Che cosa vuol dire “farcela” in Germania? Intervista ad Adriano Vinci, imprenditore e ottimista
Che cosa vuol dire “farcela” in un altro Paese? Le risposte a questa domanda, ovviamente, sono tante quante le persone alle quali la si rivolge. Per chi, come noi, ha scelto di portare il centro della propria vita dall’Italia alla Germania, “farcela” può voler dire inseguire la carriera desiderata oppure formarsi una famiglia, per altri può essere trovare un’occupazione sicura che permetta di vivere bene, per altri ancora, invece, “farcela” in Germania vuol dire integrarsi nella società, avere una vita il più possibile “tedesca”, imparare la lingua, avere un circolo sociale interamente locale. Per altri ancora, “farcela” vuol dire aprire un’attività propria e condurla al successo. Quest’ultimo è forse uno dei percorsi più difficili che si possano scegliere, perché alla complessità intrinseca dell’imprenditoria si aggiunge la necessità di operare in un contesto diverso da quello che si conosce meglio, con regole e abitudini differenti. Quasi tutte le storie che sentirete in merito, parlano di grandi difficoltà, di ostacoli da superare, di momenti di sconforto e risalita.
Quasi. Di recente ci è capitato di parlare di questo argomento con il nostro connazionale Adriano Vinci, che è attualmente titolare dell’agenzia di rappresentanze Vinci & Esposito, che da anni porta in Germania alcuni dei marchi enogastronomici di maggior qualità del nostro Paese. Parlando con lui, incredibilmente, tutta la strada che porta dall’inizio al successo appare, se non semplice, almeno naturale. Perché? “Perché non mi è mai passato per la mente che avrei potuto non farcela”, ci ha raccontato Adriano. Naturalmente la sua storia ci ha incuriosito, quindi abbiamo pensato di fargli qualche domanda in merito.
Qual è per te, in Germania, la “città del cuore”?
Assolutamente Berlino, che per il mio lavoro non è neanche il posto ideale, vista la distanza dalle grandi e ricche regioni del centro e del sud, ma non sono mai voluto andare via.
Però, da quando hai lasciato l’Italia, hai vissuto in diverse città tedesche. Ci racconti quando e come sei arrivato in Germania?
Nel 2005, per puro caso. Venni per rilevare una Kneipe vicino Düsseldorf, che trasformai in disco bar. Gestii quell’attività per quasi due anni e il locale ebbe un notevole successo, ma quel lavoro non faceva per me. Non mi piace far tardi, io amo svegliarmi alle 6 del mattino, mentre, quando si gestisce un locale notturno, a quell’ora, se va bene, si va a dormire. Per questo vendetti l’attività e mi trasferii ad Haan.
Perché proprio un disco bar? Avevi avuto già altre esperienze simili in Italia?
Assolutamente no: in Italia mi occupavo di abbigliamento. Ho voluto cambiare tutto.
Che cosa hai fatto una volta arrivato ad Haan?
Ho di nuovo iniziato qualcosa di completamente nuovo, in un settore nel quale non avevo la minima esperienza. Avviai un’attivitá di commercio all’ingrosso di vini e prodotti alimentari per la ristorazione. Andò subito bene ed acquistai anche una gastronomia. Ebbe successo anche quella. Quel lavoro mi piaceva e divertiva, ma, come il precedente, cominciò stava però stretto, per cui, dopo circa due anni, vendetti le due attività per iniziare il lavoro di rappresentanza, sempre per prodotti di alimentari e vini, a Berlino.
Perché hai scelto proprio il settore dell’enogastronomia?
Se devo dire la verità, per puro caso. Non avevo un interesse specifico per questo settore, mi sono “ritrovato” a fare questo lavoro e, seguendo il mio carattere, ho cercato da subito di saperne più possibile, di imparare, di capire.
Una curiosità: questa crescita così rapida in Germania era collegata a una conoscenza pregressa della lingua o della cultura? O magari a qualche contatto nei settori in cui ti sei impegnato?
Al contrario! Non parlavo una parola di tedesco. Per cominciare, mi sono avvalso il più possibile di collaboratori italiani nati in Germania, che potessero aiutarmi a interfacciarmi con gli altri contatti professionali. Però devo dire che l’esperienza del disco bar mi ha aiutato tantissimo a imparare la lingua, perché ho dovuto comunque lavorare fin da subito solo con i tedeschi e quindi sono stato praticamente costretto ad imparare la lingua.
E non avevo alcun contatto o collegamento con nessuno, negli ambiti professionali nei quali mi sono inserito. Ci sono entrato da fuori, senza appoggi precedenti.
Come è cresciuta la tua attività berlinese?
Inizialmente rappresentavo soltanto 6 aziende e, senza avere alcun contatto, né alcuna conoscenza della città, appena trasferito a Berlino iniziai subito a contattare clienti. Tutto questo succedeva prima dei motori di ricerca onnipresenti e dei social: esistevano delle piccole guide cartacee della città che si consultavano a mano, come “ai vecchi tempi”!
Anche questa volta, le cose andarono bene. In breve tempo espansi il mio giro di affari a tutto il nord Germania, per poi passare ad occuparmi di tutto il territorio Tedesco. Oggi rappresento molte importanti aziende italiane, dai prodotti alimentari ai vini, provenienti da ogni angolo del Paese, dal Sud Tirolo sino alla Sicilia, e ho molti clienti fidelizzati e un ottimo fatturato.
Ma insomma, la storia delle difficoltà e della lotta per affermarsi, per farcela in Germania, non ce la vuoi proprio raccontare?
Forse dovrei dire che il lavoro è stato difficile all’inizio, ma non è andata così: io, allora, non è che dovetti convincermi che sarebbe andata bene, non me lo ponevo il problema, è che non consideravo proprio la possibilità che non ce l’avrei fatta!
Tanti dicono che oggi i tempi sono cambiati, non so se sia vero, forse sì, ma il mio è anche un lavoro oggettivamente difficile, fatto di costanza, impegno e tanto entusiasmo e volontà. Di “porte chiuse in faccia” se ne ricevono tante, ma fa parte del gioco, non vanno considerate sconfitte, anzi, devono essere motivo di riflessione in grado di farci modificare l’approccio, quando necessario, o spingerci ad un esame approfondito sul cliente ed il prodotto che vogliamo proporre.
Dici di non aver mai considerato né temuto di non farcela, ma secondo te quali sono i fattori che hanno trasformato davvero la tua impresa in un successo?
Entusiasmo, costanza, perseveranza e voglia di fare. Non conoscendo questo settore, non avevo un disegno commerciale ben definito. Le scelte, tantissime fatte in questi anni, le ho fatte seguendo l’istinto e l’esperienza che stavo accumulando sul campo. Senz’altro anche il mio percorso in Italia mi é servito molto, anche se avevo lavorato in altri settori.
Che consiglio daresti a un imprenditore italiano che oggi volesse partire da zero e sperare davvero di farcela in Germania?
La Germania è un mercato molto competitivo: tutta l’Europa – e non solo – viene a vendere qui. Io ero ben motivato, “carico”, come si direbbe oggi, di tanta volontà di riuscire, ma queste caratteristiche, me ne rendo conto, è difficile impararle, perché sono innate, si devono avere nel DNA. Ma comunque, se si ha tanta voglia di fare, tanta calma e tanta pazienza, i risultati arrivano. Fondamentale è la preparazione, che, a mio avviso, si può costruire anche strada facendo. Infine, in un posto così competitivo, la professionalità è obbligatoria. Credo sinceramente che la Germania, al di là delle frasi fatte, sia ancora una terra di grandi possibilità.
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