Lavori socialmente umili – l’altro problema delle dichiarazioni di Valditara – Editoriale
È quasi una settimana che tutti, Italiani all’estero compresi, abbiamo imparato il nome del ministro all’Istruzione e al Merito Giuseppe Valditara, in seguito alle sue bizzarre dichiarazioni sull’importanza dell’umiliazione. Probabilmente la maggior parte di noi è stufa di sentirne parlare (io, per esempio lo sono) e presa da altre considerazioni, dalla cronaca, dalla geopolitica, come è giusto che sia. Eppure, dopo diversi giorni passati a sentir criticare le dichiarazioni di Valditara del 21 novembre, non posso fare a meno di notare che nel discorso generale manca qualcosa di importante. In altre parole, mi sembra che quasi tutte le giustissime obiezioni mosse al ministro abbiano mancato uno dei due punti fondamentali, concentrandosi esclusivamente sull’altro.
La frase “incriminata” del ministro Valditara
Ricapitoliamo brevemente per coloro che, nell’ultima settimana, abbiano avuto la fortuna di vivere in una grotta senza accesso a internet. Il ministro all’Istruzione e al Merito Giuseppe Valditara (Lega), intervenendo a un evento a Milano dal suggestivo titolo “Italia, direzione nord”, ha parlato, fra le altre cose dei lavori socialmente utili. Nel suo discorso ha spiegato che, quando un adolescente, uno studente, fa qualcosa di molto sbagliato, il suo atto deve essere stigmatizzato pubblicamente e che, se la scuola si limita a sospenderlo, il mariuolo potrebbe utilizzare quel tempo libero per diventare ancora più mariuolo, per darsi allo spaccio o alla criminalità organizzata. Tralasciando l’idea delle malefatte scolastiche come “gateway drug” per la camorra, qual è la soluzione del ministro? I lavori socialmente utili, possibilmente all’interno della comunità scolastica – Valditara non specifica, ma vien fatto di pensare che stia suggerendo di affidare ai potenziali criminali alcune delle mansioni normalmente svolte dal personale non docente, come la pulizia degli ambienti.
Qui arriva la perla: solo lavorando per la collettività ma, più ancora, umiliandosi di fronte ai compagni, il marrano capirà di aver fatto qualcosa di sbagliato e servirà da esempio anche agli altri. La frase sulla quale tutte le critiche si sono concentrate è quella secondo cui l’umiliazione sarebbe “un fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità”. E questa – lo confermerà qualsiasi educatore degno di questo nome – è una barbarie concettuale e culturale. Lo sappiamo tutti, lo abbiamo sperimentato tutti.
Due diversi modi di guardare al lavoro per gli altri: Valditara vs Steinmeier
L’umiliazione non forgia il carattere, lo distorce. Dall’umiliazione si generano rancore, desiderio di vendetta, ferocia, odio per il sistema. Queste sono ovvietà che non vale la pena ricordare in questo contesto, perché ne hanno già parlato anche i sassi. Io ho un altro problema, con le dichiarazioni del ministro Valditara, un problema che sta a monte.
Più che un problema, il mio è un timore. Ho timore che il ministro non abbia assolutamente compreso il senso dei lavori socialmente utili.
Da emigrata italiana in Germania con un certo occhio alla politica locale, caso vuole che abbia sentito il Presidente della Repubblica tedesco Frank-Walter Steinmeier parlare proprio di questo argomento, di recente. Il tono e il contesto erano diversi: quello che il Presidente Steinmeier propone è un servizio civile obbligatorio generalizzato, il cui scopo dovrebbe essere quello di forgiare un senso di solidarietà e di comunità, insegnare a tutti, giovani e adulti, che in una società si ha bisogno gli uni degli altri e che sostenersi a vicenda è bello, che è ciò che ci rende umani. Lavorare per la collettività, magari tenendo pulito uno spazio comune oppure occupandosi di chi ha bisogno di aiuto, non è una circostanza percepita come “umiliante”. Non è un deterrente da presentare al prossimo, al giovane, allo studente, con il messaggio implicito “comportati bene, altrimenti finirai anche tu a pulire i bagni!”
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È questa la critica che non ho letto – e che quindi ho deciso di scrivere – alle affermazioni del neo-insediato ministro all’Istruzione e al Merito (e, a quanto pare, anche al Demerito). Non solo l’umiliazione non fa bene allo spirito, ma quella che egli prospetta non è o almeno non dovrebbe essere un’umiliazione.
Di quali lavori ci si dovrebbe vergognare?
