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Germania, non più locomotiva, ma “il malato d’Europa”: l’impietosa analisi dell’Economist

Questa settimana, The Economist ha pubblicato un editoriale che descrive la Germania come un Paese in grave crisi, con un’economia in declino, una burocrazia pesante e obsoleta e modelli di business superati. Una descrizione impietosa di quella che era ritenuta una locomotiva e che adesso, a quanto pare, riesce a stento ad arrancare.
La copertina del noto settimanale britannico amplifica il concetto: mostra infatti l’Ampelmann, il famoso omino stilizzato dei semafori tedeschi, rivisitato mentre spinge una flebo avanti a sé. Il titolo è radicale e incisivo: “La Germania è di nuovo il malato d’Europa?”.

La Germania è ormai “il malato d’Europa”: l’editoriale dell’Economist

I segni tangibili della crisi sono evidenti e l’editoriale li analizza tutti: l’economia tedesca ha registrato una contrazione o stagnazione per tre trimestri consecutivi e potrebbe addirittura essere l’unica grande economia a contrarsi, nel 2023. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, inoltre, nei prossimi cinque anni la Germania crescerà più lentamente rispetto a Stati Uniti, Regno Unito, Francia e persino Spagna.

Già nel 1999, The Economist aveva questa espressione, “il malato d’Europa“, per descrivere una Germania all’epoca in crisi a causa delle conseguenze della riunificazione, in termini di crollo di esportazioni e disoccupazione dilagante. Poi c’era stata la ripresa, con le riforme di Schröder all’inizio degli anni 2000 e un lungo periodo in cui Berlino sembrava davvero trainare l’Europa, al punto tale che alcuni continuano a ritenere che sia così.

In realtà la situazione è drasticamente cambiata e non è più quella dei tempi d’oro. Il settimanale briannico fornisce la sua spiegazione: mentre il resto del mondo avanzava, la Germania è stata ferma ed è quindi rimasta indietro, ma perché è accaduto?


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Un Paese rimasto indietro a causa della mancanza di investimenti e di una burocrazia obsoleta

Per l’Economist, il vero problema è una pavida incapacità di investire e la tendenza della Germania ad arroccarsi su attività di mero mantenimento delle sue industrie storiche, senza vedere nulla al di là delle ossessioni di bilancio. Meno della metà del prodotto interno lordo tedesco, ad esempio, è investita in digitalizzazione e tecnologie dell’informazione, rispetto ad America e Francia. La burocrazia è poi un problema a parte: farraginosa, invasiva e a volte incomprensibile, ha spesso un impatto deleterio sull’economia. Un esempio tra tutti: per costituire un’impresa, in Germania, ci vogliono 120 giorni, il doppio della media OCSE. Un elemento di ulteriore complicazione, per chi voglia fare affari nel Paese.

il governo si indebiterà Lindner
Il ministro federale delle finanze, Christian Lindner, ottobre 2022. Photo credits: EPA-EFE/HANNIBAL HANSCHKE

A complicare le cose, la riduzione delle esportazioni in Cina, una transizione energetica difficilissima e la mancanza di manodopera

L’editoriale affronta naturalmente molti altri problemi della Germania, dalla miopia mostrata nell’appoggiarsi troppo alle esportazioni verso la Cina al fatto che il Paese stia vivendo malissimo la transizione energetica, considerando che l’industria tedesca consuma quasi il doppio dell’energia rispetto alla seconda economia europea, che l’impronta di carbonio dei tedeschi supera quella di francesi e italiani e che l’abbandono del nucleare è avvenuto contemporaneamente alla chiusura dei rubinetti del gas russo a basso costo, con un impatto congiunturale massimo.

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Un altro nodo critico è la carenza di lavoratori qualificati, visto che, nei prossimi cinque anni, due milioni di baby boomer andranno in pensione e già oggi circa il 40% dei datori di lavoro afferma di non riuscire a trovare personale adatto.

Le risposte insufficienti della politica e le difficoltà del governo

In tutto questo, l’Economist attacca frontalmente l’esecutivo di Olaf Scholz, parlando di una coalizione a semaforo incapace di gestire la crisi, divisa da correnti interne inconciliabili e soprattutto terrorizzata dall’avanzata di AfD nei sondaggi, cosa che impedirebbe a qualsiasi forza politica al governo di fare manovre “audaci” per uscire dalla crisi, per paura di favorire l’ultradestra. Ma quali sarebbero gli interventi da fare per “salvare” l’economia tedesca?

Cosa può fare il “malato d’Europa” per guarire?

L’Economist suggerisce una soluzione: investire finalmente in infrastrutture e tecnologia, attirare nuovi talenti, semplificare la burocrazia attraverso la digitalizzazione e aumentare gli investimenti rinunciando al feticismo di bilancio, anche accettando qualche rischio e anche se i tassi di interesse non sono più quelli del 2010. Questa, almeno, è la ricetta che arriva dal Regno Unito. Quanto sia attuabile e quanto possa funzionare è invece una sfida complessa, che la Germania, però, non può non raccogliere, visto che naviga in una delle fasi più complicate della sua storia e della storia dell’Europa.

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