Inclusione scolastica a Berlino: l’odissea dei genitori di un bambino autistico

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Inclusione scolastica a Berlino: l'odissea dei genitori di un bambino autistico

di Amelia Massetti, Presidente dell’associazione Artemisia e della Commissione Scuola, Inclusione e disabilità del Comites

Qui di seguito riporto l’esperienza di due genitori di un bambino autistico, che si sono trasferiti a Berlino da qualche anno, sperando che questa storia possa essere utile a capire cosa non funziona e i problemi che ancora deve affrontare il sistema, sulla strada verso un’effettiva inclusione scolastica.

In Germania e a Berlino la situazione dell’inserimento scolastico per le persone con disabilità sta diventando sempre più complessa e noi, come associazione Artemisia, raccogliamo spesso le testimonianze dirette di genitori che incontrano diverse difficoltà a trovare un posto nell’asilo, o nella scuola, per i propri figli e figlie con disabilità, che spesso approdano alle cosiddette “scuole speciali”, che purtroppo ancora esistono in Germania.  

Nonostante la Convenzione Internazionale dei diritti delle persone con disabilità, ratificata dalla Germania del 2009, imponga la deistituzionalizzazione delle strutture che impediscono la partecipazione piena alla vita sociale delle persone con disabilità, dal resoconto della commissione, che si è tenuto a settembre, emergono diverse criticità e l’adeguamento richiesto non raggiunge i parametri minimali stabiliti dalla Convenzione.

Berlino è stata la prima città in Germania che ha dato vita a progetti pilota di inclusione scolastica, ma a quanto pare la situazione, negli ultimi quattro anni, sta subendo un andamento a ritroso, creando non poche difficoltà alle famiglie che si vedono negate il diritto all’inclusione scolastica spesso a partire dalla prima infanzia.
Nell’evento recentemente organizzato con il Comites di Berlino, in collaborazione con l’Ambasciata, ho presentato la Guida all’inserimento scolastico dei bambini e bambine con disabilità, tradotta da Paola Giaculli, socia di Artemisia, uno strumento utile per capire l’iter burocratico da affrontare. La guida si può scaricare qui, oltre che sul sito di Artemisia e quello del Comites di Berlino.

Spesso, però, il percorso è complesso e accidentato, come scoprirete continuando a leggere la vicenda di questi due genitori, stanchi ed esasperati.


inclusione scolastica in germania

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Inclusione scolastica a Berlino: lo sfogo dei genitori di un bambino autistico

Stamattina ho consegnato la Kündigung, la disdetta, all’asilo di mio figlio. Per la seconda volta nella sua breve carriera scolastica berlinese. E per la seconda volta perché erano venute a mancare le condizioni minime per la sua educazione. La sera prima, sul tardi, avevo anticipato la disdetta via e-mail. Mentre consegnavo l’originale a mano la direttrice non ha battuto ciglio. Non una domanda, una frase di circostanza, un «ci mancherà» finto e ipocrita. Ha detto solo: «Ah, sì, abbiamo già tutti i documenti pronti». E in cuor mio ho sentito che non erano pronti da quella mattina, ma già da qualche settimana…

L’immagine di Berlino “paradiso dei bambini” con i suoi Spielplatz fantascientifici si sbriciola velocemente non appena si prova a chiedere qualcosa di più all’offerta educativa. Magari perché una disabilità rende le esigenze pedagogiche più urgenti. Questa è la storia di mio figlio, autistico, e della nostra famiglia, ma è la storia di tante altre famiglie che si trovano ad affrontare una situazione simile in un Paese dove purtroppo l’inclusione non si può dare per scontata.

Inclusione scolastica a Berlino: l’odissea dei genitori di un bambino autistico

La difficoltà di ottenere una diagnosi

Già ottenere una diagnosi non è facile: i pediatri impiegano infatti molto tempo per fornire una diagnosi. Così dopo aver sollevato i primi dubbi appena dopo il secondo compleanno (settembre 2020), il pediatra prende tempo nove mesi prima di suggerire di «dargli pastiglie di fosforo e raccontargli favole la sera». Risultato: la diagnosi la facciamo in Italia e viene riconosciuta in Germania un anno dopo (settembre 2021), senza ulteriori indagini cliniche.

