Bastano poche persone per cambiare una civiltà. Intervista a The Yes Men
Di The Yes Men abbiamo parlato poco tempo fa, a proposito di una originalissima azione di protesta durante la settimana della moda di Berlino. In quell’occasione, questo gruppo di attivisti è riuscito a farsi passare, agli occhi della stampa, per portavoce ufficiali del marchio Adidas e a organizzare un evento e il lancio di una collezione, che in realtà sono serviti per gettare luce sulle tremende condizioni di vita e i lavoro che gli impiegati delle fabbriche della Adidas sono costretti a subire in Cambogia.
The Yes Men ospiti di “Artivism – The Art of Subverting Power”, la nuova conferenza del Disruption Network Lab
Questa è la caratteristica principale delle azioni di disturbo e protesta degli Yes Men: questo gruppo di attivisti, guidato dal duo “Andy Bichlbaum” e “Mike Bonanno” (entrambi sono pseudonimi), si caratterizza per azioni che si collocano fra l’hacking e il situazionismo, nelle quali i membri del gruppo si spacciano, online o di persona, per rappresentanti di grandi multinazionali o altre istituzioni di prestigio, allo scopo di mettere in evidenza le incoerenze e le ingiustizie delle quali i loro obiettivi si rendono responsabili.
The Yes Men sono ora ospiti alla conferenza Artivism – The Art of Subverting Power, organizzata dal Disruption Network Lab di Berlino, dal 23 al 25 giugno (qui trovate tutte le informazioni per assistere alla conferenza). La conferenza esplora come l’arte e l’attivismo possano essere combinati per spostare l’attenzione dei media su questioni sociali importanti e urgenti, prendendo di mira le aziende e i governi che adottano pratiche non etiche. Li abbiamo intervistati per parlare della loro attività ma soprattutto di attivismo sorprendente e creativo.
Il vostro lavoro si concentra su crisi specifiche in diverse parti del mondo. Quali sono le crisi globali più urgenti che dovremmo affrontare?
La più urgente è salvare i miliardari dalle loro avventure estreme, ovviamente! Poi, forse, salvare tutti gli altri dalle crisi provocate dal potere aziendale. Ovviamente ci troviamo in quella che si può definire una “policrisi”, con molte facce, ma l’influenza delle corporation sta consentendo il collasso climatico globale che aggrava ogni disuguaglianza del sistema in cui viviamo.
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Com’è nata la vostra particolare idea di attivismo e cosa vi ha spinto a pianificare le vostre prime azioni di disturbo, sia individualmente che come gruppo?
Inizialmente, Mike e Andy si sono resi conto che è facile creare siti web e farsi invitare alle conferenze impersonando aziende potenti per raccontare le verità che esse stesse stanno oscurando. L’abbiamo chiamata “correzione dell’identità”: trasformarci, tramite una performance, nei bersagli della nostra azione, per smascherare le loro ipocrisie. È emerso anche che l’umorismo e la sorpresa sono ottimi modi per catturare l’attenzione dei media, che è utile per le campagne di attivismo (in determinati momenti strategici). Quindi sviluppiamo progetti che rispondono a esigenze e richieste immediate della campagna. Inoltre, per quanto riguarda il media-hacking e l’immaginario pubblico, l’uso di tattiche che non assomigliano all’attivismo tradizionale è molto utile; può essere più difficile da ignorare da parte dei media e del pubblico, e le aziende che vogliamo attaccare hanno quindi più difficoltà a capire come rispondere senza fare brutta figura.
Secondo voi, in che modo questo tipo di attivismo può avere un impatto sulla società? Puntate più spostare la prospettiva globale sui temi che affrontate o a creare pressione per generare un cambiamento reale?
Sebbene una certa “sensibilizzazione” possa avvenire automaticamente attraverso l’hackeraggio dei media o la realizzazione di film, la consapevolezza non è il punto del nostro attivismo. Gli interventi che mettiamo in atto devono mettere direttamente le persone in condizione di contribuire alla pressione esercitata da una campagna già esistente o da un movimento di attivisti. Sensibilizzare non è sinonimo di agire, l’unico impatto deriva dal fatto che le persone siano incoraggiate ad agire, a prendere in mano la situazione, in modo duraturo! Non dobbiamo far cambiare idea a tutti: da sempre basta un piccolo numero di persone per produrre cambiamenti a livello di civiltà. E poi le prospettive successive tendono a cambiare comunque.
Voi organizzate workshop, coaching e corsi di formazione. Qual è il vostro pubblico di riferimento? Quali sono i gruppi e le organizzazioni che di solito chiedono di essere formati al vostro specifico stile di attivismo?
Sono soprattutto gruppi e attivisti che vogliono ampliare la gamma di tattiche nel loro arsenale. Di solito si tratta di campagne da eseguire in momenti strategici, quando l’attenzione dei media è fondamentale per costruire l’efficacia di un movimento, avvicinare nuove persone alla propria causa o cogliere di sorpresa un obiettivo vulnerabile, a livello di corporation, che potrebbe essere abituato alle tattiche standard ma non aspettarsi invece qualcosa di insolito o malizioso.
C’è una differenza sostanziale tra il tipo di attivismo che funziona in Europa rispetto a quello che funziona in America o in altri continenti e altre società?
Naturalmente è vero che gli attivisti devono sempre tenere conto dei diversi contesti culturali e politici. Per quanto riguarda il tipo di attivismo filibustiere che ci caratterizza, le modalità particolari di intervento cambiano a seconda dei contesti, ma ciò che è universale è lo spirito di fondo della malizia bonaria impiegata per minare il potere. Il prendere in giro, la burla, è un fatto umano; le forme che assume dipendono dal contesto. Questo modo di lavorare consiste nel mutare forma per sfruttare le vulnerabilità all’interno dei sistemi oppressivi e adottare i simboli, i costumi e gli oggetti di scena usati dai potenti per smascherare o minare il loro potere. Questo può essere fatto in molti modi diversi, da chiunque, in tutto il mondo.
Chi sono, secondo voi, i vostri “alleati naturali” e i vostri “nemici naturali”?
I nostri alleati naturali sono tutti coloro che sono disposti a rivendicare una responsabilità e ad agire, in qualsiasi modo sia possibile e strategico in una certa situazione e nonostante le probabilità possano essere poco incoraggianti. Non mi piace la parola “nemico”, perché credo che anche la maggior parte degli ingranaggi della ruota delle corporation siano vittime di un sistema ingiusto, e concentrarsi sui singoli distrae dai problemi sistemici. Forse, invece di nemici, sono solo persone che non sono ancora state costrette a fare la cosa giusta.
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