“Un partigiano come presidente” – Sandro Pertini, suo fratello Eugenio e il giorno (tragico) della Liberazione
di Alessandro Bellardita, Speyer
Il filo rosso che legava Pertini alla Germania – I numerosi corpi senza nomi che solo due mesi fa hanno raggiunto le spiagge di Steccato di Cutro dopo l’ennesimo naufragio di un barcone di migranti nello Ionio, trasformano il nostro mare in un luogo tragico, dove la bellezza dei riflessi del sole si oscura ad ogni notizia di una nuova catastrofe. Qualche anno fa conobbi per puro caso Giancarlo, un pescatore di Pozzallo, una cittadina che si trova nel sud-orientale della Sicilia, spesso teatro di sbarchi di migranti. Mi disse: “Da quando peschiamo anche i cadaveri, il mare non è più quello di prima”.
Per i tedeschi il bosco è un po’ quello che per Giancarlo era il mare: non si tratta solo di uno spazio naturale. È nero, silenzioso, incantato, un luogo quasi mistico. Sono tantissimi i tedeschi (e non solo) a trascorrere il loro tempo libero passeggiando tra gli alberi di una foresta. Un po’ per prendere una boccata di aria fresca e un po’ per godersi il verde come alternativa al grigio dei centri urbani.
Le storie nere dei “boschi del silenzio”
Dopo la seconda guerra mondiale, tuttavia, i tedeschi cominciarono a scoprire che proprio in quei boschi, in quei luoghi che avevano ispirato grandi autori nello scrivere numerose fiabe, racconti e romanzi, si erano consumati i crimini di guerra più efferati, trasformando quei luoghi in tombe, veri e propri sepolcri di storie represse.
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Lo scrittore Wolfgang Fleischhauer, nel suo romanzo “Il bosco del silenzio” (edito da Emons, 2018), racconta uno di questi crimini. Il romanzo è ambientato nella foresta della piccola città di Flossenbürg in Baviera: in quel luogo mistico, a partire dal 1944, un anno prima della fine della guerra, gli squadristi della SS trucidarono migliaia di persone, tra cui anche molti prigionieri di guerra e oppositori politici. A Flossenbürg, infatti, si trovava uno dei più grandi lager della Baviera.
La storia di Eugenio Pertini e il giorno amaro della Liberazione
Il filo rosso che conduce Sandro Pertini al lager di Flossenbürg, passa attraverso ad una delle storie più incredibili della Resistenza: Pertini, che nel 1978 sarà eletto Presidente della Repubblica, si iscrisse al Partito socialista unitario nel lontano 1924; durante il fascismo venne subito incarcerato e confinato. Dopo mille vicissitudini, dopo essersi liberato, partecipò alla Resistenza tra i massimi dirigenti del Comitato di liberazione nazionale Alta Italia (CLNAI). Ma il 25 aprile del 1945, mentre Sandro Pertini festeggiava da partigiano la Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, suo fratello Eugenio Pertini venne ucciso dalle SS proprio lì, in quel bosco di Flossenbürg, mentre le SS evacuavano il lager, dove era stato rinchiuso perché anche lui si era impegnato nella Resistenza.
A raccontare questa storia fu proprio Sandro Pertini in un’intervista che concesse ad Oriana Fallaci e che fu poi pubblicata nel 1973 sulle pagine della rivista “L’Europeo”. Pertini, che aveva perso in guerra anche suo fratello Giuseppe, ricostruì la via crucis di Eugenio con queste parole: “Venne da me (un maresciallo di Genova, ndr) e mi chiese: «Lei è parente di Eugenio Pertini?». «Sì, è mio fratello.» «Ah! Ora capisco tutto.» E mi raccontò che un giorno del 1944 aveva incontrato Eugenio e gli aveva rivolto la stessa domanda: «Lei è parente di Sandro Pertini?». «Sì, è mio fratello.» «Ah! Devo darle una brutta notizia. Suo fratello è stato fucilato a Forte Boccea l’altra mattina.» Glielo aveva detto convinto che fosse vero: io ero stato condannato a morte, con Saragat, e la notizia della mia evasione non era giunta in Liguria. Così Eugenio era caduto su una poltrona, come svenuto. […] Ma dopo quella notizia si iscrisse al Partito comunista e si abbandonò a una attività sfrenata. Fu arrestato mentre attaccava manifesti contro i nazisti. Fu picchiato selvaggiamente, poi condotto al campo di Bolzano dove gli chiesero di nuovo: «Sei parente di Sandro Pertini?». «Sì, era mio fratello.» «Era?» «Me l’hanno fucilato.» «Macché fucilato! Dirige la Resistenza.» E lui si mise a piangere di gioia, m’hanno raccontato, e da quel momento si comportò ancora meglio. Lo portarono a Flossenbürg e… questo è il destino, cara Oriana, il destino! Perché sono stato a Flossenbürg, e ho fatto i calcoli, e ho scoperto che nello stesso momento in cui alla testa dei partigiani inneggiavo alla libertà riconquistata in Milano… alla stessa ora dello stesso giorno… 25 aprile 1945… mio fratello veniva fucilato nel campo di Flossenbürg…”.
Sandro Pertini a Flossenbürg
Facciamo un salto nella Storia e giungiamo all’anno 1979: nel settembre di quell’anno Sandro Pertini visitò la Germania da Presidente e, dopo aver incontrato a Bonn anche il Bundespräsident Karl Carstens, si recò – dopo una visita a Berlino – a Flossenbürg per raggiungere il fratello defunto. Carstens aveva proposto a Pertini di accompagnarlo, ma, come riporta il settimanale Der Spiegel, il presidente italiano rifiutò.
Come mai questo rifiuto? Il motivo è legato al passato nazista di Karl Carstens: dal 1939 al 1945, durante la seconda guerra mondiale, Carstens fu membro di un’unità di artiglieria antiaerea, raggiungendo il grado di tenente. Ma non solo: nel 1940 entrò a far parte del partito nazista e già nel 1934 si era unito all’organizzazione paramilitare nazista SA. Fu per questo che Sandro Pertini comunicò a Carstens che la visita al campo di sterminio di Flossenbürg fosse “di natura privata”. Quando Carstens pochi giorni dopo apprese dai giornali che Pertini si fece accompagnare a Flossenbrüg dall’allora primo ministro bavarese Franz-Josef Strauß, non la prese bene.
Tanti anni dopo, nel febbraio del 2020, la figlia di Eugenio Pertini, in un’intervista per La Repubblica dirà di suo zio: “Mi fece studiare. Mi iscrisse in un collegio delle Orsoline sulla via Nomentana, a Roma. La domenica la trascorrevo da Sandro e dalla moglie Carla. D’estate mi portavano al mare. Quando Pertini andò la prima volta a Flossenbürg, recise dei fiori cresciuti sulla fossa comune dove fu gettato mio padre, li mise in una busta e me li mandò per posta”. Storie di mille papaveri rossi.
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