Tre libri che passano per Berlino – da regalare per Natale
Avete bisogno di un regalo dell’ultimo momento? Libri! Avete bisogno di un regalo da fare con tutta calma, pensandoci bene? Libri! Avete bisogno di un consiglio su quali libri regalare? Siamo qui per questo! Anche se questi consigli sono pensati come un “last-minute” di Natale, potete considerarli consigli universali. Oggi vi proponiamo tre libri che hanno un legame, più o meno forte, con la Germania e in particolare con Berlino. Si tratta di un classico, di un “classico moderno” e di un libro italiano che ha sorpreso perfino i tedeschi.
Tre libri da regalare per Natale, con storie che passano per Berlino
L’Ottava Vita (Per Brilka) di Nino Haratischwili
Il legame con Berlino, in questo libro, si percepisce all’inizio e alla fine. Tutto quello che c’è nel mezzo è una storia georgiana. Se ritenete di non sapere nulla della Georgia, del suo popolo, del suo carattere, delle sue tradizioni, dei suoi eroi e antieroi e se avete sempre detto “Tiblisi” invece che “Tbilisi” non fa nulla: entro la fine di questo racconto vi sentirete come se ci aveste trascorso anni e desidererete esplorare le sue città e le sue montagne, le coste e i paesini. L’autrice Nino Haratischwili vive oggi ad Amburgo, è scrittrice, commediografa e regista teatrale e “L’Ottava Vita” è il suo quinto romanzo. Qualcuno l’ha definito il “Guerra e Pace” georgiano, ma questo romanzo non ha moltissimo in comune con il classico di Tolstoj, se non il respiro storico ampio, che colloca le azioni dei personaggi in un contesto dolorosamente reale. La storia prende le mosse all’inizio del XX secolo e segue le vicende della famiglia di un fabbricante di cioccolato, che ha elaborato una ricetta segreta.
La cioccolata calda che si produce con questa ricetta può dare a chi la assaggia un’estasi mai provata, ma è anche maledetta: la gioia si paga sempre con enormi dolori. Otto vite vengono narrate in questo libro, a partire da quelle delle figlie del fabbricante di cioccolato, che a loro volta hanno figli, che a loro volta hanno figli oppure no, oppure li perdono per sempre. Nel frattempo, la Georgia lega il suo destino, volente o nolente, a quello del vicino ingombrante che incombe a nord: la Russia. Sono gli anni della rivoluzione, dei conflitti fra rossi e bianchi, l’ascesa dell’Unione Sovietica, lo strapotere di Stalin a Mosca, ma anche di Lavrentiy Beria, detto il “piccolo grande uomo”, politico georgiano che acquista un potere enorme nell’establishment e ne abusa nel pubblico come nel privato.
La Storia irrompe con violenza spietata nelle storie di una famiglia in cui ognuno lotta per una meta che non sembra mai raggiungibile – e spesso, in effetti, non lo è. C’è chi sceglie di stare dalla parte del potere sovietico e viene premiato con una carriera stellare (ma anche maledetto dalla cioccolata con la perdita degli affetti più cari). C’è chi sceglie di opporsi e paga come sempre si paga, quando ci si oppone a una dittatura. C’è chi riesce a fuggire, ma deve rinunciare alla vita di prima e a una parte di sé e c’è chi non riesce a scappare e non ha alcuna scelta se non perdere tutto, sperando di lasciare nel mondo un seme che possa crescere in qualche modo, in qualche tempo. Ci sono vendette inferte con amore e salvataggi portati a termine senza alcun amore. C’è splendore e orrore, lusso e miseria, struggimento e violenza. Tutto questo ci porta a Berlino, nella Berlino dopo il Muro, dove una bambina di 12 anni, che lotta con le proprie maledizioni autoimposte, si mette alla ricerca di un pezzo di storia che deve essere raccontata.
È difficilissimo racchiudere oltre 1000 pagine in pochi paragrafi. Questo è un libro di quelli che ti permettono di cadere dentro la storia, di andarci a vivere, di abitarla e che ti dispiace lasciare andare. È un libro che ti accoglie, che ti invita a entrare anche se ha in programma di farti vivere una pagina di orrore, perché comunque, in un angolo, c’è ancora il profumo della cioccolata.
