Le regine degli scacchi: perché le donne transgender sono bandite dalle competizioni femminili internazionali?

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Vi è mai capitato di fare una battuta che consideravate paradossale, sentirvi fieri del vostro umorismo, per poi venir presi sul serio dalla vita? Vi è mai capitato di fare un’ipotesi volutamente assurda e vederla avverarsi? A me sì, ma non è una bella sensazione. Quando si dibatteva di donne transgender nello sport e dei divieti motivati dal presunto “ingiusto vantaggio” sulle donne cis, con complesse considerazioni sui livelli di testosterone e lo sviluppo della massa muscolare, ho più volte commentato “prima o poi arriveranno a vietare alle donne transgender di giocare a scacchi”.

Nel caso non fosse chiara, la spiego, anche se le battute sono sempre molto meno divertenti, quando le si spiega. Il mio intento era indicare come la stragrande maggioranza delle voci contrarie alla presenza delle donne transgender nello sport non fosse altro che transfobia mal travestita da preoccupazione “scientifica” e che prima o poi si sarebbe palesata come tale, applicandosi anche a sport nei quali la condizione fisica dei partecipanti non è minimamente rilevante, come gli scacchi. Perché sì, gli scacchi sono uno sport, uno sport estremo e per di più estremamente violento, e noi scacchisti ci offendiamo moltissimo quando il resto del mondo non lo capisce.

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Quando facevo questa battuta, però, non pensavo che tale situazione si sarebbe mai presentata, perché, riflettevo, nella mia adorabile ingenuità, sarebbe davvero troppo difficile difendere pubblicamente una posizione basata solo ed esclusivamente sulla volontà di discriminare. Questo è tanto più vero se si considera che la stragrande maggioranza delle competizioni scacchistiche, compresi i mondiali, sono aperte a chiunque si qualifichi, indipendentemente dal genere. Come sarebbe stato possibile, pensavo, puntare il dito verso le persone transgender e dire “può partecipare chiunque, ma non voi”?

Ci è riuscita la FIDE, la Federazione Internazionale degli Scacchi, in un documento di questo mese che ha suscitato un’ondata di sdegno, ma che, a mio parere, non è stato adeguatamente apprezzato come esemplare sublime di un genere letterario caro al nostro Paese: la supercazzola.

Le donne (tutte le donne) negli scacchi

Ma andiamo con ordine, facendo una piccola premessa per coloro che non avessero familiarità con l’affascinante mondo degli scacchi. Avete presente la serie di Netflix in cui una donna lotta contro le difficoltà e il sessismo e gioca benissimo ed è sempre bellissima, specialmente quando è strafatta? Ecco, è vera a metà. Nel senso che a scacchi si gioca molto male se si è bevuta anche solo una birra ma l’avversario è sobrio e, se stai dando i numeri per il troppo alcol e l’eccesso di droghe, di solito non lo fai in pose plastiche e con un grazioso maglioncino di angora. Però è vero che si tratta di un contesto profondamente sessista.

Sul perché gli scacchi siano uno sport dominato dagli uomini si è discusso moltissimo e litigato ancora di più. Uno dei motivi è ovvio: per tutti i secoli nei quali alle donne venivano precluse tutte le attività intellettuali e veniva loro chiesto di specializzarsi solo nell’accudimento della casa, dei figli e dei mariti, gli scacchi erano, semplicemente, un passatempo per maschi intelligenti. E d’altra parte, se le donne non valeva la pena di farle studiare, di alfabetizzarle, di permettere loro di partecipare in alcun modo ad attività intellettuali, a chi mai sarebbe venuto in mente di suggerir loro come hobby gli scacchi, anziché il tombolo? Certo, ci sarà stata qualche eccezione, qualche figlia di padre illuminato, ma certo non abbastanza da diventare un fenomeno rilevante.

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Nel ventesimo secolo, forse giustamente entusiasmate dal fatto che sempre più donne potevano studiare, votare e decidere di non rimanere incinte una volta ogni anno e mezzo, abbiamo iniziato anche noi a giocare a scacchi. Ovviamente, prima di acquisire rilevanza nel settore è passato del tempo: si trattava di superare qualche secolo di vantaggio e il fatto che il numero di donne interessate allo sport fosse sempre molto ridotto rispetto a quello degli uomini. E poi c’è il sessismo.

