Karl Dönitz, il fan cui Hitler consegnò il Reich
Quando si parla della fine del nazismo, solitamente ci si ferma alla morte di Hitler e poi si salta direttamente ai processi di Norimberga, magari con qualche divagazione sulla ricerca dei criminali di guerra che si erano nascosti in varie parti del mondo. Si dimentica quasi sempre, però, quello che accadde immediatamente dopo il suicidio di Hitler e, soprattutto, l’uomo che gli successe alla guida del Reich: Karl Dönitz. E, in effetti, così come se ne dimentica la storia, anche i suoi contemporanei sembrarono attribuirgli assai poca importanza: Dönitz, a Norimberga, se la cavò con appena 10 anni di condanna, che scontò per intero nel carcere di Spandau fino al 1956, per poi dedicarsi a scrivere e a tentare di “riabilitare” il nome della sua adorata marina tedesca, cosa che fece fino a poco prima della morte, avvenuta nel 1981.
Chi era Karl Dönitz
La figura storica di Karl Dönitz, che ricoprì il ruolo di ultimo presidente della Germania nazista prima della resa incondizionata nel maggio del 1945, rimane una delle più oscure e sottovalutate del ventesimo secolo. All’apice della sua carriera era considerato soprattutto irreprensibile ufficiale di marina, ma la realtà storica ci presenta un uomo che fu anche e soprattutto un fanatico sostenitore di Adolf Hitler e delle sue politiche fino agli ultimi giorni del Terzo Reich.
La carriera militare di Dönitz ebbe inizio in giovane età. Orfano di madre, crebbe tra Berlino, Jena e Weimar sotto la guida del padre. La sua formazione iniziò quando si arruolò come cadetto nella marina imperiale tedesca nel 1910, mostrando sin da subito un’inclinazione per la vita militare e una notevole ambizione. Durante la Prima Guerra Mondiale, si distinse per le sue azioni sul Mar Nero, guadagnandosi riconoscimenti e avanzamenti di grado.
Negli anni successivi, Dönitz continuò a salire i ranghi della marina tedesca, prima nella Reichsmarine e poi nella Kriegsmarine, dimostrando una notevole abilità tattica e una profonda conoscenza della guerra navale. Dönitz era politicamente un nostalgico dell’Impero tedesco e si mostrava critico nei confronti della Repubblica di Weimar, trovando nell’ascesa di Hitler l’opportunità perfetta per accelerare la propria carriera. Apparteneva alla schiera di coloro che consideravano il sistema statale di Weimar eccessivamente debole, decadente e poco incisivo – non a caso, il pubblico più entusiasta delle idee di Hitler, fin dalla prima ora. Più avanti, quando la Germania si riarmò, nel 1935, questo tipo di convinzione, già ampiamente manifesta, fece sì che gli venisse affidato il compito di sviluppare la nuova arma subacquea tedesca, in violazione dei divieti del Trattato di Versailles.
Un “grande” ufficiale di marina (che lasciava morire i suoi uomini)
Dönitz si dedicò con fervore allo sviluppo dei sottomarini U-Boot, contribuendo in maniera determinante alla loro evoluzione tattica e strategica. Le sue idee sull’impiego dei sottomarini in gruppi coordinati si dimostrarono efficaci, causando pesanti perdite alle flotte alleate durante la Seconda Guerra Mondiale. Tuttavia, nonostante le sue ambizioni e il suo indubbio talento, Dönitz non riuscì a conquistare subito una posizione di comando nell’alta dirigenza navale. Solo nel 1943, dopo i fallimenti della strategia di superficie di Raeder, Hitler lo nominò comandante supremo della Kriegsmarine.
