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UE: abiti ed elettrodomestici invenduti non potranno più essere distrutti

Che fine fanno i beni che non vengono venduti? Che cosa succede, per esempio, a tutti gli abiti che vediamo esposti nei grandi magazzini e nei negozi di fast fashion, quando arrivano le nuove collezioni? Che cosa succede agli elettrodomestici invenduti nei negozi, quando sugli scaffali arrivano i nuovi modelli? Semplice: vengono distrutti, con un impatto ambientale catastrofico e costi altissimi. Spesso, quando parliamo di rifiuti legati alla moda e all’elettronica, pensiamo ai prodotti che compriamo e poi buttiamo via, ma in realtà i nostri “scarti” sono solo una piccola parte del problema. Ben più colossale è la montagna di rifiuti costituita da prodotti che nessuno ha acquistato mai, ma che sono comunque stati prodotti, con consumo di risorse ed emissione di CO2, e che verranno smaltiti e distrutti, ributtando nell’ambiente i materiali di scarto derivanti da quei processi e da quelle risorse e, nuovamente, immettendo nell’atmosfera quantità massicce di CO2. Il Parlamento Europeo, la scorsa settimana, ha legiferato per porre fine a questa pratica: i capi di abbigliamento invenduti, così come gli elettrodomestici, non potranno più essere distrutti.

Questa normativa, se correttamente applicata, potrebbe segnare un punto di svolta nella lotta contro gli sprechi e l’obsolescenza programmata, un cambiamento radicale che promette di riformare il modo in cui i prodotti vengono concepiti, prodotti e gestiti al termine del loro ciclo di vita.

Cosa prevede la nuova norma sui beni che restano invenduti

La nuova normativa impone che i prodotti tessili e gli elettrodomestici invenduti, invece di essere distrutti, vengano immessi in un ciclo virtuoso di riutilizzo, riparazione o riciclo. Questo approccio non solo mira a ridurre in modo drastico il volume di rifiuti, ma punta a stimolare anche l’innovazione e la creazione di nuovi posti di lavoro nel settore del riuso e del riciclaggio.

Il cambio di paradigma è profondo e richiederebbe, almeno in teoria, ai produttori di abbandonare il tradizionale modello lineare di produzione e consumo, che si basa su una catena pressoché infinita di produzione, utilizzo e distruzione. I beni dovrebbero essere progettati per durare più a lungo, essere facilmente riparabili in modo indipendente e costruiti in modo da richiedere meno materie prime. Questo implica un ripensamento completo del processo produttivo, con un occhio di riguardo verso l’efficienza delle risorse e la riduzione dell’impatto ambientale.

Il “passaporto” per i prodotti

I cambiamenti introdotti da questa nuova norma non si fermano alla sola produzione, ma si estendono anche al modo in cui i consumatori interagiscono con i prodotti. La normativa introduce infatti il “passaporto di prodotto” digitale, un’innovazione che permette ai consumatori di accedere a tutte le informazioni relative all’impatto ambientale degli articoli che acquistano. Questi passaporti digitali saranno un database prezioso che fornirà dettagli sulla provenienza dei materiali, sulle emissioni di CO2 generate durante la produzione, sulle istruzioni per il riciclaggio e molto altro ancora.


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Con questi strumenti, i consumatori potranno compiere scelte più consapevoli, orientandosi verso prodotti che rispettano l’ambiente e premiando i marchi che si impegnano in pratiche sostenibili. Questo meccanismo di trasparenza è inteso come fondamentale per stimolare una competizione positiva tra le aziende, spingendole a migliorare continuamente le proprie performance ambientali per soddisfare la crescente domanda di sostenibilità da parte dei consumatori.

L’Europa verso l’economia circolare

L’adozione di questa normativa si colloca nel solco di un tentativo di svolta verso l’economia circolare a livello. In questo nuovo scenario, il concetto di rifiuto dovrebbe essere ridefinito, orientando piuttosto il consumatore verso il riutilizzo, la riparazione o il riciclo. Questo approccio non solo riduce l’impatto ambientale, ma punta a ridurre anche la dipendenza da risorse esterne e materie prime.

Gli Stati membri dell’UE devono ancora approvare il progetto. Tuttavia, questa è considerata una formalità e si dà per scontato che la nuova norma verrà recepita. Come sempre avviene per le decisioni del Parlamento Europeo, è ragionevole pensare che l’implementazione della norma non sarà uniforme in tutti gli Stati dell’Unione. Ciononostante, da più parti, questa decisione è stata accolta come un passo avanti di notevole importanza nel raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità a livello Europeo.

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