Non è facilissimo inserirsi con serenità all’interno di un circolo sportivo o di altro tipo, se la maggior parte dei membri non si fa problemi a dirti che ritiene le donne meno intelligenti degli uomini “per natura”, meno analitiche, troppo vaghe, distratte ed emotive per un’attività intellettuale intensa e complessa come gli scacchi, che richiedono una grande capacità di pensiero strategico. Per questo sono nati i primi club di scacchi per sole donne e, a partire dagli anni ’20 del XX secolo, competizioni esclusivamente femminili. Alcune di queste, oggi, esistono ancora, ma la maggioranza dei campionati non fanno distinzioni di genere.

Il comunicato della FIDE

E poi arriva la FIDE, con un comunicato in un inglese a tratti zoppicante, nel quale non si capisce benissimo se il problema sia la scarsa padronanza della lingua da parte degli svizzeri francofoni (la FIDE ha sede a Losanna) o se le posizioni espresse siano talmente indifendibili da aver reso la loro argomentazione linguisticamente impossibile.

Analizziamo la supercazzola.

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La FIDE parte bene, avvisandoci che sa cosa sia un’identità di genere. Per il direttivo della federazione, l’identità di genere in un individuo è quella che si manifesta nella sua vita quotidiana E ANCHE viene confermata dai documenti che all’individuo vengono rilasciati dalle autorità nazionali competenti. È un modo arzigogolato, ma non del tutto privo di logica, per dire “quando vi registrate presso la federazione, sappiate che a noi interessa quello che avete scritto sul documento di identità, quindi, se il genere assegnato alla nascita non vi sta bene, vedetevela con le autorità del vostro Paese, prima di venire a rompere le scatole a noi”.

Poco dopo, al punto 2.3, la FIDE ci informa però che il cambio di genere “ha un impatto significativo sullo status del giocatore e possibilità di iscriversi in futuro ai tornei” e che quindi la federazione registra il cambio “solo se si forniscono prove sufficienti” (come sentenze di tribunali e altri documenti che attestano la transizione) e che, prima di richiedere il cambio di genere nella registrazione alla FIDE, si deve essere consapevoli di tali limitazioni e impegnarsi a rispettarle. E qui uno potrebbe chiedersi perché il genere dovrebbe avere un impatto significativo nella possibilità di iscriversi ai tornei. Se vi aspettate una risposta, sappiate che non la troverete in tutto il documento, ma la potete ipotizzare. Il fatto che le donne (solo le donne) transgender non possano partecipare a certe competizioni è dato sempre per scontato e mai motivato. Non possono e basta.

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C’è anche un meraviglioso passaggio nel quale la FIDE punta a fare la parte dell’organismo non discriminatorio, specificando che, se una federazione nazionale rifiuta di registrare un cambio di genere, ma la FIDE in seguito lo accetta, la federazione nazionale in questione non può rifiutarsi di cambiare il nome e il genere del/la richiedente e che, qualora lo facesse, tale comportamento sarebbe considerato discriminatorio. Ma non lasciatevi ingannare, la non discriminazione si limita alla registrazione del nome, ma poi la bordata transfobica arriva in tutta la sua meravigliosa mancanza di logica e arriva, come sempre, solo per le donne transgender.

Cito testualmente:
“Nel caso in cui il genere sia stato cambiato da maschile a femminile, il giocatore non ha il diritto di partecipare a eventi ufficiali FIDE per donne fino a una nuova decisione della FIDE. Tale decisione dovrà essere basata su un’analisi più approfondita e sarà presa dal Consiglio FIDE il prima possibile, ma non oltre i due anni. Non ci sono restrizioni per giocare nella sezione open (quella aperta indipendentemente dal genere, n.d.r.) per una persona che ha effettuato un cambio di genere”.

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Questo è anche il motivo per cui, in questo caso, non si parla di uomini transgender: non esistono competizioni per soli uomini, mentre esistono, più per tradizione che per altro, quelle per sole donne. Ed è a queste che le donne transgender non possono partecipare, fino a quando non lo decide la FIDE, dopo una “approfondita analisi”. Analisi di che? La FIDE non ce lo dice. Perché non possono partecipare? Perché la FIDE ha deciso che non possono. E potrebbe metterci due anni a decidere che invece possono. O forse no.