Una volta al comando, Dönitz si fece promotore di una guerra sottomarina totale e senza limiti, ordinando di non prestare soccorso ai naufraghi delle navi nemiche affondate, una decisione che suscitò orrore e indignazione tra gli Alleati. Sotto la sua guida, la marina tedesca si concentrò quasi esclusivamente sui sottomarini, nonostante le risorse industriali del Reich fossero ormai inadeguate a sostenere un conflitto prolungato. I successi iniziali furono seguiti da scarsi risultati e perdite devastanti tra gli equipaggi. Nonostante ciò, Dönitz rimase fedele alla politica del “combattere fino all’ultimo uomo“, in linea con la visione di Hitler, illudendosi fino alla fine di poter ribaltare le sorti della guerra. Il suo fanatismo rispetto alla bandiera e all’ideologia è stato esemplificato in una pluralità di aneddoti. Uno dei più noti risale al 1943, quando Dönitz minacciò un comandante di sommergibile che si era arreso in una situazione disperata e aveva salvato il suo equipaggio, sostenendo che, dopo la “vittoria finale” del Reich, l’ufficiale sarebbe stato punito, poiché era “meglio affondare” piuttosto che permettere che abbandonare la postazione e la bandiera.
Va detto che, con il progredire della guerra, emerse chiaramente come l’unico vero pregio di Karl Dönitz fosse proprio la fedeltà incrollabile al Führer, dal momento che le sue scelte strategiche e tattiche si rivelarono tutt’altro che efficaci. La concentrazione dell’armamento sulla costruzione di sommergibili mise a dura prova le capacità produttive dei cantieri tedeschi, mentre il tanto agognato controllo del mare sembrava un obiettivo sempre più sfuggente. La crudeltà e l’abbandono di ogni standard etico durante le battaglie in mare non si tradussero nella sperata superiorità militare. La marina tedesca ambiva al controllo del mare, ma non riusciva a raggiungerlo. Allo stesso tempo, la totale mancanza di riguardo di Dönitz per la vita dei suoi uomini, che, come abbiamo visto, valevano comunque meno della bandiera, dava i suoi frutti: gli equipaggi dei sommergibili tedeschi morivano come mosche: circa 26.000 dei 41.000 sommergibilisti della marina nazista non fecero ritorno e 781 degli 820 sommergibili andarono persi in guerra.
La razionalizzazione di Dönitz, che aveva lo scopo di vendere i suoi fallimenti come successi, era un capolavoro di autogiustificazione e mediocrità: èoco prima dello sbarco in Normandia, il 6 giugno 1944, Dönitz dichiarò che “Il sommergibile che infligge perdite al nemico durante lo sbarco ha adempiuto al suo compito più alto e ha giustificato la sua esistenza”, anche se resta sul posto, ovvero se non può tornare indietro. La fantasia di Dönitz era la stessa di Hitler: un’azione travolgente che facesse finire la guerra in pochissimo tempo, decidendo a favore della Germania. Non andò così.
522 ore di governo
La sua incrollabile fedeltà a Hitler e al nazismo gli valse la nomina a successore del Führer dopo il suicidio di quest’ultimo nel bunker di Berlino. La scelta di Dönitz come capo dello stato può apparire sorprendente, dato che non era mai stato iscritto al partito nazista, ma il suo comportamento e le sue azioni erano sempre state in perfetto allineamento con l’ideologia hitleriana. Bisogna anche tenere presente, inoltre, che, nella Repubblica di Weimar, Karl Dönitz, come tutti i membri della Reichswehr, non aveva diritto di voto e non poteva aderire ad alcun partito. La sua non adesione al NSDAP, dunque, non dipendeva certo da uno scarso supporto per le politiche e ideologie di Hitler, ma rappresentava semplicemente un’obbedienza formale alle regole dell’esercito e della marina, che Dönitz venerava.
Poco prima della fine della guerra, Hitler lo nominò comandante in capo della “Zona Nord”, che comprendeva parti della Germania settentrionale (occidentale), dei Paesi Bassi, della Danimarca e della Norvegia. Alla fine dell’aprile 1945, Dönitz si trasferì nel suo quartier generale sul lago Suhr, vicino a Plön, ma poco dopo dovette spostarsi a Flensburg-Mürwik per sfuggire alle truppe britanniche in avvicinamento. Nel suo testamento, Hitler nominò Dönitz come suo successore come Comandante in capo della Wehrmacht e Presidente del Reich.
