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Quando in Germania si bruciavano i libri: la lettera di Helen Keller agli studenti nazisti

Il nome di Helen Keller è noto soprattutto per la sua particolarissima storia personale e la titanica impresa che la portò non solo all’emancipazione nonostante la gravissima disabilità, ma a una carriera di attivismo, impegno politico e a diventare una prolifica autrice di saggi. Fra i suoi scritti meno conosciuti c’è una lettera aperta, scritta nel 1933 agli studenti nazisti tedeschi e pubblicata sul New York Times e su altre testate – dal momento che Keller viveva negli Stati Uniti in quel periodo.

I roghi dei libri in Germania

Il contesto è quello degli albori del regime nazionalsocialista. Contrariamente a quello che normalmente si pensa e contrariamente a quanto accadde con l’arte degenerata, i roghi dei libri, che si concentrarono nella giornata del 10 maggio 1933, non furono decisi dal governo. A volerli furono i giovani dell’Unione Studentesca Tedesca, in parte per compiacere i nazionalsocialisti, in parte per un autentico fanatismo ideologico che si era diffuso fra i giovani. I roghi non furono che il culmine di quella che l’Unione Studentesca aveva denominato “azione contro lo spirito antitedesco” e che si articolo in quattro settimane di attacchi alla cultura considerata non allineata al regime.

L’Unione era in questo sostenuta dal “Kampfbund für deutsche Kultur” (la Lega Combattente per la Cultura Tedesca”), e aveva avviato l’azione il 12 aprile con un manifesto dal titolo “12 Thesen wider den undeutschen Geist” (“12 tesi contro lo spirito antitedesco”), nel quale si stigmatizzavano soprattutto le idee degli autori ebrei, socialdemocratici e liberali.

Sempre ad aprile, gli studenti indicarono i nomi dei docenti ebrei perché questi fossero licenziati. La stragrande maggioranza delle università, nelle persone di presidi, rettori e corpo docente, appoggiarono questa iniziativa. Anche se si registrarono ancora numerose esitazioni al momento di passare ai fatti.

I libri, tuttavia, si rivelarono più facili da “epurare” rispetto alle persone. A partire dal 26 aprile, iniziò un’operazione di accurato setaccio delle biblioteche, universitarie e pubbliche, e anche delle librerie, alla ricerca di testi “degni di essere bruciati”. I libri destinati al rogo erano scelti sulla base della cosiddetta “Lista bruna della letteratura degna di essere bruciata”, che conteneva i nomi di 71 autori sgraditi ai nazionalsocialisti. Questa a sua volta si basava sulle “Liste nere” che il bibliotecario Dr. Wolfgang Hermann aveva già compilato nel marzo 1933 per conto dell’Associazione dei bibliotecari tedeschi e del Ministero del Reich per l’Illuminazione e la Propaganda popolare.

Foto: Bundesarchiv, Bild 102-14597 / Georg Pahl / CC-BY-SA 3.0, CC BY-SA 3.0 DE <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/de/deed.en>, via Wikimedia Commons

E così si arriva al 10 maggio, giorno in cui si svolse l’atto scellerato che per la prima volta spinse la stampa internazionale a utilizzare il termine “olocausto”, che allora aveva solo la connotazione di sacrificio religioso, in relazione al nazionalsocialismo. In moltissime città tedesche, i libri “condannati” vennero ammucchiati in pire nelle piazze e gli studenti organizzarono fiaccolate che si mossero verso tali piazze per arrivare a bruciare i libri. Indossavano le uniformi delle confraternite universitarie o quelle del partito nazista. Fra le università che organizzarono roghi di libri il 10 maggio si contano Berlino, Bonn, Braunschweig, Brema, Breslau, Dortmund, Dresda, Francoforte, Gottinga, Greifswald, Hannover, Kiel, Königsberg, Landau, Marburg, Münster, Monaco, Norimberga, Rostock, Worms e Würzburg. Nelle settimane successive ne seguirono altre, come Essen, Amburgo e Heidelberg. Prima che le fiamme passassero dalle torce ai volumi, in ogni piazza si tenne un discorso. A Berlino fu Joseph Goebbels l’oratore, mentre nelle altre città questo “onore” spettò ai docenti più entusiasti delle rispettive università. Il pubblico era in visibilio e applaudiva fragorosamente quando il fuoco avvolgeva i libri sgraditi all’ideologia nazista. A Berlino si contarono circa 40.000 persone: fu l’adunata più numerosa.

Foto: Joseph Schorer, Public domain, via Wikimedia Commons

Fra i nomi degli autori che ardevano fra le fiamme c’erano colossi del pensiero e della letteratura come Einstein, Freud, H.G. Wells, Hemingway, Jack London, autori tedeschi oggi celebri come Stefan Zweig, Bertolt Brecht ed Erich Kästner, ma anche altri per i quali il rogo è stato definitivo e dei quali oggi non sopravvivono le opere. I loro nomi si trovano solo negli elenchi ufficiali. Fra i libri “degenerati” c’era anche la raccolta di saggi di Helen Keller su come il suo studio della condizione e delle cause della cecità l’avessero portata ad abbracciare il socialismo, il femminismo e il pacifismo.

