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L’orribile storia di Karl Denke, il cannibale di Münsterberg

Karl Denke visse nella città slesiana di Münsterberg (oggi Ziębice) tra la fine del 1800 e i primi decenni del novecento. Si guadagnava da vivere intrecciando cesti e realizzando ciotole che poi vendeva al mercato.

Era ritenuto da tutti un gran lavoratore e una persona amichevole, per quanto molto taciturna e dai modi un po’ burberi. Si faceva notare per le numerose offerte fatte in favore dei bisognosi e spesso si offriva di aiutare durante i funerali, trasportando corone di fiori o bare. Si era inoltre guadagnato il nomignolo di “papà Denke”, perché era solito offrire vitto e alloggio a persone senza fissa dimora. Nell’inverno del 1924, tuttavia, successe qualcosa che rivelò la vera natura di “papà Denke”, sconvolgendo tutti.

La doppia vita di “papà Denke”, l’uomo che offriva riparo ai viandanti

Tra le persone che Denke invitava a casa, in Teichstraße 10, c’erano anche molti lavoratori a giornata, che spesso vagabondavano in cerca di qualcosa da fare per sostentarsi. Uno di loro, Vincenz Olivier, passò da Münsterberg il 21 dicembre 1924 e fu indirizzato proprio a casa di Denke, che gli diede da mangiare della carne e gli chiese di scrivere una lettera per lui, offrendogli carta, matita e una ricompensa di 20 pfennig. La salvezza di Olivier fu che l’incipit della lettera (“Adolph, trippone che non sei altro!”) lo colpì al punto da spingerlo a girarsi, facendo in tempo a vedere Denke che si scagliava contro di lui con un piccone.

Aver intercettato Denke in anticipo fu la ragione per cui Olivier non venne colpito sulla testa, ma solo ferito alla tempia. L’uomo riuscì a disarmare l’aggressore e a fuggire, sanguinando e gridando “un pazzo vuole uccidermi!”. Attraverso la porta aperta i vicini, accorsi dopo aver sentito le urla, potevano vedere Denke digrignare i denti e guardare nel vuoto, tra gli spasmi.

Il cannibale Karl Denke nella sua bara, dopo il suicidio avvenuto il 22 dicembre 1924. La foto è stata scattata nel dipartimento di medicina legale di Breslau.
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La casa degli orrori del “cannibale di Münsterberg”

Sorprendentemente, la denuncia alle autorità cittadine non sortì inizialmente alcun effetto. Denke era infatti molto benvoluto a Münsterberg e fu piuttosto Olivier a essere incarcerato per due settimane, per accattonaggio e vagabondaggio. Il magistrato, però, a stretto giro fortunatamente ci ripensò, ascoltò di nuovo la testimonianza di Olivier e il 22 dicembre dispose l’arresto di Denke. Il 23 dicembre “papà Denke” fu ritrovato impiccato nella sua cella. Aveva 64 anni. Il motivo dell’arresto divenne chiaro, quando la casa in Teichstraße 10 fu perquisita, rivelando il suo orrore.

Nel capanno in giardino furono trovati 420 denti e 480 ossa umane. Gli investigatori trovarono anche resti di carne umana arrostita in alcuni piatti, mentre in diversi barili vicino al letto c’era carne umana in salamoia, la stessa che era stata data da mangiare a Olivier.


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Appare quindi più che probabile che Denke, ribattezzato rapidamente “il cannibale di Münsterberg”, avesse spesso nutrito le potenziali vittime con la carne delle vittime precedenti. Del resto, lui stesso si cibava nello stesso modo. La pelle era stata invece convertita in bretelle o in corde, che Denke utilizzava per realizzare i cesti che vendeva al mercato di Breslau, ma c’è di più.

L’uomo registrava infatti su un taccuino l’elenco aggiornato delle delle vittime, 30 in totale, quattro donne e per il resto uomini. La prima vittima, Ida Launer, risaliva al 21 febbraio 1903, l’ultima sarebbe dovuta essere proprio Olivier, per cui era già stato registrato il numero 31. Sul taccuino Denke annotava anche il peso e l’altezza delle persone uccise e lo aveva fatto per più di vent’anni.

Il taccuino con la lista delle vittime

In base ai nomi registrati sulla lista, fu possibile accertare che, nel 1910, il macellaio Eduard Trautmann era stato ingiustamente arrestato per un omicidio commesso in realtà da Denke, quello di una mendicante di 25 anni, Emma Sander, uccisa nel 1909. Per questo delitto Trautmann era stato condannato a quindici anni di prigione. L’uomo era stato rilasciato nel 1922 per buona condotta e l’errore giudiziario fu scoperto solo dopo il suicidio di Denke, nel 1924.

Di fronte a prove così evidenti i vicini caddero dalle nuvole, come spesso accade in questi casi. Riferirono di aver sentito Denke segare e martellare durante la notte, ma di aver pensato che stesse costruendo le ciotole che vendeva al mercato, non certo che stesse smembrando delle persone. Dissero anche di averlo visto mentre smaltiva secchi di sangue in giardino, ma di aver pensato che stesse macellando clandestinamente dei cani, a causa della carestia post-bellica.

Inevitabilmente l’opinione pubblica cominciò a collegare Denke a Fritz Haarmann, il “cannibale di Hannover“, e a chiamare Denke l'”Haarmann della Slesia”. Haarmann era stato condannato a morte quattro giorni prima della macabra scoperta in casa di Denke, con l’accusa di aver trucidato 27ragazzi. Sovrapporre le figure fu quindi automatico, considerata l’eco che i due casi ebbero, in un periodo storico in cui vicende simili riverberavano per anni. In un’intervista, Fritz Lang dichiarò in seguito che anche Denke gli era stato di ispirazione per il suo film, “M.”, uscito nel 1931, sette anni dopo i terribili eventi della Slesia e di Hannover.

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