Probabilmente, a convincere Hitler fu il fatto che Dönitz gli avesse offerto quella che fu forse l’ultima speranza prima della disfatta. Il 25 aprile 1945, Dönitz comunicò al Führer che la Marina poteva fornire 9.200 uomini per la difesa della capitale del Reich, di cui 7.000 immediatamente. Le truppe dell’Armata Rossa, che da tempo avevano conquistato i quartieri settentrionali di Berlino, erano almeno dieci volte più forti in termini di numeri e meglio equipaggiate, ma c’è da supporre che Hitler apprezzasse la devozione e lo zelo di Dönitz in quell’ora disperata.
Non se lo aspettava nessuno: il circolo più vicino a Hitler avrebbe scommesso su Göring. La frase riportata, come oggi sappiamo, dalla segretaria di Hitler Traudl Junge, il 29 aprile del ’45, fu: “Nomino il Grand’Ammiraglio Dönitz Presidente del Reich e Comandante Supremo della Wehrmacht al suo posto”, ovvero, al posto di Hermann Göring, che era considerato il successore designato del Führer.
Subito dopo la nomina, Dönitz dichiarò di voler “porre fine a questa guerra nel modo richiesto dall’eroica lotta del popolo tedesco”.
Il suo governo durò, secondo quanto riportano le fonti storiche, 522 ore e 27 minuti. Il giorno dopo, 30 aprile, arrivò la notizia del suicidio di Hitler. L’ufficiale di marina e storico militare Werner Rahn descrive il crollo improvviso dell’entusiasmo di Dönitz con queste parole: “l’effetto suggestivo, addirittura demoniaco, con cui Hitler aveva influenzato per anni i pensieri e le azioni del Comandante in capo della Marina, sembrò improvvisamente esaurirsi”.
Karl Dönitz rimase al suo posto e si occupò, essenzialmente, di organizzare la resa e di aiutare i gerarchi nazisti a procurarsi documenti falsi e scappare. Il feldmaresciallo britannico Bernard Montgomery permise al governo Dönitz dopo la resa tedesca dell’8 maggio 1945 e fino al 23 maggio, per mantenere una parvenza di ordine in Germania durante la presa di potere da parte degli alletati. Una volta esaurita la sua funzione in tal senso, Dönitz fu arrestato a Flensburg e internato, con altri ufficiali nazisti di alto rango, a Bad Mondorf, in Lussemburgo, presso il Palace Hotel. A Norimberga, Dönitz fu assolto dalle accuse di crimini contro l’umanità e di aver pianificato una guerra di aggressione il 1° ottobre 1946, ma fu condannato a dieci anni di carcere per crimini contro la pace e contro le leggi di guerra.
Negli anni del dopoguerra, Dönitz, come già accennato, si dedicò soprattutto alla scrittura, dipingendo la marina tedesca come un’istituzione tecnicamente valida ma politicamente distante dal nazismo. Questa narrazione contribuì a creare un mito intorno alla Kriegsmarine e alla figura di Dönitz stesso, un mito che servì a fornire un’identità agli ex marinai tedeschi nella Germania postbellica.
Anche l’operato di Dönitz nell’evacuazione dei profughi tedeschi dai territori orientali durante l’Operazione Hannibal fu soggetto a un processo di mitizzazione. Nonostante fosse presentato come un’operazione umanitaria, il suo obiettivo primario rimaneva quello di garantire rifornimenti alle truppe tedesche piuttosto che salvare vite umane. Questa operazione rimane uno degli esempi più evidenti della capacità di Dönitz di manipolare la realtà a proprio favore, anche a costo di mettere in secondo piano la vita dei civili.