Intervista con l’attivista transgender ucraina Anastasia Yeva Domani: “Fiera di chi non lascia il Paese!”

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Anastasia Yeva Domani, attivista transgender ucraina e direttrice esecutiva dell'ONG Cohort

di Lucia Conti

Il 29 maggio 2022, alle 15.00, ora di Kiev, mi collego via Zoom con Anastasia Yeva Domani, attivista transgender ucraina e direttrice esecutiva dell’ONG Cohort.

Da poco è cessato il suono delle sirene e degli allarmi antiaerei. Parliamo a lungo, con l’aiuto fondamentale dell’interprete, Nea Noc, che si collega dal Canada. Anastasia è determinata. È delusa. È arrabbiata, anche nei confronti della sua stessa comunità. Di fatto combatte una guerra nella guerra, fatta di advocacy e di attivismo, in Ucraina, ma anche in Europa.



Il 18 giugno sarà a Berlino per la conferenza “Transitioning”, del Disruption Network Lab, che si propone di affrontare le complessità della transizione nel campo della cultura, della società e dei diritti umani. Il programma prevede incontri pubblici con nomi e volti noti dell’attivismo di settore, proiezioni di film, due meet-up e un workshop.
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Anastasia, sei a Kiev in questo momento. Intanto, domanda inevitabile, come stai?

È circa il quarto mese di guerra e i miei sentimenti sono drammaticamente diversi rispetto a quelli che provavo anche solo due mesi fa. Recentemente ho avuto la possibilità di cambiare un po’ ambiente. Sono appena tornata da un viaggio all’estero e sono stata in Repubblica Ceca, Polonia e Germania. Ho potuto vedere mia figlia, il che è stato molto bello. Diciamo che ho potuto respirare una boccata d’aria fresca. Sono state quasi due settimane. Ora fa anche più caldo. Questi sono alcuni dei fattori che, credo, mi stanno comunicando un po’ di positività.

Ovviamente, però, le cose sono più complicate di così. Ci sono stati dei cambiamenti anche nei miei impegni generali e in quello che devo fare. Ho altri viaggi in programma, a giugno, perché stiamo organizzando la mia partecipazione alla Trans Conference che si terrà in Germania. E poi parteciperò anche al Pride di Varsavia e Kiev, che si terrà in Polonia.

Come stai vivevendo l’esperienza della guerra che hai in casa?

Per quanto riguarda Kiev, come sai è in corso un’azione militare all’interno della città. Proprio adesso ci sono state una sirena di emergenza e un allarme antiaereo, sono appena terminati. Quando ero all’estero, avevo ancora l’app che li segnalava e ricevevo i relativi messaggi a distanza. Ma ora che sono qui, le notifiche sono un perenne promemoria per stare attenti. E ogni volta ti trovi a interrogarti sul fatto che sia il caso o meno di scendere in un rifugio antiaereo.

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In generale, ci sono esplosioni che si sentono in tutta la città. Tutti le sentono. Ci sono azioni di guerra in corso e molte forniture militari in giro. Ci sono anche molte mine. Per questa ragione, quest’estate non ci sarà una stagione balneare, a Kiev. Le mine sono troppe e sono presenti anche all’interno della città, sono praticamente ovunque. E questo fa un certo effetto.



Oltre a questo, per la prima volta non avremo il Pride. Di solito si tiene a maggio e ora non siamo in grado di organizzarlo, né a maggio, né a giugno, e chissà quando si terrà di nuovo. Inoltre, non potrò far rientrare mia figlia nel Paese almeno per i prossimi due mesi, perché siamo ancora in un periodo caldo della guerra e non c’è nemmeno la scuola.

Anastasia Yeva Domani, attivista transgender ucraina e direttrice esecutiva dell’ONG Cohort

Parliamo della guerra dal punto di vista della comunità transgender ucraina. Quali sono i principali problemi?

