“Vogliono cancellare le donne”: le femministe radicali transescludenti (che però per strane ragioni spesso rifiutano l’acronimo descrittivo terf) non fanno che ripeterlo da anni, ormai. Secondo la loro particolare visione del mondo, a passare come una benna raschiatrice sui diritti di tutte sarebbero in primo luogo le donne transgender, o almeno quelle con l’ambizione di appropriarsi illegittimamente degli spazi e dei diritti delle “vere donne con l’utero”, agendo come perfetti cavalli di Troia del patriarcato.
Per contrastare questa deriva, la soluzione è solo una: coltello tra i denti e gatekeeping feroce, il che significa che l’inclusione delle donne trans è esclusa per definizione, che si parli di spogliatoi o bagni pubblici, di competizioni di vario tipo o quote in politica.
In questo senso, forse è fuorviante anche discettare sul piano tecnico di argomenti come lo sport, impelagandosi in discussioni sui livelli di emoglobina e testosterone delle atlete transgender o sulle linee guida del Comitato Olimpico Internazionale. Discutere in questi termini non serve a nulla, almeno con chi ha già deciso che le donne trans sono uomini.
L’orrendo shop promosso da J.K. Rowling su Twitter
Questo concetto è ad esempio chiaramente espresso a suon di slogan da uno store rilanciato sul suo account Twitter da 14.3 milioni di followers da JK Rowling in persona, la santa patrona dell’intero movimento “gender critical”, la donna che ritiene di essere ingiustamente accusata di transfobia.
“A volte una maglietta ti parla” ha scritto Rowling in un tweet, postando la foto di una t-shirt con la scritta “Questa strega non brucia” e un link allo store in questione, accompagnato dal suggerimento “Nel caso conosciate una strega a cui piacerebbe averne una”. Uno spot in piena regola.
Questo shop vende anche spillette con le scritte “Transwomen are men” (le donne trans sono uomini), “Transmen are my sisters” (gli uomini trans sono le mie sorelle), “Sorry aboit your d*ck, bro” (mi dispiace per il tuo ca**o, fratello), “F**k your pronouns” (‘fanc**o i tuoi pronomi) e “Transition=Conversion therapy” (la transizione è come la terapia riparativa).
Insomma, un campionario di tutto rispetto, per chi non voglia perdersi l’occasione di attaccarsi addosso scritte che prendono in giro i genitali delle donne trans, umiliano gli uomini trans e insultano le persone che chiedono il rispetto di pronomi conformi alla loro identità di genere.
A quasi tre anni dalla bufera nata in seguito a questo endorsement quel link è ancora lì, sull’account Twitter della mamma del maghetto più famoso del mondo ed è questo il vero problema. Rowling avrebbe avuto mille opportunità di rimuoverlo, ma a quanto pare trova giusto continuare a promuovere un sito in cui si vende merchandising con su scritto “Non esistono lesbiche con il pene” e “L’attivismo trans è misoginia”.
There was a lunch and I'm not saying I've only just sobered up enough to type this tweet but at the same time, I'm not not saying that. 💜🤍💚#RespectMySex pic.twitter.com/RH4DX1XSvj
— J.K. Rowling (@jk_rowling) April 11, 2022
Ad aprile del 2022, a Londra, Rowling ha peraltro incontrato la fondatrice dello store e altre femministe gender critical per il lancio della campagna “Respect my sex”, accolta dal quotidiano italiano Il Giornale con un peana per quelle che l’articolista ha definito “femministe e intellettuali che hanno osato sfidare la follia woke e l’ideologia transgender e sono state censurate e messe alla gogna dalla psicopolizia“. Wow.
Anche le radicali moderate sono comunque radicali
Anche chi non condivide le esternazioni più radicali, ma comunque si collega al pensiero gender critical, che fa perno sul mero sesso biologico, non potrà che avere una posizione transescludente, che la si esprima con toni più o meno sfumati.
Che si dica che le donne transgender non possono partecipare alla lotta femminista per via di un corpo diverso e diverse esperienze di vita, che si propongano bagni dedicati o le si escluda dal consesso lesbico per via dei loro genitali, la sostanza non cambia: per chi ha queste posizioni, le donne trans non sono donne, sono “altro”.
