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L’orrore di Dachau: questo fu il prototipo di tutti i campi di concentramento

Il nome della cittadina bavarese di Dachau è indelebilmente collegato a uno degli episodi più sinistri della storia umana. Qui sorse infatti il primo campo di concentramento costruito dal regime nazista: a soli 16 chilometri a nord di Monaco, venne costruita la prima di una serie di strutture destinate a sistematizzare l’orrore come mai prima si era fatto nella storia dell’umanità. Inizialmente concepito per imprigionare i prigionieri politici, il campo di concentramento di Dachau assunse un ruolo centrale nella macchina dello sterminio nazista, non solo perché il suo utilizzo fu ampliato per includere molte altre categorie di prigionieri, ma soprattutto perché finì per diventare il modello per i numerosi campi di concentramento che seguirono e per la violenza metodica e inumana, che le SS praticarono sugli oppositori del regime, su tutti coloro la cui stessa esistenza era considerata incompatibile con gli ideali del nazismo e, naturalmente, sugli ebrei di tutta Europa.

Dachau
Il cancello d’ingresso del campo di concentramento di Dachau Foto: Lisa van Dijk on Unsplash

L’inizio dell’orrore

La genesi del campo di concentramento di Dachau risale al 1933, poche settimane dopo l’ascesa al potere di Adolf Hitler come Cancelliere del Reich. Il campo fu creato sul terreno di una fabbrica di polvere da sparo e munizioni in disuso e progettato inizialmente, come già accennato, per imprigionare soprattutto i prigionieri politici, come i comunisti e i socialdemocratici tedeschi. I primi detenuti furono portati qui il 22 marzo 1933.

Fu quasi automatico, per i fautori della repressione sistematizzata, trasformare questa struttura in una specie di prototipo non solo dal punto di vista della costruzione e organizzazione dello spazio, ma anche da quello della gestione. Oltre al campo principale, furono costruiti via via anche numerosi “sottocampi” sussidiari, per accogliere il numero sempre crescente di internati provenienti non solo dalla Germania, ma anche dai territori annessi durante la guerra. Dachau arrivò ad avere 140 di questi campi secondari.

Qui le SS, sotto il comando di Theodor Eicke, svilupparono le regole brutali e le pratiche inumane che diventarono poi comuni in tutti i campi di concentramento e che si tradussero nella tragedia dell’olocausto.

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Una delle baracche, ricostruita all’interno di quello che oggi è il memoriale del campo di concentramento.

La notte dei Lunghi Coltelli

In tedesco la si conosce come il “Röhm Putsch”, ovvero il “colpo di stato di Röhm”. Nell’estate del 1934, le SA, il corpo militare co-fondato da Ernst Röhm, furono “epurate”, con l’accusa di aver progettato un rovesciamento del potere. Le SS, su ordine di Hitler, assassinarono membri e ufficiali delle SA in tutto l’impero, consolidando così il proprio potere nella macchina dittatoriale nazista. 21 di questi omicidi furono commessi proprio a Dachau. Le unità delle SS assunsero il controllo di altri campi di concentramento fino ad allora gestiti principalmente dalle SA. Eicke, nel frattempo nominato “Ispettore dei campi di concentramento”, impose il “modello Dachau” da lui personalmente sviluppato come standard da seguire in tutti gli altri campi di concentramento.

Il modello Dachau

Nonostante i campi di concentramento siano una delle caratteristiche più note del regime nazista, il loro utilizzo non venne sistematizzato fin da subito. Fu solo nel 1935 che Adolf Hitler decise effettivamente di utilizzare il sistema dei campi di concentramento come strumento permanente di repressione e, quindi, di estenderne la portata.

Questo portò a una vasta riorganizzazione: con l’eccezione del campo di concentramento di Dachau, tutti i primi campi vengono sciolti e ricostruiti come luoghi di detenzione più grandi e meglio organizzati. Per allora, anche le categorie di prigionieri si erano ampliate: oltre agli oppositori al regime, venivano ora internati anche individui profilati per motivi di discriminazione razziale e cosiddetta “igiene sociale”. Nei campi arrivarono i cosiddetti antisociali, i delinquenti abituali, tutti coloro i cui sili di vita erano considerati difformi dai dettami del regime e anche le minoranze come testimoni di Geova, rom, sinti, omosessuali e, naturalmente, milioni di ebrei.

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Forno crematorio a Dachau

Tra il 1933 e il 1945, il regime nazista costruì oltre 44.000 fra campi e altri luoghi di detenzione, di varie dimensioni. Questi luoghi furono utilizzati per scopi diversi, dal lavoro forzato all’internamento dei presunti “nemici dello Stato”, fino all’annientamento di gruppi considerati indesiderati, primi fra tutti gli ebrei. La loro organizzazione e la loro terribile routine, che ne rendeva possibile il funzionamento, trassero ispirazione proprio dall’esperienza di Dachau.

Dopo il 1939, con l’inizio della guerra, le condizioni di prigionia nel campo erano peggiorate drasticamente. Ogni nuova invasione, durante l’inarrestabile avanzata europea dell’esercito tedesco, portava con sé nuovi pogrom e nuove deportazioni e la popolazione di Dachau continuava ad aumentare. Il campo venne esteso più volte, sfruttando, ovviamente, la forza lavoro dei prigionieri, che venivano obbligati a costruire e rafforzare il luogo stesso destinato al loro tormento e al loro sterminio.

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Prigionieri di Dachau all’arrivo delle forze armate americane il 29 aprile 1945.
Foto: United States Holocaust Memorial Museum, Public domain, via Wikimedia Commons

L’unica parentesi durante la quale il campo non funzionò come luogo di detenzione si ebbe proprio all’inizio del conflitto: alla fine di settembre del ‘39, le SS fecero evacuare temporaneamente il campo per utilizzarlo come terreno di esercitazione militare della divisione SS “Testa di Morto”. Fino alla primavera del 1940 oltre 5.000 prigionieri furono spostati nei campi di concentramento di Flossenbürg, Mauthausen e Buchenwald.


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Sempre a Dachau, nel 1942, fu costruito uno dei primi crematori per smaltire il crescente numero di cadaveri che si accumulavano non solo in seguito alle esecuzioni, che avvenivano in genere per impiccagione o fucilazione, ma anche alle epidemie di tifo, alle numerose morti per fame e agli atroci esperimenti ai quali alcuni prigionieri erano sottoposti.

Il campo rimase attivo per 12 anni in tutto e dalle sue fatiscenti baracche passarono oltre 200.000 persone, 41.500 delle quali furono uccise.

La liberazione e il memoriale

Quando, il 29 aprile 1945, il 42esimo Reggimenti di Fanteria degli Stati Uniti liberà Dachau, all’interno del campo erano registrati 67.665 prigionieri, tra cui 22.100 ebrei. Di fatto, furono trovate vive circa 32.000 persone, stipate in condizioni inumane in una ventina di baracche: circa 1600 esseri umani erano compressi in strutture costruite per ospitarne al massimo 250. Inoltre, furono rinvenuti circa 30 vagoni ferroviari colmi di cadaveri.

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Parte del memoriale di Dachau.

A partire dal 1965, qui sorge un memoriale, voluto dal Comitato Internazionale di Dachau. Come quasi tutti i siti che hanno ospitato campi di concentramento, oggi la cittadina bavarese si dedica a preservare la memoria dell’Olocausto.

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