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“La Bella Estate” – il racconto di una gioventù senza tempo. Intervista a Laura Luchetti

Il film che chiuderà la seconda edizione della rassegna “Femminile, Plurale”, a Berlino, sarà “La Bella Estate”, di Laura Luchetti. Il film è un adattamento della novella omonima di Cesare Pavese ed è la storia di un tumulto adolescenziale, vissuto nella Torino degli anni ’30. La giovane Ginia, che in città è arrivata dalla campagna e vive con il fratello Severino, scopre un mondo ignoto, quello di una bohéme di pittori e artisti, che vivono secondo regole molto diverse da quelle della rigida morale dell’epoca. Verso questo mondo, Ginia si sente attratta principalmente perché folgorata da Amelia, una bellezza che appare molto più “aggressiva” rispetto alla garbata femminilità di Ginia.

Amelia posa nuda per i pittori, fuma, vive una libertà che per Ginia è ignota – ma ignoto è anche il prezzo di quella libertà. Tutta la storia ruota intorno al turbamento della protagonista, che vive nei confronti di Amelia un’attrazione amorosa che arriva a sconvolgere il suo intero universo. Il tutto è raccontato in modo quasi rarefatto, in un film sussurrato e non urlato, da un cast di attori giovanissimi, in qualche caso alla prima esperienza sul grande schermo. Ne abbiamo parlato con la regista Laura Luchetti, che sarà presente alla proiezione che si terrà il 12 luglio, alla Freiluftkino Insel, negli Atelier Gardens, alle 21.30.

La rassegna è organizzata da Cinecittà,  con il sostegno dell’Istituto Italiano di cultura di Berlino e missingFILMs. I biglietti sono disponibili qui.

La Bella Estate
Laura Luchetti. Foto di Fabrizio Cestari

AF : Cominciamo dalla domanda più ovvia che: cosa ti ha attratto a questo testo di Pavese? Perché hai deciso di adattarlo e come hai affrontato questo confronto autoriale con “La Bella Estate”?

LL:  Perché Pavese? Perché la sua scrittura, in tutte le sue novelle, ma soprattutto in questa, ha una grandissima universalità e quindi modernità. E poi per la bellezza del tema trattato, il tema della crescita, del riconoscersi, dell’avere il coraggio di essere sé stessi e, in questo caso, sé stesse. Perché Pavese scrive di una donna come una donna e scrive di un turbamento giovanile femminile. in questo caso, che non è dissimile da quello che può avere avuto mia nonna, mia madre, io o addirittura mia figlia. E un po’ ci vedevo mia figlia, che, nel giorno in cui io scrivevo le prime stesure – quindi parliamo già quattro o cinque anni fa – aveva più o meno l’età di Ginia. L’adattamento non è stato semplice,  è stata una decisione che ho affrontato con grandissimo amore verso l’autore, ma anche con grandissimo terrore. 

AF: Perché?

Perché Pavese è inavvicinabile ed è un grandissimo maestro e perché l’unico altro maestro che l’aveva adattato era Antonioni. Quindi era un doppio, un triplo salto mortale. Poi, l’amore per l’autore e per il racconto ha prevalso sulla sul terrore e quindi, con grande umiltà, ho cercato di mantenere fede alla filosofia pavese. Mi sono messa, piano piano, a scrivere il copione. I copioni hanno delle regole abbastanza ferree, rispetto alle novelle e, soprattutto ne “La Bella Estate”, Pavese si caratterizza per la grandissima atmosfera, per i tratti evocativi incredibili. È una novella estremamente visiva, ma con una trama molto fragile, mentre al cinema serve una trama più ferrea.

Yile Yara Vianello – Ginia

Quindi, il compito è stato trasformare e dare corpo a quello che è, prima di tutto, un racconto di pensiero in prima persona, il pensiero di questa ragazza. È stata un’avventura abbastanza complicata. Perché, alla fine della lettura, questa novella è una nuvola di sentimenti e di pensieri della protagonista. E al cinema, invece, ci vogliono delle strutture un po’ più blindate. La sceneggiatura deve avere una corposità, devono succedere delle cose. Quindi, mi sono presa delle libertà a livello di trama, ma non di sentimento né del pensiero di Pavese, che personalmente ammiro e sposo, e quindi non ho mai voluto tradirlo. 

AF: Hai già anticipato la mia prossima domanda, che si occupa proprio dell’atmosfera. In questo film, l’atmosfera, intesa come composizione delle scene, come fotografia, come insieme delle scelte visive e perfino come palette dei colori, è una componente, quasi un personaggio del film, importante tanto quanto i dialoghi e la storia. Si percepisce che c’è un progetto dietro, giusto?

LL (ride): Si percepisce la mia ossessione per i dettagli? 

AF: Sì, si percepisce ed è un valore aggiunto! 

