo stesso anche a chi non lo conosce, perché la dicotomia fra libertà e oppressione è la stessa in qualsiasi lingua. E proprio di questo, di libertà e oppressione, di tiranni e di rivoluzione, ho parlato con la regista. “Primadonna” sarà proiettato a Berlino, nel corso della rassegna Femminile, Plurale, l’11 luglio alla Freiluftkino Insel. I biglietti sono disponibili qui.
AF: Da che cosa è nata l’esigenza di raccontare ancora una volta la storia di Franca Viola, alla quale avevi già dedicato un corto?
MS: In primis, proprio deriva dalla dalla voglia di raccontare una storia che per me andava oltre quella di Franca Viola che avevo già raccontato nel corto. Nel corso del tempo, infatti, mi sono resa conto che, purtroppo, si tratta di cose che sono successe a molte donne, anche ad alcune donne della mia famiglia, visto che mio padre è siciliano. Volevo andare dal corto, che aveva lo scopo di raccontare una una biografia, verso un territorio più libero, che potesse diventare un racconto, spero, universale. Volevo scavalcando i confini del genere della “biopic”, infatti mi sono mi sono presa molte libertà nel raccontare la storia, che alla fine non era più la storia di Franca Viola, ma aveva un respiro un po più ampio.
AF: Andando a scorrere la tua filmografia, non ho potuto fare a meno di notare che però questa storia è stata raccontata due volte con la stessa attrice, Claudia Gusmano. In che modo il vostro lavoro insieme si è evoluto, per presentare questa narrazione in due modi, uno più biografico nel corto e l’altro più universale in “Primadonna”?
MS: Noi abbiamo proprio parlato tanto di come creare un personaggio diverso, anche perché io, ovviamente, avevo scritto due personaggi distinti. Con Lia ci siamo svincolate da qualsiasi necessità di aderire alle caratteristiche di una persona esistente, ci siamo completamente immaginate una ragazza che viveva in una Sicilia abbastanza rurale, negli anni ’60. In realtà è stato sorprendente anche per me: all’inizio pensavo, lavorando di nuovo con lei, di poter costruire su una sorta di bagaglio, di lavoro pregresso, mentre invece, alla fine, abbiamo spazzato via tutto, siamo ripartite, abbiamo detto “ri-immaginiamoci da zero, questa Lia non è franca e quindi la dobbiamo ricostruire da capo”. Abbiamo proprio impostato un lavoro completamente diverso, molto incentrato sul rapporto coi familiari in particolar modo con la madre. Abbiamo lavorato tanto anche con Manuela Ventura, che è la bravissima attrice che interpreta la mamma di Lia, Sara. Il personaggio è nato da questi rapporti che stavamo creando noi, con tanto lavoro di improvvisazione anche durante le prove. Ovviamente, un altro rapporto importantissimo è quello che lei ha col padre, interpretato da Fabrizio Ferraro. Abbiamo tessuto una rete fra i personaggi.
AF: Parliamo di Lia, che mi sembra un personaggio pieno di contenuti ma di pochissime parole, nel senso che raramente ci fa sapere apertamente quello che pensa. Per esempio, nella scena del famoso “pranzo”, si arriva quasi a pensare che lei possa non dire niente, non ribellarsi. Come avete immaginato il suo mondo interiore, che si percepisce essere enorme al di là delle poche parole che dice?
MS: Ti ringrazio perché per questa domanda, perché è molto interessante! Noi abbiamo lavorato pensando che, culturalmente, negli anni 60 ma anche adesso, è molto difficile, per le donne, non tanto esprimersi, quanto trovare lo spazio per potersi esprimere, che è una cosa completamente diversa. In quella scena, per esempio, Claudia è stata molto brava a creare questa tensione, a rendere l’idea di questo attrito che si crea, quando dentro hai tante cose da dire ma non ti danno lo spazio, l’ascolto, la possibilità di tirarle fuori. Questo è stato un primissimo livello di pensiero e di lavoro, ma poi c’è un altro elemento da considerare. Io, forse perché mi sono formata per lo più in ambienti anglofoni, ho una sorta di resistenza verso l’italiano, che trovo una lingua difficile difficile, per per quelli che fanno il nostro lavoro, perché è molto verbosa. E infatti, al cinema spesso si tende anche a usare una lingua che io credo non corrisponda molto all’italiano reale, che è una delle motivazioni per cui il film è in dialetto siciliano. A un certo punto c’è stata una revisione, in cui io ho cominciato a tagliare le battute, una dopo l’altra, perché mi sembravano tutte molto superflue o comunque contenevano concetti che si potevano invece in immagini, in intenzioni, lavorando con gli attori e questo, creativamente, mi gratificava di più.
AF: Dicevi che la tua formazione è molto più internazionale che italiana, però questo è un film nel quale si percepisce comunque una conoscenza profonda dei meccanismi del sud. Al di là dell’uso della lingua nel cinema, qual è il tuo rapporto con l’Italia in questo momento, come elemento elemento narrativo oltre che come Paese d’origine?
