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“Obiezione respinta” per il farmacista che non voleva vendere la pillola del giorno dopo

L’obiezione di coscienza di un farmacista di Berlino, che non voleva vendere la pillola del giorno dopo, è stata respinta. Lo ha deciso giovedì una sentenza del Tribunale Superiore del Lavoro per le Professioni Sanitarie, al termine di un procedimento avviato dall’ordine dei farmacisti tedeschi.

Il farmacista sarà obbligato ad avere in magazzino la pillola del giorno dopo

La farmacia in questione è indipendente, ossia non fa parte di una catena, e il titolare aveva dichiarato di non voler tenere in magazzino la pillola del giorno dopo, perché la vendita del farmaco gli provocava un conflitto morale, legato al non volersi rendere complice “della morte di un essere vivente già esistente”. Tecnicamente, tuttavia, è difficile che la pillola del giorno dopo  sia efficace a fecondazione avvenuta, poiché funziona se, al momento dell’assunzione, non si è ancora verificata l’ovulazione o se questa avviene pochissimo tempo dopo il rapporto non protetto. 

Le motivazioni della sentenza: “chi ha conflitti di coscienza non lavori nella sanità pubblica”

Le motivazioni della sentenza, tuttavia, non hanno fatto riferimento ai dettagli della correttezza scientifica di quanto espresso dal farmacista, ma al concetto di obiezione di coscienza in sé. Una farmacia che opera per il pubblico, hanno sostenuto i giudici, è tenuta a offrire una fornitura completa dei farmaci che possono essere venduti al pubblico in Germania e dei quali la popolazione in generale può avere bisogno, indipendentemente dai convincimenti personali del proprietario o del gestore. Se, concludono i giudici, una persona non se la sente di assumersi la responsabilità di operare secondo le norme del settore, poiché esse sono in contrasto con le sue posizioni morali, allora farebbe bene a esplorare altre possibilità di impiego professionale, che non comportino conflitti di coscienza.

La sentenza arriva a breve distanza da una serie di articoli fortemente critici rispetto alle posizioni dell’Italia, che ha spinto per eliminare, dal documento conclusivo del G7, il riferimento al diritto all’accesso sicuro e garantito all’aborto, imponendo una formulazione più generica sul diritto alla salute delle donne. In quell’occasione, diversi quotidiani tedeschi hanno pubblicato riflessioni sul fatto che il diritto all’autonomia riproduttiva delle donne, in Italia, abbia fatto diversi passi indietro, menzionando anche la presenza degli antiabortisti nei consultori.

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