LL: Io avevo un’immagine molto chiara di questo racconto, mentre lo leggevo, e quella palette è stata sempre la stessa, nella mia testa. C’è una decisione molto chiara sui colori che rappresentano questa storia, che è avvolta nella brina, come al mattino, quando iniziano le cose. E questo è l’inizio di una vita. C’è solo un personaggio che ha un colore primario, il rosso, ed è Amelia. E quel rosso c’è solo in un certo momento. E poi ci sono le sbavature dello smalto di Amelia, che non è poi così ricca e così “glam”. C’è il collo del cappotto di Guido, che è tutto rovinato, ci sono i fiorellini fatti a mano di Ginia per se stessa, per per dare un po’ di amore a quegli abiti molto semplici.

Deva Cassel – Amelia

Diciamo che le immagini, i colori erano quelli: il carta da zucchero, il tabacco, l’ocra. Per me era importante ricreare quel mondo un po’ inafferrabile, ma allo stesso tempo anche moderno. Ed è un mondo inafferrabile, perché è inafferrabile quel momento della vita, quando un attimo prima sei adolescente, ma il giorno dopo sei già diventato adulto. E perché, dentro a quel racconto, c’è anche una tematica importantissima di Pavese, che io sposo al 100%, che è presente anche negli altri racconti, nella sua filosofia e che è un concetto molto semplice, che a lui stava a cuore: la natura, la campagna ci salverà sempre e la città ci dannerà. Come potevo mettere quest’altro concetto all’interno di una storia che aveva già tanto da raccontare? E poi c’è il rapporto tra fratello e sorella, dove mi sono presa una grande libertà, ispirandomi a me, a mio fratello, perché mi piaceva raccontare della relazione di due fratelli, che si racconta troppo poco. Di come lui rappresenti il desiderio del ritorno alla campagna e lei no.

L’elemento naturale del film è anche preponderante, quindi, nell’immagine che io avevo di questa Torino. Immaginavo anche questo desiderio della protagonista di scappare nel bosco, nel parco. E poi ci sono gli animali: lo scoiattolo, lo scarafaggio, le formiche, ci sono tutti. Perché, quando il personaggio principale è in crisi, ritorna a quella natura dove sa che può trovare una una sicurezza. E avevo tantissime altre immagini di animali, perché poi, quando io giro, se si avvicina un animale io faccio muovere la cinepresa e mi metto a rincorrerlo. Tutto doveva far parte di un quadro urbano, di questa città meravigliosa che è Torino, per raccontare la spaccatura del mondo della protagonista, per raccontare la filosofia di base che c’è in tutti i racconti di Pavese.

Un’altra scelta molto importante che è stata fatta riguarda i costumi. Fin dal primo giorno ho chiesto alla costumista e allo scenografo di portarmi tutti gli elementi degli anni ’30 che noi utilizziamo inconsapevolmente, come le polo, gli zoccoli, un certo tipo di sedie o di pantaloni, affinché sì accorciasse la distanza fra lo schermo e un potenziale pubblico di giovani. Perché, alla fine, questa è una storia fatta da giovani per giovani, con attori giovanissimi. Non volevo creare un distacco fra lo spettatore e il “film in costume”. Quindi: niente “rossettoni”, niente gelatine. Questi ragazzi sono vestiti quasi come ci vestiamo noi. Per me era importante accorciare quella distanza e fare in modo che ci fossero dei momenti dove uno si potesse anche dimenticare che era un film in costume.

Yile Yara Vianello e Nicolas Maupas

Gli abiti che Ginia indossa al picnic, ce li ho anche io, ma non sapevo che fossero elementi del 1930. Ginia potrebbe essere tanto mia nonna quanto mia figlia. Si trattava di rendere tutto molto più semplice: niente gelatina nei capelli né rossetti troppo vistosi. Tranne che nel mondo degli artisti, nel bar degli artisti, dove le ragazze entrano e si vede subito che è un altro universo. Era un po’ come un film nel film. È come quando un ragazzo entra nel mondo adulto. C’è uno stacco tra come si veste, dove vive il ragazzo e dove vivono gli adulti che ce l’hanno fatta. Volevo che fosse la stessa cosa per lo spettatore del film. Lo spettatore giovane deve, in un certo senso, vedere quella similitudine tra sé stesso e questi ragazzi. Inoltre, io amo moltissimo occuparmi delle scenografie, dei costumi, dei capelli, del trucco. È un aspetto che seguo molto perché dà un senso di verità. A volte, anche “sporcando”, inserendo elementi specifici, anche molto piccoli, che nessuno nota, si crea una certa atmosfera. L’intento era quello di creare questo mondo un po’ rarefatto, come se ci fosse un velo, quel velo del non avere la vita chiara davanti.

Yile Yara Vianello – Ginia

Soprattutto in una storia in cui una ragazza deve decidere qual è il suo orientamento sessuale, non poteva esserci una fotografia nitida, lucida, brillante. Inoltre, ci siamo occupati dell’atmosfera dell’epoca: negli anni’ 30, le case erano più buie e quindi le abbiamo rese così, abbiamo cercato di evitare gli artifici, per entrare il più possibile nella vita, nella povertà, nella gioia e nell’entusiasmo di questi ragazzini, il più vecchio dei quali ha 22 anni, sia nella storia che sul set. 