Di uomini trans si parla in caso di titoli: quando si transiziona, si perdono tutti gli eventuali titoli nei campionati femminili, che si possono però ri-ottenere se si de-transiziona. I titoli persi possono essere sostituiti da altri di livello uguale o inferiore nelle competizioni aperte. Se invece una donna trans ha già dei titoli acquisiti al momento della transizione, tali titoli restano in vigore, ma, per potersi candidare a nuovi titoli nelle categorie femminili, la giocatrice potrà usare solo il punteggio che ha da quel momento in poi: non sarà possibile prendere in considerazione i picchi di punteggio totalizzati “prima” (prima di che? Prima che il suo “cervello maschile” troppo brillante venisse sostituito da un cervello ottuso dagli estrogeni? A questo punto verrebbe da chiedersi se, alla FIDE, sappiano come funziona un processo di transizione di genere).

Va notato che, negli scacchi, i punteggi funzionano un po’ come nel tennis, ovvero sono universali: in ogni momento si sa chi è il primo al mondo, chi sono i primi dieci, i primi cento. Chiunque, anche se non è iscritto alla federazione ed è un semplice amatore, può conoscere il proprio punteggio rispetto agli standard mondiali. Il punteggio, insomma, è indipendente dal genere, anche perché lo calcola un algoritmo. Per tutti, meno che per le donne trans.

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Scacco matto per le terf

Fin qui la situazione a grandi linee. Confesso che, appena appresa questa novità ai limiti del ridicolo, sono andata a controllare le bacheche delle più note TERF a livello internazionale, cominciando dall’immancabile J.K. Rowling e andando a spulciare anche fra le più feroci “femministe” transescludenti di casa nostra, ma non ho trovato una parola in merito. Come mai? Mi sono detta, all’inizio, che forse è perché non sanno nulla di scacchi. Però, ho ribattuto a me stessa, quando mai l’incompetenza le ha fermate?

Sono anni che parlano di livelli di testosterone, effetti a lungo termine di inibitori della pubertà e sviluppo struttura ossea applicato al triathlon, e lo fanno con conoscenze di biologia e anatomia che si fermano al sei e mezzo strappato per pietà alle superiori una trentina d’anni fa e con un’esperienza sportiva che non va oltre il sollevamento di polemiche. E allora perché tacciono? Hanno finito i giga a disposizione, come Salvini quando sulle prime pagine c’è un crimine commesso da un italiano?


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Il motivo potrebbe essere un altro. La transfobia, per quanto le TERF si sforzino di elevarla a sistema di pensiero autonomo e dignitoso, non si distacca né può distaccarsi dalla misoginia. E se, quando si tratta di sport come il basket e il ciclismo, i commenti transfobici parlano di un “ingiusto vantaggio” delle donne trans per via della loro conformazione fisica, che permetterebbe loro di sfruttare la forza o la resistenza o la velocità “naturalmente maggiori” di un corpo maschile, è assai più difficile, per una che si considera femminista, usare la stessa argomentazione quando si tratta di capacità cognitive e intellettive.

Eppure è quella l’argomentazione. SOLO quella. Sforzatevi pure di cercarla: non ce n’è un’altra. Negli scacchi si usa il cervello. Non servono i muscoli, non serve l’altezza, non servono neppure le mani, le gambe, gli arti. Teoricamente non servono neppure gli occhi. Gli scacchi sono uno dei pochissimi sport nei quali una persona senza alcuna disabilità fisica può competere alla pari con una persona con gravissime compromissioni fisiche. L’idea che le donne trans non possano gareggiare con le donne cis in un campionato femminile è giustificabile solo con l’idea che un cervello che si è sviluppato in un corpo maschile funzioni meglio di uno che si è sviluppato in un corpo femminile.

Sessismo, transfobia e misoginia

Naturalmente di questa motivazione non c’è traccia nel comunicato della FIDE, perché a scriverlo sono stati pur sempre degli scacchisti, che quindi non sono né scemi né ingenui, ma ce ne sono invece abbondanti tracce nella storia degli scacchi e nel dibattito che li circonda. Questa argomentazione usava il gran maestro americano Bobby Fischer nella famosa intervista del ’63 in cui disse che gli scacchi non erano adatti alle donne, perché le donne “non sono tanto intelligenti”. La versione “addomesticata” di questo commento la produsse il suo collega inglese Nigel Short, dicendo che il cervello delle donne è “impostato” per avere capacità diverse da quelle richieste per gli scacchi. La stessa espressione “hard-wired”, ovvero “impostato per natura” a proposito del cervello femminile, che si suppone meno incline all’analisi e al ragionamento e più all’empatia e all’accoglimento, viene usata oggi in qualsiasi forum di scacchisti nel quale si discuta del perché ci siano meno donne che uomini fra i punteggi più alti del mondo.