È una situazione difficile. In generale, molte persone transgender se ne vanno. La comunità trans, che è il nostro target demografico, continua a lasciare il Paese. Per chi resta, il problema principale è la mancanza della terapia ormonale sostitutiva, che ha preso il sopravvento, come priorità. Ha superato anche la sfida affrontata dalle persone trans con una denominazione maschile sul passaporto, che cercano di attraversare il confine. Prima del 6 maggio eravamo in grado di reperire ormoni, in qualche farmacia, ma a questo punto è praticamente impossibile. Quindi direi che questo è il primo problema.

Un altro problema enorme è quello della disoccupazione. Recentemente ho ricevuto un messaggio da una donna trans che conosco da un po’ e a cui sono stata vicina in passato. Lavorava nei club, faceva servizi fotografici e cose del genere. Mi ha chiesto se possiamo aiutarla a trovare lavoro, perché è attualmente disoccupata e questa è un’altra delle principali urgenze del momento: trovare un modo per mantenersi ed essere indipendenti.

Molte persone, all’interno della comunità transgender, lavoravano nell’industria dell’intrattenimento o dei servizi. E al momento entrambi i settori sono in crisi, così come il commercio. 

Basti pensare ai centri commerciali. Al momento ne sono aperti solo due, su centinaia che erano disponibili in precedenza.

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Anastasia Yeva Domani, attivista transgender ucraina e direttrice esecutiva dell’ONG Cohort

Insomma, la gente è senza lavoro e quando si presentano delle opportunità la concorrenza è spietata. E le persone trans non sono certo privilegiate, quando si tratta di selezionare il personale. Per questo faticano a mantenersi, ad affittare un appartamento o a permettersi spostamenti, cibo e medicine. Si tratta di un problema che riguarda l’intera comunità e quindi è un’altra priorità.

In Europa si parla soprattutto delle donne trans ucraine, che incontrano problemi alla frontiera per via di documenti non ancora rettificati. Che possiamo dire invece degli uomini trans, che sono lasciati un po’ più in ombra dall’informazione? Come stanno vivendo questa guerra?

Ottima domanda. Nei primi tre giorni di guerra, gli uomini trans hanno lasciato il Paese in gran numero, perché molti di loro non avevano cambiato i documenti e avevano ancora la denominazione femminile sul passaporto. Di conseguenza, hanno potuto lasciare l’Ucraina, ricevendo per questo critiche di vario genere.

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Devo dire che anche io ho una posizione critica, a riguardo, e ci tengo a ribadire che questa è una mia opinione personale. Ho avuto a che fare con molti membri di questa comunità e ho sentito parlare parecchio del loro impegno verso la mascolinità. Quello che sto vedendo ora è che non vogliono restare a combattere e che la loro priorità è andarsene e ricevere benefici sociali in Europa. Ora che hanno lasciato il Paese, scrivono dall’estero quanto amano l’Ucraina.

Ci sono ovviamente anche uomini trans che sono rimasti, perché hanno ottenuto la denominazione maschile sui documenti e, di conseguenza, non hanno più potuto attraversare il confine. In Ucraina, se sul passaporto c’è scritto “maschio”, si è idonei al servizio militare e si è tenuti a prestarlo fino a 60 anni. Allo stesso tempo, però, non si sono iscritti nel registro militare, quindi non vengono chiamati.

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Gli uomini trans che restano, per lo più vivono alla giornata. Molti di loro sono disoccupati e hanno quei problemi che riguardano la comunità in generale. Quelli che prima della guerra avevano avuto più successo nel lavoro, si ritrovano in una posizione migliore rispetto ad altri, ma in generale è dura per tutti. Ad ogni modo non c’è molta intenzione di servire l’Ucraina, di difendere il Paese e di combattere. E questo io lo vedo come un problema.

Conosci o hai notizia di persone trans che si sono unite alla difesa ucraina o alle forze anti-Putin?

Sì, ci sono persone che appartengono alla comunità e che stanno combattendo, ma sono circa dieci. Tra loro ci sono anche una drag queen, una persona bi-gender, una donna trans e un uomo trans. Noi abbiamo sostenuto chi potevamo e abbiamo cercato di trovare rifornimenti, quando ci sono stati richiesti. E in generale stiamo monitorando la situazione.

