“Roots-Radici”, quando i migranti eravamo noi: il nuovo Graphic Memoir di Bruna Martini
Un giorno Bruna si imbatte casualmente nel testamento del suo trisnonno, in cui figura un nome mai sentito prima: quello di Gracco Cornelio Rondalli, il cui ricordo è stato rimosso dalla memoria familiare. Più di cento anni dopo la partenza di Gracco, dopo essere lei stessa emigrata in Inghilterra, Bruna decide di mettersi in viaggio per l’Argentina, per ritrovare le radici del suo albero genealogico. Nasce così, in forma di graphic memoir, “Roots-Radici“, che parla non solo delle radici dell’autrice, ma della storia dei migranti italiani in Sudamerica. Perché un tempo i migranti eravamo noi.
Bruna Martini è nata a Lecco e vive a Londra, dove opera nel campo dell’animazione e illustrazione. Il suo lavoro è a sfondo sociale e femminista e il suo primo fumetto, “Patria“, è stato premiato del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per il suo contenuto antifascista.
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“Roots-Radici” è il risultato di una ricerca che ti ha portata fino in Argentina. Com’è nata questa idea e cosa ti ha fatto scoprire di te stessa?
Sono affascinata dalla “letteratura sommersa”, ovvero dalle storie di persone comuni le cui gesta non sono ricordate nei libri di storia. Il loro è uno spaccato di vita prezioso, per poter comprendere un periodo storico o un cambiamento sociale. Eppure queste vite, seppur dense di significato, vengono quasi sistematicamente dimenticate. Una di queste persone ordinarie è il protagonista della mia nuova graphic novel “Roots-Radici”.
Si tratta di un mio avo, il fratello maggiore della bisnonna, di cui, prima della stesura del libro, non avevo mai sentito parlare. È stato per caso che, qualche anno fa, mi sono imbattuta nel suo nome, Gracco Cornelio Rondalli, stilato, in caratteri scritti a mano, sulle pagine del testamento del mio trisnonno. Ne sono rimasta sbalordita. Chi era questo parente dal nome tanto storico e pieno di “gravitas” romana? Perché la famiglia aveva cancellato il suo ricordo?
Questa scoperta mi ha spinta a dedicare due anni alla ricerca di qualunque informazione potesse far luce sulla vita di Gracco. Ho visitato archivi, biblioteche, uffici anagrafici e catastali, per ricucire i frammenti della memoria. Ho scoperto che Gracco emigrò in Argentina nel primo novecento, dove si sposò ed ebbe nove figli.
Attraverso indagini incrociate tra uffici genealogici e siti internet, ho rintracciato l’indirizzo dei discendenti dell’avo e ho viaggiato in Sudamerica per incontrarli. Le mie ricerche mi hanno permesso non solo di ricostruire la straordinaria vita di migrante di Gracco, ma anche di capire di più la mia.
Sin dall’inizio ho sentito di avere molto in comune con quest’uomo di un’altra epoca. Siamo i soli in famiglia ad aver deciso di emigrare. Nonostante le ragioni di questa scelta siano diverse e specifiche al contesto storico in cui siamo nati, ho scoperto di condividere con Gracco il desiderio di conoscere altre culture, altri stili di vita e di uscire dal cammino prestabilito dalla famiglia e dalla società d’origine.
Io e Gracco siamo due migranti: abbiamo dovuto abbandonare la nostra identità di partenza e ne abbiamo creata una nuova, in grado di accogliere i tratti della nuova cultura dominante e di mischiarli a quelli del Paese d’origine. Un “io” che non ci fa sentire a casa da nessuna parte, che ci porta a guardare il mondo nel ruolo distaccato dell’outsider.
Un tratto tipico del tuo modo di lavorare è la ricerca di antichi documenti di ogni tipo. In questo hai un vero talento, che non si ferma davanti a difficoltà burocratiche e inconvenienti. Quanto è stato difficile questa volta?
In “Roots-Radici” racconto la storia del mio antenato attraverso il formato del graphic memoir. Non mi limito a usare illustrazioni e testo, ma mescolo i miei disegni con gli oggetti di cui il mio avo si circondò in vita. Sono tutti oggetti reali. Alcuni, come i documenti personali, gli orologi, le lettere, le pagelle e le foto di famiglia, appartengono alla collezione privata di Gracco che ho recuperato attraverso sua figlia Marta, residente in Argentina. Gli altri documenti, come mappe, libri, articoli di giornale, foto e cartoline d’epoca, sono il frutto di due anni di ricerche in tutta Italia e Argentina, tra archivi polverosi, mercatini, negozi di antiquariato e librerie.
Accedere ad archivi e collezioni durante il periodo della pandemia ha comportato numerose difficoltà logistiche, ma in genere non è stato difficile reperire questo materiale, perché si tratta di oggetti prodotti in massa, che ancora abbondano in negozi di antiquariato e mercatini. Mi ha colpito tuttavia la mancanza di un processo di informazione, di analisi critica, o semplicemente di catalogazione di questi oggetti. Non li ho trovati dietro le teche di un museo o in un archivio storico, ma semi-nascosti nel fondo di una bancarella.
La raccolta di questi oggetti mi ha permesso di immergermi nell’album di famiglia che è diventato, pagina dopo pagina, una preziosa indagine storica su un’intera nazione. Ho chiamato questo approccio “Storia Grafica“: è la ricerca storica e storiografica a guidare la narrazione e la scelta delle illustrazioni.
