“La tecnologia non è l’unico futuro possibile”. Intervista a Carlo Bachschmidt, dal G8 di Genova a oggi
Carlo A. Bachschmidt è stato consulente tecnico in processi penali e vanta una ricca attività come documentarista. La sua esperienza di attivismo, oltre che professionale, è iniziata, come quella di molti italiani della sua generazione, con la partecipazione al Genoa Social Forum. Nel caso di Bachschmidt, tale esperienza è poi proseguita con il Genoa Legal Forum, quando sono iniziati i processi successivi ai fatti del G8 di Genova.
Carlo A. Bachschmidt parteciperà a Berlino alla conferenza Smart Prisons, organizzata da Disruption Network Lab, contribuendo al panel “Revisiting the Genoa G8 2001: Another World is Possible, and it Needs Another Kind of Computing” del 25 marzo e conducendo un workshop dal titolo “G8 Genoa 2001: A Grassroots Media Forensics Toolbox” il 26 marzo.
Lo abbiamo intervistato per capire in che modo i moderni strumenti di analisi digitale possono cambiare la sorte e la stessa fenomenologia dei movimenti di protesta.
Puoi raccontarci il lavoro della Segreteria Legale in collaborazione con il Genoa Legal Forum?
Nel 2000 ho partecipato attivamente al percorso di costruzione del Genoa Social Forum, il coordinamento delle organizzazioni che contestavano il Summit, poi con il Genoa Legal Forum, il gruppo informale degli avvocati impegnati nella difesa dei manifestanti.
Dopo luglio 2001 ho seguito le vicende dei primi arrestati e tenuto i contatti con i media di movimento, ricevendo centinaia di testimonianze, foto e video. Ho così deciso di raccogliere tutto il materiale che veniva prodotto in quei mesi affinché non andasse disperso e potesse essere così utilizzato dagli avvocati che nel frattempo avevano dato vita al coordinamento informale del Genoa Legal Forum.
Nel gennaio 2002 nasce la Segreteria Legale del Genoa Legal Forum. Gli avvocati avevano deciso di coordinarsi per assicurare ai 465 manifestanti indagati una difesa efficiente, e alle 307 persone che avevano subito violenze, la possibilità di essere risarcite per i danni subiti.
Sino al 2004 sono stato il consulente tecnico a svolgere l’attività di analisi ed archiviazione di tutta la documentazione video-fotografica e cartacea relativa alle giornate del G8. Dal 2004 al 2008, nella Segreteria Legale, hanno lavorato circa 10 persone, tutte nominate consulenti tecnici, che hanno seguito i processi sino al 1° grado di giudizio. Dal 2008 al 2011 ho seguito le fasi processuali dell’Appello e Cassazione.
La Segreteria Legale ha sostenuto il lavoro di 150 avvocati ed ha permesso loro di restare in contatto, avere uno spazio comune dove verificare le strategie processuali in maniera coordinata e condividere gli atti processuali, i video, le foto che i consulenti tecnici hanno visionato e analizzato per le udienze processuali.
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Di particolare interesse è stato il lavoro di ricostruzione dei fatti con la realizzazione di alcuni montaggi video in cui sono state acquisite immagini con diverso punto di vista ma che hanno filmato il medesimo contesto. La peculiarità delle consulenze video fotografiche è consistita soprattutto nell’aver ricostruito l’estensione temporale di diversi filmati attraverso l’analisi dei metadati, e successivamente averli sincronizzati tra loro così da essere visionati simultaneamente in un unico montaggio video a più̀ quadranti.
In che modo i moderni metodi di analisi di archivi digitali possono aiutare in un processo come quello dei fatti del G8 di Genova, nel quale tutti i dati raccolti sono in formati analogici?
Oggi tutti i documenti sono in formato digitale e facilmente sincronizzabili tra loro. Ci sono inoltre programmi di elaborazione dell’immagine che forniscono informazioni impensabili con il formato analogico del 2001. Non solo si possono estrapolare moltissimi dati sull’autore della foto o delle riprese, il modello della fotocamera usata, la focale settata, ma anche scoprire nell’immagine ciò che apparentemente non si vede: estrapolare le misure di un ambiente, calcolare l’altezza di una persona, leggere un testo sfocato.