La parola “autismo” per un genitore rimbomba in testa come la pistola di uno starter: uno sparo che fa iniziare una corsa a ostacoli con un senso di urgenza unico. Con l’incubo della scuola speciale. «Tranquilli – ci dicono però gli uffici – si può fare il Zurückstellung, il rinvio dell’obbligo scolastico, il bambino può fare un anno in più all’asilo». Certo, ci diciamo, un anno in più se va in un asilo che effettivamente lavori con nostro figlio e non lo lasci da solo.

Per i KiTa a Berlino è un problema prendersi cura di un bambino che richiede un minimo di attenzione in più, tra carenza di personale, in molti casi scarsa qualificazione e difficile reperibilità di figure di sostegno. Così dovrete prepararvi a “fare la guerra”, in un rimpallo continuo di responsabilità tra asili e altre istituzioni, in un sistema in cui la lingua e la burocrazia vi renderanno molto difficile orientarvi.

Inclusione scolastica a Berlino: l’odissea dei genitori di un bambino autistico

La fatica di ottenere il sostegno scolastico

Con il primo asilo compiliamo la domanda per il sostegno scolastico a novembre 2021. Per tre mesi chiediamo se sia stata approvata e ci viene risposto: «Dovete portare pazienza, gli uffici sono lenti». A febbraio invece alziamo noi la cornetta e scopriamo dallo Jugendamt che non era pervenuta alcuna richiesta: miracolosamente la pratica viene risolta in una settimana. Ci viene approvato il B-Status, ovvero il sostegno per 20 ore settimanali. Il KiTa ci dice invece che le 20 ore sono mensili.

Di fronte a mille promesse disattese e per evitare di sentirci dire che sono le nostre limitate capacità linguistiche a farci fraintendere, mettiamo di mezzo un interprete. La situazione non cambia. L’insegnante di sostegno non viene mai assunto. Nel secondo asilo addirittura arriveremo alla situazione in cui l’insegnante di sostegno ricopre anche i ruoli di direttrice dell’asilo e responsabile del Vorschule (l’anno di preparazione pre-scuola che, a dicembre, ancora non ci risulta attivo). Devo ancora capire come possa garantire 20 ore di attenzione individuale a nostro figlio, che già – tra le terapie e la richiesta dell’asilo di andarlo a prendere un’ora prima – ne frequenta 24 sulle 35 a cui avrebbe diritto.

Inclusione scolastica a Berlino: l’odissea dei genitori di un bambino autistico

La mancanza di coordinamento e i problemi di comunicazione

La “Konferenz” in cui far interagire i terapisti di nostro figlio con l’asilo e con noi per fare lavoro di équipe? Col primo asilo dobbiamo organizzarla noi, con il secondo ce ne viene promessa una ogni tre mesi, ma alla fine si terrà un solo incontro. La comunicazione? Quasi ogni giorno chiudiamo la porta dell’asilo e non sappiamo come sia andata la sua giornata. Non sappiamo la sua routine, le sue attività preferite, i bambini con cui sta meglio, se fa passi avanti, se ci sono problemi.

Manca anche la collaborazione su obiettivi pedagogici base, che nulla hanno a che fare con la disabilità: dopo mesi che nostro figlio ha imparato ad andare in bagno andiamo a prenderlo e lo troviamo con un pannolino addosso. Per la prima volta minacciamo di rivolgerci al Kita-Aufsicht (l’ente di sorveglianza degli asili). Il KiTa convoca una riunione e ci dice che chiediamo troppo e forse è meglio che ci cerchiamo un altro asilo. All’incontro è presente anche la delegata di un’associazione che dovrebbe ricomporre i conflitti tra asili e famiglie. E anche per lei la soluzione è quella: non che l’asilo faccia il suo lavoro. Ma che noi portiamo altrove le nostre esigenze.

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Inclusione scolastica a Berlino: l’odissea dei genitori di un bambino autistico

Un nuovo asilo: la speranza di un cambiamento positivo

In quel momento entriamo in modalità emergenza: scriviamo a 70 asili diversi e l’unico che ci dà la disponibilità immediata è dall’altra parte della città. Cambiamo a gennaio 2023 con l’ultimo “scherzetto” del vecchio KiTa: non hanno rinnovato l’Integrationsstatus per tempo e ci costringono a riprendere l’iter burocratico da capo. I primi mesi nel nuovo KiTa però sono positivi, nostro figlio riceve più attenzione e fa dei passi da gigante, nonostante il viaggio richieda più di un’ora.