MS: Io ho un rapporto conflittuale molto conflittuale con l’Italia, da sempre, ma ho anche un rapporto di amore intenso per il sud di tutto il mondo, in generale. Sono nata a Firenze, però non non mi sono mai sentita Fiorentina, perché i miei genitori non lo sono. Quando mi sposto a nord di Firenze, mi sento sempre in equilibrio molto precario, ho un baricentro che mi tira molto verso il sud di tutti di tutti i Paesi, in modo indiscriminato. Quindi, per me, la Sicilia è una casa in Italia, nel senso che dall’Italia io sono scappata, ci sono tornata solo per fare questo film, in Sicilia. Il mondo siciliano che io ho conosciuto per familiarità, perché fa parte della mia famiglia, è sempre stato un catalizzatore delle mie idee, del mio interesse. Infatti, anche adesso, i progetti nuovi che sto sviluppando comunque sono sempre ambientati in Sicilia o comunque sono storie siciliane. Credo che quello che mi affascina sia il fatto che la Sicilia è una terra di grandi contrasti: c’è questo grandissimo conflitto intrinseco alla terra, c’è la montagna, il vulcano e c’è il mare, ci sono gli eroi, come Falcone e Borsellino, ma ci sono anche i mostri, come Matteo Messina Denaro. Quindi, in questo spazio di mezzo, mi sembra che si possa trovare tanta creatività e c’è lo spazio per raccontare tantissime storie.
AF: In passato, parlando di questa storia, hai definito la ribellione di Franca Viola – che poi è anche quella di Lia in “Primadonn” -una ribellione “egoistica”, che però poi serve a cambiare le cose a livello collettivo. Secondo te può esistere una “rivoluzione egoista”?
MS: Secondo me, la rivoluzione può essere solo egoista, perché la rivoluzione va contro. Contro qualche diritto che ti stanno togliendo, contro delle imposizioni che stai subendo. Quindi, il motore che spinge la rivoluzione è sempre egoista e secondo me è sano che lo sia. Poi, come risultato, avremo anche una coscienza pubblica, una coscienza di gruppo, come società. E purtroppo credo che si stia un po affievolendo questa coscienza, così come la voglia di fare rivoluzioni. Queste due cose, per me, vanno di pari passo, soprattutto per quanto riguarda i diritti delle minoranze e parlo sia della condizione femminile sia di qualsiasi altra fascia della popolazione che venga marginalizzata. Si parte da una spinta egoistica, che è una forma di amor proprio, non di rancore – e, secondo me, questa è una differenza importante.
AF: Certamente! Specie se consideriamo che il caso di Franca Viola, che è degli anni 60, fece cambiare la legge sul matrimonio riparatore, ma in Italia, comunque, lo stupro è diventato reato contro la persona solo nel 1996. Secondo te, questa serie di rivoluzioni e di lotte, che siano egoiste o meno, in che direzione sta andando, in Italia e nel mondo? Questo è un tempo per avere speranza o per avere paura?
MS: È interessante che tu usi la parola paura, perché il mio lavoro mi ha insegnato che con la paura non si riesce a fare niente. Quando arrivi sul set, il primo giorno, è elettrizzante, ma sei anche terrorizzato, perché davanti a te ci sono 30, 40, 60 persone che aspettano che tu dica loro cosa fare. E ogni minuto che passa ha dei costi. E, con la paura, non riesci a fare niente. Il momento che viviamo, sicuramente, è preoccupante, ma io credo che l’essere umano, nella storia, abbia affrontato numerosi cicli e che, finché il genere umano esisterà, continueremo ad affrontare cicli preoccupanti. Però, se siamo ancora qui, vuol dire che qualche sistema per sopraffare la violenza, l’arroganza, la stupidità e la grettezza l’abbiamo trovato. Volendo fare una citazione, potrei dire che “fino a che gli uomini moriranno vuol dire che moriranno anche i tiranni” e quindi la libertà trionferà sempre. Io ci credo e continuerò a crederci.
AF: Dopotutto, è lo stesso principio della frase di Falcone che dà speranza nella lotta alla mafia, quando diceva che è un fenomeno umano e, come tutti i fenomeni umani, ha avuto un inizio e avrà una fine.
MS: Assolutamente! E infatti credo che, per quanto a carissimo prezzo, come nel suo caso, le cose rispetto anche solo a 35 anni fa siano molto cambiate. Credo sia un inganno quello di chi vuole farci credere che si debba perdere la speranza. Mai perdere la speranza.
AD: Un punto di vista opposto a quello di Mario Monicelli.
MS: [Ride] Però la bellezza dell’arte, del cinema è questa: abbiamo tutti dei punti di vista diversi e a volte anche opposti, ma sono tutti giusti e tutti sbagliati. E io credo che questa sia una grande ricchezza, che dobbiamo coltivare e mantenere.