Nel caso del G8 di Genova, sarebbero state utili soprattutto le cosiddette mappe interattive, dove poter inserire non solo foto, video, le testimonianze raccolte dagli avvocati, i verbali di Polizia, e gli interrogatori dei Magistrati, ma anche ciò che ciascuna persona aveva caricato su internet così da conoscerne la fonte.
Nel 2011 alcuni ricercatori del Politecnico di Milano ci proposero di progettare insieme una mappa simile a Google Earth per organizzare una cronologia degli eventi sulle giornate del 20 e 21 luglio 2001. La mappa avrebbe permesso agli avvocati di conoscere nel dettaglio non solo i percorsi delle manifestazioni ma anche quelli dei contingenti di Polizia e Carabinieri così da comprendere meglio il contesto nel quale sono avvenuti gli scontri di piazza.
I nuovi modelli in 3D avrebbero permesso un’ottima ricostruzione dei luoghi in cui non è stato possibile filmare, come la scuola Diaz e la caserma di Bolzaneto. Nel 2008 abbiamo presentato una semplice elaborazione grafica tridimensionale sui primi 10 minuti del blitz alla Diaz, un video attraverso il quale emergevano quali sono stati gli spostamenti interni alla scuola dei manifestanti inseguiti dagli agenti di Polizia. La ricostruzione è stata possibile solo attraverso l’incrocio dei racconti delle parti offese e di alcuni poliziotti che furono sentiti al processo. Oggi, a questa ricostruzione si potrebbero sincronizzare anche le foto ed i video realizzati dall’esterno della scuola.
Che idea ti sei fatto della rilevanza storica di quanto è accaduto nelle proteste durante il G8 di Genova, dopo aver analizzato ore di filmati e migliaia di documenti, non solo come membro della Segreteria Legale, ma anche nella lavorazione del tuo film “Black Block”?
Ancora oggi, il G8 di Genova può essere studiato aldilà della «verità» scritta nelle sentenze definitive del 2012. Durante i processi è emerso chiaramente come polizia e carabinieri abbiano operato: da una parte la disorganizzazione e mancanza di coordinamento nella gestione dell’ordine pubblico, dall’altra l’intenzionalità di contrastare in modo risolutivo i manifestanti.
L’attività del Genoa Legal Forum ha permesso non solo di scagionare dalle accuse molti manifestanti, ma anche di far emergere una ricostruzione dei fatti assai diversa da quella proposta dalla Polizia. Il materiale raccolto è ancora oggi un’occasione per approfondire non solo la storia di quelle giornate, ma soprattutto conoscere meglio la relazione che i diversi protagonisti (manifestanti, forze dell’ordine, cittadini genovesi) hanno stabilito tra loro in un contesto irripetibile: un esperimento politico e sociale che ha determinato l’inizio della fine del movimento di quegli anni.
A Genova è stato stravolto il concetto per cui le forze dell’ordine sono in piazza a garanzia del diritto dei cittadini a manifestare: ha prevalso la strategia militare, è stato definito un limite oltre il quale il cittadino diventa un nemico.
Il film Black Block è stato il risultato di un progetto collettivo. Nasce dall’esperienza del Genoa Legal Forum con il quale si è condiviso un obiettivo comune, difendere tutti i manifestanti durante i processi G8. Questa è stata l’occasione con la quale ho potuto conoscere tutte le parti civili costituitesi per Diaz e Bolzaneto, e provenienti da ogni parte del mondo. Insieme a loro si sono affrontati i processi per ricostruire cosa era successo nel 2001 a Genova, e far emergere quale repressione è stata messa in atto in quei giorni di luglio.