Nella peggiore delle ipotesi, sono definite uomini con un disagio psichiatrico che andrebbe curato, nella migliore, come una categoria a parte, a cui si consente di esistere come terza opzione, ma a patto che se ne stiano alla larga dagli spazi destinati alle donne “autentiche”. Autentiche, sia chiaro, non “cis”, perché il termine “cis” è considerato offensivo, perché le donne sono solo quelle consacrate dal genoma.
Leggi anche:
Profanata la tomba di Ella, la donna transgender che si uccise ad Alexanderplatz
Le femministe gender critical amano dipingersi come delle vittime, ma non lo sono affatto
E qui torniamo al fulcro del discorso, la reiterata accusa di “cancellare le donne”, ripetuta contro chiunque rifiuti questa visione e promuova istanze inclusive. Le femministe gender critical amano spesso rappresentarsi come vittime, vilipese, fraintese e vessate dalla cattiveria di una società ideologica, che farebbe malignamente fronte contro la loro onestà intellettuale.
In realtà, chi si azzarda a contestarle, anche con toni civili e nell’ambito di un dibattito non violento, viene tacciato di essere contro le donne e immediatamente accusato di misoginia, illazione odiosa che a volte supera la farsa, specie quando è utilizzata contro altre femministe.
Lo sanno bene le femministe intersezionali, che non condividono le stesse posizioni e per questo, alla faccia del confronto, vengono regolarmente bollate come finte femministe manipolate dal “patriarcato queer”, “transattiviste” e formiche zombie del “culto trans”. Un freestyle spesso degno del miglior conte Mascetti e che rievoca moltissimo le tirate della destra contro il fantomatico gender. Non a caso, le radfem transescludenti e la destra si sono avvicinate fino quasi a toccarsi, ma ne parleremo in seguito.
Il “queer” che fa paura come l’uomo nero
Prima mi preme aggiungere qualcosa sul concetto di queer, un altro “trigger” per il fronte gender critical, che ovviamente, anche in questo caso, parla di cancellazione delle donne. In quest’ottica, infatti, la dimensione queer è quella roba fluida piena di asterischi in cui tutto perde i contorni, ognuno si autodetermina come vuole, il genere sparisce e di conseguenza anche l’identità femminile, che rischia di finire divorata da una nebbia mannara e senza connotati come in “The Mist” di Stephen King.
Oltre alla minaccia rappresentata dalle mtf e dagli uomini trans (ftm), che per il radicalismo transescludente sono delle sorelle perdute o rinnegate, si profila quindi anche quella rappresentata delle persone non binarie, ancora più imprevedibili e disorientanti. In tutto questo, a fare il “lavoro del diavolo” è il temutissimo linguaggio inclusivo, guardato dalle femministe gender critical con la stessa implacabile ostilità.
Le stesse persone che fondano gruppi LGB, eliminando la T dalla sigla LGBT e di fatto rimuovendo platealmente un’intera categoria di persone dal loro orizzonte dei diritti, non fanno che parlare del rischio imminente che le donne spariscano, se gli orizzonti e il linguaggio si espandono.
Quello che sfugge a queste preoccupatissime radfem, tuttavia, è che a cancellare realmente una categoria sono quelle azioni che si muovono specificamente “contro” qualcuno. Come ad esempio fa chi nega l’identità di genere, sposando un riduzionismo biologico che sembra più cattolico che femminista, o chi sostiene che l’essere transgender sia una patologia psichiatrica che va curata e non incoraggiata, esattamente come, in altri tempi, si tentava di curare l’omosessualità o si confinavano negli istituti psichiatrici le donne troppo ribelli o disinibite.
Questo è cancellare un’identità: dire ad altri che non esistono, che sono dei malati o che la loro vita è una farsa, usare l’argomento della scienza come una clava, ridicolizzare nuove soggettività che non si capiscono. Quello che diventa più ampio e più inclusivo, invece, non cancella tecnicamente proprio nulla, al limite aggiunge diritti. Nessuno dice alle donne che non possono o non devono definirsi tali o che la loro identità non ha senso. E di sicuro non lo fanno i promotori del linguaggio inclusivo, le persone transgender o le femministe intersezionali.