Le Assaggiatrici di Rossella Postorino
Con questo romanzo, l’autrice calabrese Rossella Postorino ha vinto il Premio Campiello nel 2018. Il romanzo si ispira alla storia vera di Margot Wölk, che fu assaggiatrice di Hitler nella caserma di Krausendorf. La protagonista del romanzo è Maria Sauer, che da Berlino si sposta nella Prussia Orientale, dove va a vivere con i suoceri, perché della sua vita berlinese non resta più nulla. Ha perso sua madre sotto i bombardamenti, suo marito è al fronte, non ha più una casa. Nel paesino in cui approda riceve un’offerta di lavoro che, letteralmente, non può rifiutare: diventare una delle assaggiatrici incaricate di provare tutti i pasti destinati al Führer, per verificare che non siano avvelenati. Si tratta di un lavoro ben pagato e che garantisce ottimi pasti quotidiani – cosa tutt’altro che scontata, nella Germania stritolata dallo sforzo bellico e dai bombardamenti alleati – ma anche di un’esperienza enormemente controversa, per più motivi. In primo luogo perché ci si trova a collidere con il Male, il che è moralmente complicato, se non si è convinte naziste come alcune delle colleghe di Maria, che sono addirittura esaltate all’idea di rischiare la vita per il Führer.
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E poi ci sono i rapporti interni all’ambiente lavorativo, fra ostilità e paura, gerarchie rigide e un tenente che arriva a prendere il controllo della caserma instaurando un clima di terrore, prima di imporre alla protagonista una dinamica inquietante, un rapporto nel quale potere e necessità si intrecciano in modo ineluttabile, sgradevole, impossibile. Si tratta di un libro estremamente fisico, corporeo, orale e quasi “gastrico”. Non solo nelle scene dei pasti, consumati in silenzio sotto lo sguardo delle SS, ma in tutto il racconto si resta sempre acutamente coscienti del fatto che gli esseri umani articolano la propria vita filtrando l’esistenza con il corpo, che altro non è che un tubo attraverso il quale passa sempre qualcosa. Questo è un libro di cose che entrano e cose che escono, di cose che si mettono in bocca, che si assaporano, che si sentono nello stomaco, nell’intestino, che si filtrano con i reni e con il fegato, nella dolorosa consapevolezza di un’umanità che accomuna tutti. Anche i nemici. Anche gli aguzzini. Anche Hitler. Tutto il resto si installa “sopra” il corpo: l’amore, il desiderio, la mancanza, il dolore, la nostalgia, le rivalità, le lotte di potere.
Addio a Berlino di Christopher Isherwood
Con questo classico di Isherwood torniamo indietro di qualche anno: siamo negli anni ’30, i nazisti stanno rapidamente guadagnando potere in Germania, ma non hanno ancora svelato la pienezza e vastità dell’orrore di cui saranno capaci. Berlino è una città che vive ancora gli strascichi di una rutilante società degli eccessi, ma non senza i segni inconfondibili della repressione. La capitale è stata un centro di vita libera e disinibita per tutti gli anni ’20, un paradiso di diversità etniche e sessuali. La libertà sperimentata, però, si va incrinando. Il libro segue, attraverso capitoli che si possono definire “monografici” più che cronologici, una serie di personaggi che formano una folla colorata, un affresco storico per il quale Isherwood ha preso a piene mani (romanzando) dalla propria esperienza personale. C’è la ricca ereditiera ebrea e la padrona di casa che fa da indiscutibile “linea comica”. Ci sono Peter e Otto, la coppia gay in crisi, e c’è la prostituta con l’affezionato cliente giapponese, che non parla il tedesco e ama starsene con lei nel letto ad ascoltare il grammofono. C’è Sally Bowles, dalla vita sessuale e sentimentale frenetica, che passa da un uomo all’altro con voracità e un fondo di malinconia. E, naturalmente, c’è Berlino, che è un personaggio a sé e che sa accogliere e abbracciare tutto questo variopinto carrozzone umano, ma che si trova a fare i conti con la presenza sempre più ingombrante dei nazisti che minacciano, colpiscono, spaccano le finestre nei negozi degli ebrei, impongono la violenza della loro ideologia su una città che, in larga parte, non li vuole e non li ha mai voluti (dopo tutto, anche Hitler odiava Berlino). Un quadro umano che aiuta a rimettere insieme i frammenti delle storie nel tessuto più ampio di quella che sappiamo essere la Storia.
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