Il processo è stata anche un’occasione “catartica”, attraverso la quale rielaborare un trauma, da personale a collettivo, affinché si potesse vedere scritto nero su bianco ciò che ciascuna parte civile aveva vissuto e che aveva deciso di denunciare, consapevole che avrebbe contribuito alla ricostruzione dei fatti e all’individuazione delle responsabilità non solo penali, ma soprattutto politiche. Con Black Block ho scoperto attraverso le parti civili un diverso valore del processo, occasione terapeutica per raccontare pubblicamente un’esperienza così drammatica, che è stata accolta ed ha permesso di riscrivere la storia di quelle giornate, un altro G8.
Dal 2001 a oggi le tecnologie hanno rivoluzionato ogni aspetto dell’esistenza, comprese le proteste politiche. Secondo te ha senso stabilire se questo rappresenti più un vantaggio per chi protesta o per chi vuole ostacolare le proteste? E in che modo il panorama di un evento come quello di Genova 2001 potrebbe essere reso diverso dall’esistenza delle tecnologie digitali che abbiamo oggi?
Sono dell’idea che le tecnologie rappresentino un vantaggio solo per coloro che detengono la gestione del controllo. Secondo la mia esperienza di consulente tecnico in processi per la difesa di manifestanti, ho verificato che negli anni le tecnologie hanno permesso alla Magistratura di identificare sempre più facilmente i manifestanti che poi sono stati processati.
Da tempo la polizia italiana riesce a coprire bene le manifestazioni. Diversamente dal G8 di Genova, gli operatori della Scientifica sono dei professionisti, con mano ferma staccano il meno possibile e riescono a seguire le azioni senza interruzione. Inoltre, si è aggiunto l’uso del drone che è sempre più richiesto in qualsiasi contesto.
Durante questi anni ho lavorato nei processi NoTav (2012), sulla manifestazione contro Expo di Milano (2015), e su quelle degli antifascisti per contrastare i comizi di Casa Pound (2019). I video di cui disponevo erano moltissimi: negli anni si sono aggiunti quelli dei cellulari, di molte telecamere fisse in città, dei media che realizzano dirette in streaming (vedi Local Team). Nelle consulenze tecniche ho usato quasi prevalentemente i girati della Polizia. I loro filmati sono stati sufficienti per ricostruire visivamente tutta l’azione, sia per il numero di operatori dispiegati sul territorio, sia per la qualità dell’immagine.
La possibilità di accumulare e analizzare volumi di dati senza precedenti ha un impatto sulla trasparenza e sulla democrazia?
Dipende cosa intendiamo per democrazia: chi controlla chi? Quanto contribuisce il nostro consenso all’implementazione della raccolta dei dati?
Non viene denunciato abbastanza quanto i colossi oligopolistici dell’informazione e dell’intrattenimento costituiscano un passaggio senza precedenti per la democrazia, e non solo per l’eventuale sostegno che questi colossi possono garantire a determinate correnti politiche a colpi di algoritmi, a scapito del pluralismo. È, infatti, anche la matrice liberista e individualistica dei loro codici “genetici” ad avere un impatto notevole, perché favorisce il successo digitale dell’io sulla collettività, minando alla radice il concetto di bene comune e accelerando quel processo di liquefazione dei valori condivisi in favore di un’ostentata libertà personale.
Siamo noi stessi che permettiamo l’accumulazione dei dati che vengono poi elaborati, e lo facciamo dando il nostro consenso. Nel nome della sicurezza e tutela degli interessi della comunità, ci siamo abituati a delegare alla burocrazia dei sistemi democratici i limiti entro i quali esercitare la nostra libertà, rivendicare i nostri diritti.
L’oligopolio dell’informazione non permette più di discutere quale impatto abbia la tecnologia sul sistema democratico. Pare certo che nel prossimo futuro saremo disponibili a consegnare tutto il controllo e il potere di condizionamento delle scelte personali all’intelligenza artificiale che ci permetterà di conoscerci meglio di quanto noi stessi abbiamo mai potuto immaginare.
Per chi non fosse d’accordo con questa prospettiva, forse è il tempo in cui decidere se disconnettersi dalla rete. La tecnologia non è l’unico futuro possibile.
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