Vinicio Capossela: “a Berlino porto canzoni che sono come un ritorno a casa. E qualche inedito”

Vinicio Capossela canzoni
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Il 12 dicembre, al Columbia Theater di Berlino, Vinicio Capossela porterà una tappa del suo “Round One Thirtyfive”, che poi è una celebrazione del suo disco d’esordio “All’Una e Trentacinque Circa”. Per i suoi numerosissimi fan berlinesi – che non sono soltanto italiani – si tratta di un doppio appuntamento imperdibile.

L’appuntamento è “doppio” perché, subito prima del concerto, Capossela presenterà il suo ultimo libro “Eclissica” all’Italienzentrum della Freie Universität. Lo abbiamo intervistato per parlare di progetti passati e progetti futuri, di sospensioni del tempo e di sintesi filosofiche, di canzoni che sanno di ritorno a casa e di standard. E abbiamo scoperto che, nella scaletta di Berlino, ci saranno anche degli inediti. I biglietti sono disponibili in prevendita a questo link.

Ciao Vinicio! Intanto grazie mille per la rinnovata disponibilità, visto che sei già stato nostro ospite e questo ci fa molto piacere. Partiamo dal titolo: in un’intervista precedente hai detto che il vero titolo del disco dovrebbe essere “Personal Standard” perché si avvicina all’idea degli standard jazz. Si può dire che sia un ritorno a un primo amore dopo tanti anni di ricerca musicale?

A mio parere, lo “Standard” è un po’ come il classico in letteratura, cioè qualcosa che ha una forma molto, molto definita e che non risente troppo del periodo in cui è stato scritto oppure quello in cui viene letto o viene eseguito. E poi è dicembre, quindi è bello questo senso di “tornare a casa”.

Queste canzoni sono un po’ una “Heimat”, più che una “Vaterland”. Non è cambiato niente, nel senso che si va avanti. Questo concerto ha una formazione molto jazzistica, diciamo perché sono musicisti che hanno quell’estrazione, due dei quali sono proprio quelli con cui è stato registrato il primo disco, che si chiamava “All’Une e Trentacinque Circa”, che faceva un po’ il verso a “Round Midnight”, con un gioco di parole. Quindi la scelta di questo repertorio è una scelta in gran parte legata a brani che hanno quella forma, però non sono esclusi brani recentissimi, un paio dei quali non sono ancora pubblicati.

 

Quindi fra le canzoni eseguite a Berlino ci saranno delle anteprime?

Sì, c’è una canzone importante che è ricavata da una ballata di Bertolt Brecht. Si chiama “La Crociata dei Bambini” e fa parte del disco che uscirà la prossima primavera. Mi sembra bello farla qui.

Possiamo dire dunque che alle tue influenze tedesche, delle quali ci hai già parlato in un’altra intervista, si è aggiunto anche Brecht…

Si è aggiunto in forma di esplicito riferimento in una canzone, però Brecht è da sempre uno dei miei riferimenti. Particolarmente nel momento in cui, attraverso la storia, per così dire, si impone nella nostra realtà. Credo che Brecht vada letto sempre, per la sua capacità di smascherare la ferocia del potere sotto quest’aria di apparente rassicurazione, e mostrare come ci conduca invece al disastro. Credo che sia sempre una lettura attualissima.


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Prima del tuo concerto al Columbia Theater visiterai l’Italienzentrum delle Freie Universität e presenterai il tuo libro Eclissica. Ci racconti come è nato? Questo libro è in qualche modo figlio della pandemia e del lockdown?

L’eclissi a cui fa riferimento il titolo è esattamente quella del confinamento e della sospensione del tempo che è avvenuta nel marzo 2020. Ho trovato molto calzante questa allegoria dell’eclisse perché nell’eclisse si sospende il tempo, non si sa se e quando e come la luce tornerà, quindi c’è questo senso di sospensione del tempo che poi apre anche lo spazio al “non tempo”, che è quello della memoria.

Quindi questo libro in realtà raccoglie i materiali scritti in questi 15 anni che riguardano sia le cose che ho fatto sia quelle di cui sono stato testimone, perché io ho questa abitudine di scrivere molto anche quando sono in giro. Ci sono dentro parecchie suggestioni, dalla musica folclorica al mito a un viaggio in Italia del 2009 raccontato molto in dettaglio.

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Parlando di questo libro, in passato, hai menzionato il fatto che tradisca una visione dionisiaca e non apollinea dell’esistenza. Secondo te, alla fine del conflitto, il nostro scopo è raggiungere l’apollineo o accettare il dionisiaco?