“Persone con l’utero”: si può sapere qual è il problema?
Nel solco di questo equivoco si colloca anche la polemica sulle espressioni “persone con l’utero”, “persone che mestruano” e così via, che ha reso chiaro il fatto che molti non capiscano la teoria degli insiemi delle medie, ma neanche, se vogliamo, la loro lingua madre.
L’espressione “persona con l’utero” include le donne e altre persone con l’utero che donne, invece, non sono, come gli uomini trans e le persone non binarie. Usare l’espressione “persona” non cancella le donne, esattamente come la frase “quante belle persone, stasera!” non cancella gli uomini o le donne presenti. Incredibile che lo si debba spiegare.
Tutto questo diventa molto chiaro, quando si parla di leggi specifiche. Una legge che regolasse un’interruzione di gravidanza o una fecondazione in vitro, ad esempio, dovrebbe riferirsi necessariamente a chiunque abbia un utero e quindi non solo alle donne. Che espressione dovrebbe usare, quindi, il legislatore?
Ci sono tre possibilità: “persona con utero”, che comprende tutte le soggettività da tutelare, “donne e persone con l’utero”, ridondante, ma accettabile, in una prospettiva che voglia conciliare bisogni identitari ed equità, oppure “donne” e basta, ma in quest’ultimo caso si sceglierebbe di invisibilizzare uomini trans e persone non binarie. In nessun caso l’espressione “persone con utero” cancellerebbe le donne, mentre usare solo il termine “donna” cancellerebbe le altre due categorie. Sempre per la teoria degli insiemi di cui sopra.
Le donne sono solo quelle con l’utero, ma non vanno chiamate persone con l’utero
Eppure, quello che sarebbe ovvio anche in seconda media, è diventato l’ennesima occasione per spaventare la società con l’ennesima finta minaccia, in tutta Europa, e questo grazie alle “solite note” a monte, ai media che rilanciano i loro proclami e a un’orda di persone che, a valle, ripetono slogan che ormai viaggiano da soli, soprattutto sulle piattaforme.
Tra le prime a iniziare, neanche a dirlo, è stata la solita J.K. Rowling, che ha motteggiato in un Tweet l’espressione “persone che mestruano”, mostrando un interesse per il linguaggio inclusivo in grado di toccare le vette del “grandissimo chissenefrega” di Monsignor Pizzarro, l’indimenticabile personaggio creato da Corrado Guzzanti.
‘People who menstruate.’ I’m sure there used to be a word for those people. Someone help me out. Wumben? Wimpund? Woomud?
Opinion: Creating a more equal post-COVID-19 world for people who menstruate https://t.co/cVpZxG7gaA
— J.K. Rowling (@jk_rowling) June 6, 2020
Insomma, per queste femministe, le donne sarebbero solo quelle nate con l’utero, ma l’espressione “persona con l’utero” cancellerebbe le donne perché riduttiva. Praticamente, un dogma inspiegabile.
Chiariamolo una volta per tutte: il femminismo gender critical non è “IL femminismo”
Isolate dalla maggioranza del movimento femminista e dalle moderne correnti dell’attivismo, le femministe gender critical hanno scelto la strada dell’isolamento e accusano le altre di essere delle ingrate, facendo pesare il loro pedigree di “femministe certificate”, se appartengono alla vecchia guardia anni settanta e ottanta.
Sono spesso presenti su giornali, radio e tv, perché molte si sono fatte un nome in passato o hanno amici in politica e nei media e per questo vengono chiamate a parlare di femminismo, da direttori che spesso ignorano la storia del movimento e soprattuto quanto si sia evoluto negli ultimi decenni.
Di conseguenza, pur essendo minoranza, riverberano nella società civile con slogan di pancia, dal posizionamento SEO facile, e voci tonanti, veicolando la finta impressione che il femminismo sia questo e che il movimento lgbtqiia+ sia la cosa peggiore che possa capitare alle donne. Spoiler: non è vero. Il femminismo gender critical non è “il femminismo”, ma solo una corrente minoritaria e controversa, e il mondo queer punta a moltiplicare le rappresentazioni, non a cancellare le persone. Di conseguenza le donne non rischiano nulla. O meglio, a rischiare rischiano, ma il pericolo sta arrivando da un’altra direzione.