Perché, se essere “condannati” ai lavori socialmente utili è un’umiliazione, ne consegue che chi quei lavori li fa normalmente esista, nello scenario descritto dal ministro, in una condizione di “umiliazione perpetua”. E mi viene da chiedere: come guarda il ministro ai bidelli? Ai dipendenti delle aziende di nettezza urbana? Ai giardinieri pubblici? Alla persona o alle persone che si occupano di tenere pulita la sua casa? A chi assiste gli anziani? A chi lavora nelle strutture di cura? Dove si traccia la linea fra lavori veri e lavori che equivalgono a una sanzione disciplinare? Quali lavori sono umilianti?
È umiliante servire i pasti in una mensa per i poveri? E in una mensa aziendale? Fare il bidello è più o meno umiliante che fare le fotocopie in segreteria per il preside? L’OSS qualificato è più o meno umiliato della badante senza titoli di studio? Quello dell’infermiere forse non è un lavoro umiliante, visto che richiede la laurea, ma è umiliante cambiare pannolini negli asili nido? È umiliato il giardiniere che taglia l’erba del parco pubblico? È umiliato l’operaio, nonostante il suo stipendio sia di parecchio superiore a quello del consulente freelancer (che però, non so perché, sospetto non sia considerato dal ministro Valditara un lavoro umiliante)? Di quali lavori ci si deve intrinsecamente vergognare? Di quelli che ci mettono al servizio degli altri? O di quelli pagati poco? O di quelli per i quali non ci vuole una laurea e nemmeno un diploma? Chi pulisce un ufficio è più o meno umiliato di chi lavora alla cassa del supermercato? Il commesso del negozio è umiliato? E il camionista? Il trasportatore è umiliato se dipendente ed esonerato dall’umiliazione se padroncino? Possiamo andare avanti. Zenone avrebbe di che ridere per giorni.
Brutti ricordi degli anni ’90
Ricordo un’insegnante del mio liceo classico – a oggi, una delle persone peggiori che abbia mai conosciuto e curiosamente in sintonia con Valditara, nonostante nessuno l’abbia mai fatta ministro – che amava umiliare gli studenti che prendevano brutti voti, dicendo loro che “meritavano di andare in un istituto professionale”. Quando era in forma, alzava l’asticella dell’umiliazione sostenendo “Se non sei capace di studiare questa materia, dovevi fare ragioneria!” (evidentemente ignorando che chi va al classico, come me, lo fa perché capra in matematica ed evidentemente incapace di sopravvivere anche solo al primo anno di ragioneria). Non credo di aver mai assistito a scene più diseducative di quelle, durante i miei anni formativi. E, francamente, speravo che questo modo di pensare fosse stato sepolto insieme ai maglioni a righe orizzontali e ai lupetti a costine color corda, con tutto il resto del ciarpame degli anni ’90.
Quest’idea che si debba a tutti i costi evitare di essere visti come persone che lavorano al servizio degli altri, che esistano lavori intrinsecamente dignitosi e desiderabili e lavori che intrinsecamente non lo sono, è tossica, diseducativa e pericolosa. E anacronistica. Mi fa venire in mente quell’alta società che Paolo Pietrangeli derideva nella sua “Contessa” nel lontano 1966:
“Del resto mia cara, di che si stupisce
Anche l’operaio vuole il figlio dottore
E pensi che ambiente ne può venir fuori
Non c’è più morale, contessa”
Valditara e il tentativo di correggere comportamenti sbagliati con insegnamenti peggiori
È l’opposto di quanto dice Steinmeier, il quale certamente non è un francescano né un rivoluzionario, eppure, nel suo essere la quintessenza dell’istituzione e il simbolo dello Stato, comunica un concetto semplice: lavorare per gli altri, prendersi cura della propria comunità è una cosa bella che dovrebbe essere desiderabile per tutti. Per Valditara invece no. Essere visti dai compagni nell’atto di passare l’anticalcare su un lavandino o di raccogliere le cartacce da un’aiuola deve essere un’esperienza talmente devastante per l’amor proprio del giovane italiano o della giovane italiana da spingere con violenza il soggetto sulla via della rettitudine, lontano dalle canne, dall’imbrattamento di muri con le bombolette, dalla violenza, dal bullismo e da qualsiasi altra cosa, secondo il ministro, debba essere passibile di punizioni così estreme e così formative.
Avendo maturato una certa esperienza professionale, mi sento di concludere questo editoriale augurando agli adolescenti italiani di svolgere qualsiasi lavoro capiti loro di fare al meglio delle proprie capacità ed esigendo il rispetto che al lavoro è dovuto, sempre e comunque. Ragazzi e ragazze, l’unico luogo di lavoro da evitare è quello nel quale vi si manca di rispetto. Il che, probabilmente, vuol dire che è sconsigliabile andare a fare le pulizie a casa di Giuseppe Valditara.
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