Non saprei… l’idea, come sapevano bene i greci, è quella che il conflitto di per sé e quello che è necessario per cercare di completare un’unità di cui fanno parte tutti e due gli elementi. Altrimenti, quando uno prende il predominio, allora, invece che un un completamento, c’è una distruzione. L’arte di una vita è quella di cercare di prendere coscienza del fatto che non siamo una cosa sola. Siamo complessi, siamo fatti di molteplice. E possibilmente accettare anche il conflitto tra queste parti, come un modo di portarci a un’unità, non soltanto di disgregarci.

Una sintesi hegeliana…

Cosa peraltro impossibile. Non riesce mai.

Ma torniamo alla musica: ogni tappa della tua ricerca musicale ha coinvolto suggestioni geografiche diverse. In questo capitolo, pensando anche agli inediti che eseguirai in questo tour, le porti tutte con te o ce ne sono alcune che prevalgono sulle altre?

Queste canzoni sono canzoni di carattere urgente, che sono completamente legate a temi di attualità e quindi il loro genere musicale è funzionale alla storia che si racconta. Diciamo che c’è una struttura che non fa capo a un genere specifico, come è accaduto in altri episodi, ma dove la cosa importante è la materia di cui si canta. E allora sono importanti i temi più che il mondo musicale.

Per esempio, “La Crociata dei Bambini” è una ballata, eseguita al pianoforte. Il concerto ha una formazione così essenziale in termini di strumenti, che sono un po’ quelli degli standard, e non ha delle particolari specifiche. Non è come quando faccio un concerto con la banda della posta, è una formazione molto duttile che permette alle canzoni di essere eseguite nella loro natura. Posso dire che questo sarà soprattutto un concerto molto “suonato”.

A proposito di anche di attività live: quest’anno ha visto la ripresa di un’attività concertistica che è stata molto limitata per due anni. Come hai ritrovato il pubblico? Credi che sia cambiato il nostro modo di celebrare, la ritualità della musica?

Io in realtà non ho smesso di suonare nel 2020 e nel il 2021, nel senso che nell’estate di entrambi gli anni comunque abbiamo fatto date, anche se naturalmente con un pubblico contingentato e distanziato. Quindi anche questa esperienza della “separazione in presenza” è stata parte dello spettacolo stesso, che si chiamava Pandemonium (quello del 2020).

Lo spettacolo metteva un po anche al centro della scena il percorso musicale che diventava anche “sostanza”, perché, avendo dei limiti di capienza, la nostra stessa formazione era ridottissima. Eravamo io e un musicista che è una specie di uomo-orchestra che si chiama Vincenzo Vasi.

 

Abbiamo ridotto al minimo tutto. Comunque era una forma di intimità diversa da quella a cui eravamo abituati, perché naturalmente mancava la componente fisica, come l’alzarsi in piedi. Però era una forma di unione molto forte. Anche nel 2021 abbiamo fatto una cosa del genere. Però, siccome era l’anniversario di Dante, era in uno spettacolo che si chiamava Bestiale Comedìa. Abbiamo preso la narrazione ricavata da certi aspetti della Divina Commedia.

Nella mia esperienza, è stato un processo molto graduale, ma non sono stati due anni di silenzio e di assenza, per quello che mi riguarda: la musica ha seguito l’andamento delle misure sanitarie, ma comunque è sempre stata presente. È un cammino che non si è interrotto. Ora c’è un riappropriarsi non solo della musica, ma anche della fisicità. Però è stata una gioia così breve, perché per quello che mi riguarda la guerra è una tragedia ancora maggiore. La liberazione fisica diciamo dell’allentamento e poi della cessazione delle misure pandemiche è stata vanificata da questa situazione.

Tu sei uno dei pochi artisti italiani, che quando va all’estero ha un pubblico davvero internazionale. Che rapporto hai con la Germania e con il pubblico di questo Paese?

Io ho sempre ambito a diventare “der Italienische Struwwelpeter”. La Germania è posto bellissimo per fare musica, perché c’è tantissima attenzione e cultura. È una dimensione davvero interessante. È un posto in cui mi piace molto suonare e in tutti questi anni diverse volte è capitato di farlo. Spero che mi capiterà ancora.

Mi piacerebbe, con questo disco, un tour di vecchie birrerie. E poi ci sono anche dei titoli che in qualche modo fanno riferimento alla Germania. Una canzone del mio terzo disco si chiama Amburgo, in “Canzoni a Manovella” c’è una canzone che si chiama “Il Pianoforte di Lubecca”. E soprattutto c’è un vecchio standard che si chiama “Dankeschön”, che ha cantato in inglese Wayne Newton, che è una delle canzoni che mi piace di più cantare.

 

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