Il che dimostra che si può anche avere un punteggio Elo di 2500, ma non capire i principi di base della statistica. Certo, ogni tanto arriva qualche anima pia, che cerca di spiegare che è normale che ci siano meno donne con titoli apicali, considerando che ci sono in generale meno donne. Esattamente come ci sono meno persone mancine dai capelli rossi con il titolo di gran maestro, di quante non ce ne siano castane con gli occhi marroni. Ci sarebbe molto altro da dire sui risultati ottenuti dalle donne negli scacchi, ma non è questa la sede per farlo, torniamo alle TERF.

J.K. Rowling alla Casa Bianca nel 2010. Executive Office of the President, Public domain, via Wikimedia Commons

Con che faccia una femminista militante potrebbe mai argomentare che una donna transgender, in una partita a scacchi con una donna cisgender, gode dell’ingiusto vantaggio di avere un cervello da maschio e quindi “migliore”? Impensabile. Bisognerebbe prima trovare un’altra ragione per difendere il fatto che le donne possano partecipare ai tornei con gli uomini, ma non il contrario, senza ricorrere alla spiegazione vera, cioè che gli uomini non hanno problemi a lasciar partecipare le donne (quelli civili perché ritengono che il genere sia irrilevante negli scacchi, gli altri perché ritengono che le donne non rappresentino un pericolo, in quanto più stupide), mentre le donne vogliono tornei in cui non partecipino gli uomini (probabilmente per non doversi confrontare con il loro sessismo, più che per timore della loro presunta superiore intelligenza).

Sta di fatto che, al momento, su Twitter, a festeggiare la decisione della FIDE sono solo fondamentalisti religiosi e orgogliosi fascisti con la bava alla bocca e le aquile nell’avatar. In casa Rowling è andato via il wi-fi.

Le federazioni nazionali di scacchi non seguono la FIDE

Va anche notato, però, che a contrastare questa ridicola delibera non sono solo le associazioni e gli attivisti che si occupano di diritti delle persone trans, ma anche le federazioni nazionali degli scacchi. Quelle di Francia, Germania e Inghilterra, per esempio, non hanno recepito la direttiva della federazione internazionale. La federazione tedesca ha anche diffuso una nota in cui specifica che non esclude le donne transgender, celebrando il fatto che una di loro (Annemarie Sylvia Meier) abbia già vinto il campionato tedesco femminile nel 2003.

Nella nota si esprime anche una forte perplessità sulla compatibilità fra le direttive della FIDE e le leggi che tutelano i diritti delle persone transgender in diversi Paesi, specificando che, per la federazione tedesca, è “incomprensibile” che una donna transgender, riconosciuta e identificata come tale, non sia libera di partecipare alle competizioni femminili di scacchi.

 

Se la FIDE, come è stato chiesto da più parti, riconsidererà le proprie posizioni è presto per dirlo. Su quali motivazioni fantasiose possano essere addotte per giustificare tali posizioni si può solo speculare, visto che il comunicato ufficiale è apodittico in tal senso. Non si può partecipare perché ci sono delle restrizioni e ci sono delle restrizioni perché partecipare non è possibile.

La vera domanda è: chi avrà per primo il coraggio di avventurarsi nelle acrobazie dialettiche di una spiegazione del perché il cervello maschile è più adatto al gioco degli scacchi di quello femminile? Lo farà prima la FIDE o lo faranno prima le TERF? E qualcuna di loro sta già chiedendosi come sia finita in compagnia di gente che ritiene che le donne siano adatte al ricamo e non agli sforzi intellettuali? A quest’ultima domanda, la risposta è semplice: è il riduzionismo biologico, bellezza. Se ti accompagni a chi sostiene che a definirci sono le nostre primarie funzioni biologiche, prima o poi ti troverai dalla stessa parte della barricata di un troll americano con il cappellino MAGA che ti chiederà di andare in cucina a fargli un sandwich. C’est la vie.

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