Se guardi a lungo nell’abisso, vedi Casapound
Quello che sta succedendo davvero, invece, è che le radfem gender critical si stanno avvicinando sempre di più alla destra, in tutto il mondo. In Italia, le loro tesi sono spesso condivise da Fratelli d’Italia, dal Popolo della Famiglia di Adinolfi, dalle Sentinelle in piedi, dai movimenti “no gender” e da Casapound. Del resto, quando si finisce a parlare di uomini e donne come rigidamente definiti dal sesso biologico, di minaccia rappresentata da una presunta lobby lgbtqia+ e di pericolo per l’equilibrio psicologico dei minori confusi, è inevitabile che le voci si sovrappongano.
Quando glielo si fa notare, loro tengono a ribadire che la convergenza su alcuni temi non significa identità politica, non realizzando, però, che di sicuro significa vicinanza. Altre dichiarano che “il femminismo non è né di destra né di sinistra“, ma “né destra, né sinistra” è un’espressione da cui abbiamo imparato a diffidare, soprattutto se usata da persone che parlano al megafono con toni molto vibranti, in piazza o in rete. Ad ogni modo basta guardarsi intorno, in tutta Europa, per rendersi conto di quanto la destra stia usando le femministe gender critical per sdoganare la sua storica queerfobia. E loro glielo permettono.
Allineate ad Alternativa per la Germania, lodate da Giorgia Meloni
In Germania, il 22 luglio 2023, in occasione del Christopher Street Day, il Pride di Berlino, un deputato dell’ultradestra di Alternativa per la Germania ha twittato un testo che denigrava la bandiera arcobaleno, considerandola sinonimo di una serie di “sciocchezze gender”, tra cui quella di usare l’espressione “persona che partorisce” al posto di “madre”. Vi fa venire in mente niente?
Heute ist der sog. #CSDBerlin und diese Fahne weht auf dem Reichstag! Angeblich steht sie für "Toleranz". Heute steht sie für Sexualisierung von Kindern, Gebährende Person statt Mutter und anderen Genderschwachsinn und dafür, dass wir alten Männern in Röcken nicht mer sagen… pic.twitter.com/lpGENso8Ka
— Martin Reichardt, MdB (@M_Reichardt_AfD) July 22, 2023
Nel Regno Unito, Kellie-Jay Keen, attivista gender critical nota anche come Posie Parker, ha scritto su Twitter che solo i genitori biologici dovrebbero comparire sul certificato di nascita dei figli. Finora, Rowling e socie avevano paventato una deriva ideologica trans e queer che avrebbe messo a rischio “le lesbiche per prime”.
Cosa faranno ora che una delle loro sodali più vista sta declinando il concetto “la natura è natura” anche in relazione al mondo omosessuale? Chi difenderanno? Posie Parker o le madri lesbiche? E che ne pensano le coppie lesbiche omogenitoriali italiane, le stesse che guardano con orrore alla prospettiva della rimozione dei nomi delle madri non biologiche dai certificati di nascita, in base al giro di vite del governo di Giorgia Meloni? La stessa Meloni che a marzo del 2023 diceva: “Le donne sono le prime vittime dell’ideologia gender. La pensano così anche molte femministe”.
Fino a quando le “molte femministe” in questione troveranno normale pensarla come Giorgia Meloni? E quando capiranno che non è normale il plauso dei conservatori, dell’estrema destra e dei fondamentalisti religiosi, che delle donne e delle lesbiche hanno sempre fatto scempio e sono sempre stati i nemici naturali di ogni femminismo?
Non a breve, a quanto pare, visto che le radfem gender critical continuano a parlare di emergenze inesistenti, lobby lgbtqia+ e pericolo queer, mentre marciano su un’autostrada lastricata di buone intenzioni, spalla a spalla con le orde di Mordor. Verso l’inferno di tutti.
P.S. Se questo articolo ti è piaciuto, segui Il Mitte su Facebook!