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Anni di abusi: l’orrore delle residenze per l’infanzia nella Germania del dopoguerra

Per chi è cresciuto in Italia, il concetto tedesco di “Kurheim” è leggermente alieno. I Kurheime sono strutture in cui, in generale, si va a “stare meglio”, a riprendersi. Negli anni, questo termine ha significato cose diverse: oggi, per esempio, designa strutture che potremmo chiamare “cliniche” o che sono simili a centri di disintossicazione, di riabilitazione psichiatrica o di altro tipo. Si tratta di residenze la cui funzione è preminentemente sanitaria. Ad accomunarle è comunque l’idea di spostarsi e soggiornare, per un periodo di tempo limitato, in una struttura specifica, per risolvere determinati problemi. Negli anni ’50 e ’60, erano particolarmente diffuse quelle per l’infanzia. I bambini venivano inviati in questi centri d’estate, ma non dobbiamo pensare alle colonie per bambini come le intendiamo noi: qui i bimbi non andavano in vacanza, bensì venivano inviati su consiglio dei medici scolastici, per risolvere problemi di salute veri o presunti. A distanza di anni, si è scoperto che, in moltissimi di questi centri, si verificavano abusi e maltrattamenti ai danni dei piccoli ospiti.

Crescere “figli sani” nella Germania del dopoguerra

Nel periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale, la Germania si trovava in una fase di ricostruzione e rinnovamento. In questo contesto, le famiglie tedesche, cercando di offrire ai propri figli opportunità di crescita e la possibilità di crescere sani ed equilibrati, si affidavano alle raccomandazioni dei medici scolastici che spesso suggerivano l’invio dei bambini nelle case di cura per l’infanzia. A partire dagli anni Cinquanta, queste strutture erano viste come luoghi idilliaci dove i bambini potevano godere di aria fresca, natura e attività ricreative e risolvere quasi tutti i loro problemi. Se erano troppo magri, potevano mettere su peso con cure ricostituenti, se erano troppo grassi, potevano rimettersi in forma con attività all’aria aperta, se erano indisciplinati, potevano rimettersi in riga e così via.  Se a qualcuno venissero in mente gli orrori che oggi si attribuiscono agli scandali della “Wilderness Therapy” americana, il paragone potrebbe essere azzeccato. Vale anche la pena di notare che i bambini che venivano inviati in queste strutture non erano mai i figli delle classi agiate, ma quelli della piccola borghesia e della classe operaia. E proprio così si chiamava la pratica: “Verschickung”, ovvero “l’invio”, la “spedizione”, il “mandare via, mandare lontano”. Quello che i genitori non sapevano o che sceglievano di ignorare, purtroppo, era che, dietro la facciata di normalità e benessere, si nascondeva una realtà ben più oscura e inquietante.

D’altra parte, le “Verschickungen” si usavano anche sotto la dittatura nazista, ma all’epoca, come tutte le organizzazioni di attività giovanili, il loro scopo principale era inquadrare la gioventù dal punto di vista ideologico. Le cose, però, cambiarono dopo la guerra.

Un sistema che mascherava gli abusi

Centinaia di testimonianze scioccanti hanno iniziato a emergere fin dagli anni ’70 e continuano a registrarsene di nuove, relative al fatto che, in quasi tutte queste strutture, la normalità non fosse affatto quella della cura e dell’accudimento, ma quella degli abusi, sistematici e sadici, sia fisici che psicologici e, non di rado, anche sessuali, perpetrati dal personale a danno dei bambini.

La giornalista Anja Röhl, che ha vissuto questa esperienza in prima persona, ha dedicato anni alla raccolta di queste storie strazianti, ha intervistato molte delle vittime e ha esaminato documenti e rapporti dell’epoca. Il suo lavoro ha rivelato un panorama agghiacciante: i metodi educativi utilizzati in queste case vacanza sembravano derivare direttamente dall’epoca nazista, al punto tale che molti hanno speculato sul fatto che parte del personale fosse stato “riciclato” da quello dei campi di concentramento, che in Germania erano stati attivi fino a pochi anni prima. Addirittura, si ha notizia di una struttura nel quale i bambini venivano identificati da un numero che veniva scritto loro sul braccio. 

Röhl, nei suoi libri, descrive come bambini indifesi venivano sottoposti a punizioni sadiche e brutali. Le percosse erano all’ordine del giorno, e le umiliazioni erano una pratica comune. Anche le docce gelate e i farmaci venivano utilizzati come mezzi per “disciplinare” i piccoli ospiti. I bambini venivano privati del cibo come forma di punizione, ma anche legati alle sedie e obbligati a mangiare tutto ciò che veniva preparato per i loro pasti, anche quando il cibo era disgustoso. Se, dopo aver mangiato, vomitavano, venivano obbligati a mangiare quanto avevano appena rigurgitato. Inoltre, in molti casi, le vittime hanno riferito, anni dopo, di aver subito, da parte del personale, anche abusi sessuali. In alcune strutture, le donne, che costituivano la maggior parte del personale, si facevano chiamare “zie” – incarnando il prototipo dell’aguzzino che si traveste da guardiano molto prima che Margaret Atwood immortalasse questo tipo di figure nei libri del Racconto dell’Ancella. 

La situazione era resa ancora più drammatica dal fatto che molte famiglie, una volta riabbracciati i loro figli, ignoravano o non credevano ai segnali di disagio manifestati dai bambini. I bambini, spesso in preda alla paura e alla confusione, non riuscivano a esprimere pienamente il trauma subito, e i genitori, forse ingannati dall’apparente normalità delle strutture e inclini a fidarsi dei medici scolastici che le consigliavano e delle assicurazioni sanitarie che pagavano per i soggiorni, non indagavano a fondo.

Röhl ha anche creato un sito, verschickungsheime.de, che raccoglie le testimonianze delle vittime e promuove progetti per il benessere dell’infanzia.

Milioni di casi in tutta la Germania

Per farsi un’idea delle dimensioni del fenomeno, bisogna pensare che, nella Repubblica Federale Tedesca, ovvero nella Germania Ovest, queste strutture iniziarono a operare negli anni ’50. Nel 1963 se ne contavano 839, con una capacità di accoglienza di 350.000 bambini all’anno. Basta fare un semplice calcolo per capire che si parla di milioni di persone che, oggi, vivono con i segni di traumi spesso ancora difficili da articolare. Le storie simili relative alla DDR o, nell’ovest, alle strutture di natura religiosa, sono state documentate da studi a parte, mentre della “Verschickung” e delle Kurheime della Germania ovest si sa ancora relativamente poco.

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