“Fugace come un peto”: ecco cosa dice davvero l’articolo tedesco su Giorgia Meloni
Era inevitabile che il lungo articolo di approfondimento di Oliver Meiler, comparso il 2 settembre sulla Süddeutsche Zeitung, riverberasse sulla stampa italiana suscitando reazioni di scandalo, soprattutto a destra. D’altra parte la stampa tedesca sa benissimo quanto sia facile far arrabbiare gli italiani con un titolo e, da questo punto di vista, il titolo del pezzo di Meiler è perfetto: “Flüchtig wie ein Furz”, ovvero “Fugace come un peto”. Questa poetica definizione, si intuisce dalle poche righe di presentazione dell’articolo e soprattutto dalla foto che lo accompagna, ha qualcosa a che vedere con la carriera politica di Giorgia Meloni. Non stupisce, quindi, che in alcuni ambienti in particolare vibri lo sdegno: “i tedeschi danno del peto a Giorgia Meloni!”.
Il giornalista tedesco ha davvero detto che Giorgia Meloni è “come un peto”?
In realtà no. O meglio, non proprio. Certo, già dall’incipit dell’articolo non è difficile intuire cosa Meiler pensi della leader di FdI: “L’Italia si è di nuovo innamorata perdutamente, questa volta della post-fascista Giorgia Meloni, che proviene dall’angolo più oscuro dello spettro politico.” D’altra parte, a luglio, sempre sulla SZ, lo stesso Meiler aveva titolato in un editoriale “Gli eredi di Mussolini marciano su Roma”. E anche in questa nuova istanza non mancano i rimandi alla collocazione ideologica e politica di Fratelli d’Italia e al fatto che, nel panorama tedesco, il partito di Meloni sia certamente più vicino ad AfD che non alle posizioni della coalizione di governo. Quello che non è passato, tuttavia, nella discussione innescata in Italia da questo nuovo approfondimento è che, del lungo articolo di venerdì, meno del 30% è dedicato, effettivamente a Giorgia Meloni.
Leggi anche:
“Fascista di belle speranze”: la stampa tedesca parla di Giorgia Meloni
Le grandi passioni politiche degli italiani
Il pezzo contiene una serie di dichiarazioni di due giornalisti italiani, Filippo Ceccarelli de La Repubblica e Aldo Cazzullo, vicedirettore del Corriere della Sera. Se lo spunto della riflessione è senza dubbio l’attuale infatuazione dell’elettorato italiano per Giorgia Meloni, il focus dell’articolo è un tentativo di spiegare il rapporto degli elettori italiani con la politica e, in particolare, la loro tendenza alle grandi passioni che bruciano in fretta. Per i tedeschi, questo modo di concepire la politica non è del tutto alieno, ma gli estremi ai quali è abituato il Parlamento italiano non sono certamente parte della quotidianità del Bundestag.
Nell’articolo di Meiler si fa una carrellata di tutte le grandi passioni politiche degli Italiani e dei loro finali tragici: da Mussolini, acclamato in piazza e poi appeso a testa in giù a Piazzale Loreto, al più prosaico Renzi, celebrato come salvatore dell’Italia post-berlusconiana e premiato con il 41% di preferenze per il PD alle elezioni europee, ma poi spazzato via da un eccesso di fiducia in sé, per approdare alle percentuali miserrime di Italia Viva. C’è stato Salvini, il Capitano che spadroneggiava sui social e chiudeva i porti, ma che nei palazzi del potere ha potuto fare appena un paio di giri di valzer, prima che gli Italiani smettessero di seguirlo in massa (debacle che, nell’opinione personale degli autori, si può attribuire agli eccessi del Papeete, con l’inno nazionale remixato e le cubiste in bikini). La carrellata abbraccia tutte e due le repubbliche, tutto il dopoguerra, da Craxi a Grillo, da Aldo Moro a Mario Draghi. E poi, naturalmente, c’è Berlusconi, che nell’articolo viene definito “l’eterno Zampanò” e che, secondo i due commentatori italiani e il loro omologo tedesco, è l’unico ad aver saputo incanalare a proprio vantaggio un istinto fondamentale degli italiani, ovvero quello che lo Stato sia un nemico, un’entità sconosciuta e senza volto, che sta nel “Palazzaccio” e allunga le mani per rubare dalle tasche del popolo.
Palazzi del potere e carri della vincitrice
Per questo gli amori politici degli italiani sono “fugaci come un peto”: perché, si legge fra le righe, i capipopolo e i messia piacciono solo finché stanno fuori dal Palazzo, a concionare insieme alla folla accalorata e diffidente. Quando, però, arrivano a sedersi sulle poltrone del potere, diventano inevitabilmente “come tutti gli altri”, si omologano alla “casta” e gli applausi si tramutano inevitabilmente in fischi.
In questo momento, sostengono Cazzullo e Ceccarelli, l’ondata di popolarità di Giorgia Meloni è inarrestabile, fra la somma preoccupazione degli europeisti e sotto lo sguardo benevolo degli Orbán e delle Marine Le Pen del continente, anche perché la leader di FdI ha l’abilità di coltivare un certo lato pop che, mediaticamente, funziona. Ma quanto durerà l’ubriacatura dell’amore irrazionale? Questo si chiedono i tre giornalisti, ipotizzando che l’allure della parlata popolana possa scricchiolare sotto il peso della carica.
Certo, è complicato addentrarsi nella complessità della meta-analisi giornalistico-politica sui social network, dove il commento medio, nel 100% delle istanze in cui un tedesco (qualunque tedesco) esprime un parere su un italiano (qualunque italiano), si articola intorno al concetto sofisticato di “come si permettono, pensassero ai loro politici!” o anche “e allora Hitler??” o da un più lapidario “nazisti!”. Il tutto in base al principio per il quale è cosa buona e giusta silurare qualsiasi osservazione proveniente dalla Germania lanciando riferimenti a ciò che in Germania accadeva 90 anni fa, purché con la rigidissima clausola che non si menzioni, in quanto non rilevante, ciò che accadeva in Italia nello stesso periodo.
Ma l’immagine carnevalesca dell’Italia, che ci piaccia o no, non l’ha data un tedesco, bensì un italiano, commentando la tendenza nazionale a precipitarsi sul carro del vincitore (tendenza italiana che i tedeschi, peraltro, conoscono bene). “Si stanno già cantando gli inni alla vincitrice”, afferma Ceccarelli nell’articolo di Meiler “Tutti salgono sul carro della vincitrice, tutta la famiglia, con sonagli e tamburi, la nonna che scoreggia dietro, tutti cantano, tutti ballano – noi italiani siamo così, sempre rumorosi e sovraeccitati”.
C’è qualcosa di felliniano in questa immagine della celebrazione elettorale, con i rumori della festa che nascondono rumori di altro genere e che, sempre secondo Ceccarelli, lasceranno presto il posto ai commenti e alle chiacchiere che sempre si fanno sui politici di Palazzo, che pensano solo ai propri interessi, e “chi sa chi si credono di essere”. Ed è a questo punto che, secondo le previsioni delle tre voci di questo articolo corale, finirà la storia d’amore fra gli italiani e Giorgia Meloni, rapida, proprio come un refolo d’aria del quale si cerca di non parlare.
Quindi no, nessuno sta dando del peto a Giorgia Meloni. Due connazionali e un tedesco stanno però dicendo che gli italiani sono politicamente volubili. Alla luce di due repubbliche che, dal 1946 a oggi, hanno visto in carica la bellezza di 67 governi, è difficile argomentare in senso contrario.