E diciamolo, perché nostro figlio non è solo una diagnosi: è un bambino sveglio, affettuoso, aperto, empatico e sorridente, che ama la musica e ballare, e che nella sua testardaggine trova la forza per superare gli ostacoli. Insomma, ha solo bisogno di un terreno che lo nutra per poter crescere. E finalmente ci sembra che i presupposti ci siano, che con il Zurückstellung e un anno di tempo in più possa arrivare pronto alla scuola elementare.

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Inclusione scolastica a Berlino: l’odissea dei genitori di un bambino autistico

La speranza si infrange: ancora problemi

Certo, anche nel nuovo Kita le cose vanno a rilento per l’Integrationsstatus (che viene confermato a pieno regime solo a luglio), e c’è molto ricambio di personale. La comunicazione pian piano si fa più rada e non è mai spontanea. E, come già detto, non vengono chiarite a sufficienza le responsabilità per il sostegno. Poi, un giorno di settembre, pochi giorni dopo il quinto compleanno di nostro figlio, ci cade di nuovo il mondo addosso: «So che volete fare la Zurückstellung, ma noi non avremo la disponibilità di un posto l’anno prossimo, e crediamo che vostro figlio debba andare avanti. Questo è un elenco di scuole elementari che vi raccomandiamo». E tra le nostre mani viene consegnato un elenco di scuole speciali.

Da quel momento si susseguono settimane di e-mail a cui vengono date risposte parziali, di disorientamento, di appuntamenti e spiegazioni rifiutati. Di pesantezza nel dover accompagnare ogni giorno nostro figlio in un posto in cui abbiamo perso ogni fiducia.

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Inclusione scolastica a Berlino: l’odissea dei genitori di un bambino autistico

Ecco perché dico che quei documenti per lasciarci andare erano probabilmente pronti da settimane. Perché siamo abituati a essere messi alla porta da un asilo. Perché abbiamo capito che un bambino che richiede più attenzione e che non ricade nello “standard” è una “Störung”. Un disturbo. E una famiglia che chiede qualcosa di più a cui avrebbe diritto, è una rottura immane. In uno Stato in cui l’asilo è concepito come un parcheggio, fintanto che mamma e papà possono lavorare e lasciare il figlio da qualche parte, va tutto bene. L’aspetto pedagogico non è importante. E non solo in relazione alla disabilità, ma ma a ciò che a nostro avviso dovrebbe essere il minimo accettabile per qualsiasi bambino.

Ma come fanno a lavorare mamma e papà se ogni giorno devono chiamare qualche ufficio, sbrigare burocrazia in una lingua straniera, lottare per avere uno straccio di informazione dall’asilo e poi fare gli educatori al posto del Kita? Magari dovendo prelevare il figlio prima del dovuto perché il bambino è stanco o frustrato, come non sarebbe se magari ricevesse un’attenzione più qualificata.

Inclusione scolastica a Berlino: l’odissea dei genitori di un bambino autistico

Inclusione scolastica a Berlino: una strada ancora lunga e accidentata

Sappiamo che il nostro caso non è un’eccezione. Che non si tratta di semplice sfortuna, ma di un sistema che ancora non sa fare inclusione. Quel che fa più male è rivolgersi alle istituzioni e sentirsi dire, con una scrollata di spalle: «Beh, è così a Berlino. E trovare un altro Kita è difficile». Come possono migliorare le cose se chi dovrebbe supervisionare si è arreso o non ci ha proprio mai provato? Se uno Stato che per un bambino con B-Status paga all’asilo una certa somma al mese non mostra una minima reazione, quando gli viene riferito che quei soldi non vengono usati per le finalità previste?

Ai genitori viene detto di portare pazienza. Di aspettare. Ma asili e uffici stanno solo distogliendo lo sguardo. Prendendo tempo. In attesa che quella pratica scomoda, quella rottura, si sposti sulla scrivania di qualcun altro. Di un altro asilo, o di una scuola, o di un altro ufficio competente: un giorno, per fortuna, sarà responsabilità di qualcun altro. Solo i genitori, e i bambini stessi, non hanno il privilegio di poter attendere.

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