Helen Keller
Helen Keller, circa 1920.
Foto: Los Angeles Times; restored by User:Rhododendrites, CC BY 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/4.0>, via Wikimedia Commons

Non era più solo una questione di antisemitismo: si trattava di odio per le idee, per il pensiero non conforme al regime e all’ideologia che contrapponeva ciò che si considerava “sano”, ovvero una visione anti-intellettuale di stampo fascista in salsa rurale e teutonica basata sull’idea di “sangue e terra” a ciò che veniva visto invece come “malato” o “degenerato”, ovvero l’intellettualismo urbano, cosmopolita, poliglotta e quindi potenzialmente sovversivo. “L’anima del popolo tedesco può di nuovo esprimersi”, dichiarò Joseph Goebbels, celebrando il rogo dei libri di Berlino. “Queste fiamme non solo illuminano la fine definitiva di una vecchia era, ma illuminano anche la nuova”.


arte degenerata

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La lettera di Helen Keller “al corpo studentesco della Germania”

Nel resto del mondo, intanto, il pensiero antinazista e antifascista si divideva fra chi, come una parte della stampa americana, trovava i roghi di libri al più “sciocchi e infantili” e chi vibrava di sdegno e leggeva nelle fiamme il simbolo di errori e orrori ancor più catastrofici di là da venire. Fra questi c’erano molti autori internazionali e quegli autori tedeschi che avevano trovato rifugio all’estero, perché emigrati a causa del nazismo o perché già residenti in altri Paesi. Fra le voci più preoccupate si distinze il vignettista politico Jacob Burck, il quale disegnò un’immagine che rappresentava i libri come vittime del nazismo, evocando l’osservazione dello scrittore tedesco del XIX secolo Heinrich Heine: “Dove si bruciano i libri, si finisce presto per bruciare le persone”. Fra coloro che seppero prevedere il nefasto percorso al quale portavano i roghi dei libri ci fu anche Helen Keller, che firmò una lettera aperta agli studenti tedeschi, all’interno di un’azione di protesta contro i roghi dei libri intrapresa con altri autori e che rimase prevedibilmente inascoltata. Questo era il testo:

Al corpo studentesco della Germania:

La storia non vi ha insegnato nulla se pensate di poter uccidere le idee. I tiranni ci hanno già provato spesso, e le idee si sono sollevate con la loro forza e li hanno distrutti.

Potete bruciare i miei libri e quelli delle migliori menti d’Europa, ma le idee in essi contenute sono passate attraverso un milione di canali e continueranno ad accendere altre menti. Ho donato tutti i diritti d’autore dei miei libri per sempre ai soldati tedeschi accecati nella guerra mondiale, senza alcun pensiero nel mio cuore se non l’amore e la compassione per il popolo tedesco.

Riconosco le gravi complicazioni che hanno portato alla vostra intolleranza; a maggior ragione deploro l’ingiustizia e la sconsideratezza di trasmettere alle generazioni future lo stigma delle vostre azioni.

Non pensate che le vostre barbarie nei confronti degli ebrei siano sconosciute qui. Dio non dorme, e farà sentire il suo giudizio su di voi. Meglio sarebbe per voi avere una macina da mulino appesa al collo e sprofondare nel mare che essere odiati e disprezzati da tutti gli uomini.”

Helen Keller aggiunse solo in un secondo momento il penultimo paragrafo del testo (come si capisce dal fatto che questo sia stato inserito a mano in una bozza dattiloscritta). Certamente c’era una componente di contestualizzazione del disagio che aveva permesso l’ascesa del nazismo, ma è probabile che si trattasse anche di un modo per “ingraziarsi” in qualche modo gli studenti, facendo riferimento alla complessità della situazione tedesca piuttosto che condannare senza appello la loro azione equiparandola a quella del regime.

Negli Stati Uniti e in Europa si tennero marce di protesta e discorsi, contro i roghi dei libri. Comunità religiose e partici politici si schierarono contro l’iniziativa degli studenti tedeschi, le radio trasmisero estratti dei libri proibiti e a Praga fu lanciato un appello a raccogliere i libri per una mostra, che si convertì poi nella “Biblioteca della Libertà” che lo storico Alfred Kantorowicz fece creare a Parigi e che fu distrutta dopo l’invasione tedesca della capitale francese.

Meglio sarebbe per voi avere una macina da mulino appesa al collo e sprofondare nel mare che essere odiati e disprezzati da tutti gli uomini.

L’appello di Helen Keller, come quello di molti altri, restò inascoltato e la triste profezia di Heine si realizzò. Il 10 maggio è rimasto come giorno del ricordo della barbarie associata al rogo dei libri. Lo scopo della memoria, in questo come in altri casi, è quello di ricordarci che non ripetere la storia è una scelta collettiva, così come lo è lasciare che essa si ripeta. Vale la pena di ricordare questo capitolo nero del racconto dell’umanità e di far risaltare le voci di dissenso, come quella di Helen Keller, in tutte le occasioni in cui, da qualsiasi parte e per qualsiasi motivo, l’umanità si lascia sedurre dalla tentazione di allontanare i “pericoli” del pensiero facendo sparire i libri.

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