Sachsenhausen, l’orribile campo in cui si testava lo sterminio

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testo e foto di Marco Fracassa

È sempre difficile parlare di un argomento così delicato e sensibile. I campi di concentramento tedeschi hanno sicuramente offerto una delle più basse espressioni della natura umana della storia europea. Sachsenhausen divenne attivo nel 1936 come campo di lavoro per prigionieri politici e fu ultimato nel 1938 da circa 950 prigionieri provenienti dal lager di Esterwegen. Quasi nessuno di loro sopravvisse alle terribili condizioni di lavoro e di vita.

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Sachsenhausen: il campo in cui si testava il modo per sterminare i prigionieri

Il campo è particolarmente simbolico, ebbe un ruolo chiave fra i campi di concentramento sia perché fu uno dei primi ad essere costruito, sia per la sua vicinanza con la capitale del Reich. Infatti vi si addestravano anche le SS che poi andavano a controllare e dirigere gli altri campi. 
In più, oltre alla funzione di campo di concentramento, divenne anche il luogo per testare e perfezionare i vari metodi di sterminio dei prigionieri.

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Pare appunto che proprio a Sachsenhausen si arrivò ad ipotizzare l’uccisione dei prigionieri con le camere a gas, cosa successivamente messa in atto nei campi polacchi, come per esempio Auschwitz-Birkenau.


Aldo Rolfi

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A Sachsenhausen furono rinchiuse più di 200.000 persone di circa 40 nazionalità. Non solo prigionieri politici ed ebrei, ma anche testimoni di Geova e persone ritenute responsabili di comportamenti asociali, deviati o non integrati come i Sinti, i Rom e gli omosessuali.

L’orrore degli esperimenti medici

Nel campo vennero eseguiti anche esperimenti medici. I prigionieri furono così sottoposti a ferite, esposti a infezioni per testare l’efficacia di farmaci e vennero comunque trattati, in questo, come cavie da laboratorio, negando loro ogni dignità umana.

Ai bambini venne ad esempio inoculato il virus dell’epatite per verificare le reazioni indotte nel loro organismo. Decine di migliaia di persone morirono così per fame, malattie, lavoro forzato, maltrattamenti, esperimenti oppure divennero vittime di esecuzioni sistematiche delle SS.

Essendo stato di fatto anche ad Auschwitz, campo di gran lunga più famoso ed ormai entrato nell’immaginario collettivo, mi sento di restituire le emozioni che ho provato personalmente.

Auschwitz è sicuramente da visitare, ma forse quel giorno fui molto sfortunato. 
Infatti al mio arrivo trovai file di pullman di fronte a me e un indefinito numero di scolaresche che si rincorrevano festanti nei vari cortili e sghignazzavano nei percorsi obbligati condotti dalle guide. Un’esperienza straniante e per niente piacevole.

Un luogo della memoria trasformato in un mero “soldificio”, un luogo alla mercé di masse di ragazzini più intenti a sfruttare la giornata di gita scolastica come momento ludico che a soffermarsi a riflettere sull’orrore che si parava loro davanti. 
Senza un minimo di vergogna e rispetto. Un tizio venne anche ripreso in malo modo dalla guida perché fumava beato davanti ai forni crematori.

Sachsenhausen oggi e il suo profondo silenzio

Ecco allora che con Sachsenhausen ho provato invece a soffermarmi sul luogo, sulle energie che emana, sulle emozioni, sui pensieri che scaturiscono nell’anima di chi prova a raccogliersi in una riflessione profonda. 
Ho cercato quindi un periodo dove potessi davvero immergermi totalmente nel contesto, senza avere a che fare con migliaia di persone.
Lo volevo vuoto.
 E sono stato accontentato.

Quel giorno le persone erano pochissime. Tutto ciò mi ha permesso di sentire dove mi trovavo, come invece, ad Auschwitz, non mi era purtroppo successo.
 Ho girato a lungo in solitudine, ho letto, approfondito, percepito. In profondo silenzio. Cercando anche di fotografare il meno possibile, come in una sorta di inconscio rispetto.

Ed ecco cosa penso che sia venuto poi fuori dalle immagini scattate: un vuoto abissale, una solitudine e impotenza mai provata prima. Sostavo imbambolato davanti ai forni e alle torrette dai minacciosi cartelli, davanti alle camerate e ai bagni collettivi ormai cementati. Avevo la consapevolezza di avere davanti un luogo dove enormi atrocità erano avvenute, aggravate da una lucida e programmata follia sterminatrice.

Sachsenhausen, in un giorno vuoto e freddo, equivale a un tuffo dell’anima nell’abisso della sua oscurità. Dalla quale, onestamente, ho impiegato diverso tempo per riemergere.

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