AF : Personalmente, ho amato molto il fatto che Amelia sia caratterizzata da questo lampo di rosso, nel momento in cui si presenta come l’elemento della seduzione, e poi, per tutto il resto del film questo rosso si spegne. Restano comunque dei colori che sono cromaticamente vicini al rosso, ma sono non sono mai più accesi come in quel momento. 

LL: Grazie di averlo notato!

AF: Mi ha ricordato l’impressione di quando, da ragazzini, si guarda la comitiva di quelli più grandi e più “fighi”. Poi, però, quando ci entri, scopri che hanno le tue stesse insicurezze, i tuoi stessi problemi e che sono molto meno luccicanti visti da vicino. A proposito di giovani, però, parliamo di questi attori, che sono giovanissimi. Anche la recitazione sembra impostata come i colori: quasi sotto traccia. Come li hai scelti e come hai lavorato con loro?

LL: Ci sono dei registi che chiedono agli attori di essere più veementi. A me piace tutto il non detto, che è un rischio, può piacere o meno. È un linguaggio in cui conta più lo sguardo che la parola, il litigio. Forse perché io stessa sono così. Per questi ragazzi, abbiamo fatto dei casting infiniti: ho visto 600 persone. Non sono ruoli semplicissimi, per questo abbiamo richiamato tantissime persone, non soltanto per vederle da sole, ma anche per vederle insieme. Perché uno può essere bravo a fare quella determinata parte, ma che chimica c’è con l’altro attore che dovrebbe fare la parte del fratello o dell’amante? Come ho già detto, questo è un film piccolo, fatto in poco tempo, quindi questi ragazzi mi hanno dato l’anima, perché hanno reso le performance in uno, due, tre ciak, quando i grandi attori spesso ne richiedono molti di più. Questa è una cosa che non sempre il pubblico sa.

Deva Cassel – Amelia

Quando non puoi perdere tre settimane su una scena, i ritmi si fanno molto serrati. E, con questi ritmi, i ragazzi mi hanno dato delle grandissime soddisfazioni. Sono dei grandi debutti: Yile Yara Vianello (Ginia) aveva fatto il film “Corpo Celeste” di Alice Rohrwacher, ma aveva undici anni. Questo è il suo primo grande ruolo da protagonista, per il quale ha ricevuto il David di Donatello “Rivelazione” e. l’altro ieri, anche il Nastro d’Argento “Rivelazione”. Per Deva Cassel (Amelia) è il debutto in assoluto, perché non aveva mai fatto nulla. Abbiamo aspettato compisse 18 anni per le riprese, che sono iniziate proprio il giorno del suo compleanno. Io avevo visto moltissime ragazze e attrici, bravissime e con esperienza, però avevo bisogno di qualcuno che quel mestiere, con la sua malinconia, lo conoscesse molto bene. Non solo il glam della fotomodella, ma anche il fatto di dover sempre fare buon viso a cattivo gioco, anche quando la situazione è la peggiore.

Perché si può essere bellissimi, però con la cerniera del vestito tutta rotta, anche se magari lo notano in pochi. È stata una grande scommessa, perché lei era alla prima esperienza: fa la modella da quando aveva 14 anni e ha abbracciato il progetto con grande entusiasmo.  Poi c’è Nicolas Maupas (Severino) col quale io avevo già lavorato nella serie “Nudes”. È un attore che a me piace molto, ha un volto antico. Io lo trovo “Mastroianesco”, perché la sua recitazione è molto interiore. Ma questo il suo primissimo film sul grande schermo. È il primo film anche per Cosima Centurioni (Rosa), che era appena uscita dall’accademia. Lo stesso per Adrien Dewitte (Rodrigues), che ha fatto invece tantissimo teatro. Alessandro Piavani (Guido), aveva già fatto un film, diversi anni fa, e poi una serie, ma questo era il suo primo ruolo al cinema dopo molti anni. Insomma, tutti venivano da mondi diversi: chi dall’accademia, chi dalla televisione, chi dalla moda:  è stata una scommessa. 

Yile Yara Vianello (S) e Cosima Centurioni (D)

Avendo tempi di riprese così veloci, prima ho fatto con loro un laboratorio. Siamo stati cinque giorni insieme e abbiamo improvvisato anche scene non esistenti, facendo incontrare personaggi che nella sceneggiatura non si incontrano mai. Ho fatto lavorare insieme attori che, normalmente, non si sarebbero neanche conosciuti, perché non avevano scene insieme. Hanno legato talmente tanto che venivano sul set tutti i giorni, anche quando non recitavano, e si sono aiutati l’un l’altro. Ed è stata una bellissima esperienza. E io ci tengo a ringraziarli per la fiducia enorme che mi hanno dato. Perché, per esempio, spogliarsi come ha fatto Yle-Ginia o fare la scena d’amore con Guido, completamente nudi, è un atto di grande fiducia. Quella scena è un piano sequenza, è incredibilmente intensa da girare, ti leva la pelle, perché deve far vivere il punto di vista femminile su una “prima volta”, che spesso viene romanticizzata, ma che non ha niente di romantico né di particolarmente piacevole. Non smetterò mai di ringraziarli per essersi fidati di me e li proteggerò sempre, non li tradirò mai.

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