Nel trattare temi legati alla migrazione e all’identità del migrante non volevo fare revisionismo storico, non intendevo intromettermi con la mia interpretazione mediata dai valori e costumi del presente. Volevo che fosse quel periodo storico a parlare da solo attraverso l’uso di fonti autentiche e inconfutabili, rappresentate, appunto, dagli oggetti.
Dal tuo lavoro emerge la difficile condizione degli italiani all’estero, nei primi anni del Novecento. Ce ne parli meglio?
“Roots-Radici” è un lavoro biografico, ma non solo. Tra le sue pagine, vicende private e storia universale si incontrano sulla base di eventi storici realmente accaduti. La storia di Gracco Cornelio Rondalli, che emigrò in Sudamerica a inizio ‘900, diventa l’opportunità di esplorare tematiche legate alla “grande emigrazione” italiana e alla formazione di una nuova identità privata e sociale: l’identità del migrante.
Quella di Gracco è la storia di tutti noi: di un’Italia sopraffatta dalla povertà, dalla lotta di classe e dai conflitti interni ed esterni, che obbligarono milioni di cittadini ad emigrare. Perché è importante essere consapevoli delle nostre radici? Come fa la memoria personale a influenzare e costruire la memoria collettiva di una nazione? In che modo gli eventi storici, dal conflitto agrario italiano alla prima guerra mondiale, alterano le nostre decisioni personali?
Noi italiani siamo un “popolo di migranti”. Gli italiani in Sudamerica erano trattati in modo simile agli immigrati nell’Italia di oggi: sbeffeggiati, a volte umiliati, temuti. Abbiamo vissuto la persecuzione, l’isolamento sociale e culturale, siamo stati rigettati da un territorio ostile. Non dobbiamo dimenticarci di questa parte della nostra storia. “Roots-Radici” si propone allora di mantenere viva la memoria, specialmente durante periodi storici, come quello contemporaneo, in cui la politica italiana e una parte di società vuole dimenticarsi del nostro passato da migranti e riserva atteggiamenti di superiorità razzista ai richiedenti asilo di oggi.
In questo momento storicom in cui la migrazione è al centro del dibattito politico italiano, e non solo, quali sono le tue riflessioni di donna emigrata, discendente da persone a loro volta emigrate, su un fenomeno antico come quello dello spostamento dei popoli nel mondo?
Spostarsi da un Paese all’altro è una pratica naturale e consolidata, tanto da poter essere definita parte integrante del nostro essere umani. Essere migranti, però, significa anche essere disconnessi. Una nazione è una comunità immaginata: è la sensazione di essere imparentati con persone che non si sono mai incontrate e che non si incontreranno mai, ma con cui si sente di avere un sistema di valori in comune.
Cosa succede quando si lascia il proprio Paese e si perdono quelle sensazioni di connessione? Alcuni migranti ricreano le loro comunità d’origine nelle loro nazioni adottive, altri vivono una vita scollegata dalle persone che li circondano, altri ancora accettano un processo di trasformazione della propria identità espandendola fino a incorporare gli elementi culturali del nuovo Paese in cui si trovano a vivere.
Come si possono ricostruire quei legami senza ricorrere allo sciovinismo del nazionalismo? Per me, una possibile soluzione è quella di raccontare le storie dei migranti attraverso l’approccio della “Storia Grafica”. È questo un modo per raccontare la storia di un individuo e di una società, mostrando come i due siano collegati e si influenzino a vicenda.
La “Storia Grafica” migliora l’esperienza di lettura di un libro rendendolo più coinvolgente, memorabile e di impatto. Si rivolge a coloro che non si sentono a proprio agio nel leggere e analizzare complessi documenti storici, che, se presi da soli, possono apparire molto aridi. Nel contesto della “Storia Grafica”, invece, la ricerca storiografica permette di dare vita ai disegni e alla narrazione, rendendo la lettura storica più accessibile, coinvolgente e democratica.
Il tuo primo fumetto, “Patria”, è stato premiato da Mattarella per il suo contenuto anti-fascista. Cosa significa essere antifascisti oggi?
A mio parere, per essere antifascisti oggi bisogna mantenere uno sguardo analitico e attento su quello che sta succedendo nella nostra società. Vuol dire alzare la voce e denunciare, senza il timore di passare per antiquati o anacronistici. Significa studiare cos’è il fascismo, cos’ha causato in Italia durante il ventennio e come ha condotto un’intera nazione al disfacimento. Vuol dire accedere alle fonti, inconfutabili e autorevoli per natura, invece di fare del revisionismo storico mediato da interessi contemporanei. Significa informarsi sulle conseguenze delle politiche mussoliniane e capire come questi temi fossero comunicati a scuola e nella società del tempo, per capire come sono propagandati al giorno d’oggi.
Settantacinque anni dopo la fine del regime, il fascismo è ancora in auge, in Italia e in Europa, spesso proprio tra persone più giovani che, diversamente dalle generazioni precedenti, non hanno avuto esperienza diretta dei rastrellamenti. Così come “Patria” si proponeva di svolgere il ruolo di “passaggio di testimone” tra una generazione e l’altra, essere antifascisti oggi significa esortare tutti, ragazzi e adulti, a non dimenticare le efferatezze di un passato che è sempre pronto a riaffiorare.
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