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Davvero sono solo dieci?

Sì, sono circa dieci. Potrebbero oscillare tra nove e undici, ma il numero è quello. Riceviamo costantemente informazioni e a parte questo teniamo dei webinar per la comunità più o meno ogni tre giorni. Se il numero fosse aumentato, lo avremmo saputo. Qualcuno avrebbe detto: “Sai, conosco una persona trans che si è arruolata” o qualcosa del genere, ma non abbiamo ricevuto nessun aggiornamento. A combattere sono le stesse persone transgender di cui abbiamo notizia dall’inizio della guerra e questo è frustrante.

In generale, come avrai capito, critico il fatto che le persone se ne vadano e lo trovo tristemente emblematico della situazione della nostra comunità, una situazione in cui la priorità è partire e ricevere il sostegno della Germania, per esempio. È questo è il “sogno”, questo il bisogno.

Anastasia Yeva Domani, attivista transgender ucraina e direttrice esecutiva dell’ONG Cohort

E cosa puoi dire di chi resta? Cosa ti aspetti da loro?

Sono molto fiera delle persone che sono rimaste e hanno contribuito allo sforzo bellico. Per me non c’è paragone rispetto a chi se ne è andato. E voglio aggiungere che quando critico le persone che hanno lasciato il Paese e che non combattono, non le critico perché non imbracciano i fucili e non si uniscono alla difesa del territorio.

Esiste anche il volontariato, c’è gente che sta preparando enormi quantità di cibo per chi combatte e per le comunità vulnerabili. L’altro giorno ho letto che ci sono persone disabili che si stanno occupando proprio di questo. Ci sono così tante cose che si possono fare e tutto il Paese si sta impegnando. E io apprezzo le persone che rimangono e contribuiscono.

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Insomma, pensi che sia giusto restare e vorresti che la comunità transgender ucraina lo capisse

Assolutamente, è la mia opinione. Vorrei aggiungere che sì, sono critica nei confronti dei membri della comunità che se ne sono andati. Il nostro lavoro è incentrato sull’advocacy. Negli ultimi due anni abbiamo avuto l’opportunità di creare un gruppo di lavoro a fianco del Parlamento. E abbiamo invitato tutti a partecipare perché potevamo lavorare con le istituzioni, creare diritti e modificare davvero la situazione attuale. Questa opportunità ci sarebbe stata anche quest’anno, se non fosse iniziata la guerra.



Eppure la reazione è stata debole. Il discorso era, sostanzialmente: “Fatelo voi, il lavoro, visto che siete così bravi”. Questo mi stupisce davvero, perché in quale Paese post-sovietico si può partecipare a una cosa del genere e avere la possibilità concreta di influenzare la politica?

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Anastasia Yeva Domani, attivista transgender ucraina e direttrice esecutiva dell’ONG Cohort

Sono frustrata dal fatto che questo sia tutto l’impatto che la comunità trans riesce ad avere. E poi c’è stato l’esodo di massa prodotto dalla guerra. Non parlo di persone costrette dai genitori o malate croniche o con figli, sto parlando di chi se ne è andato perché ha semplicemente avuto questa occasione e l’ha colta, senza considerare minimamente l’ipotesi di restare e aiutare il Paese.

Immagino che il tuo lavoro di advocacy sia stato fortemente compromesso dalla guerra



Considera che la mia organizzazione è una delle due che nel Paese si occupano della comunità transgender, ma una delle persone che dirigono la seconda organizzazione ha lasciato l’Ucraina per rifugiarsi nei Paesi Bassi. E anche il resto del gruppo praticamente non c’è più.

Tutto questo mi riempie di delusione, perché mi chiedo: e il nostro lavoro? E le cose che dovevamo fare insieme? Per questo non ho paura di criticare i membri della comunità che sono partiti e penso che la loro scelta si rifletta negativamente su tutti noi. Potremmo davvero contribuire a qualcosa di importante e invece cosa comunica il nostro comportamento? Cosa dice del nostro patriottismo, il fatto che basti ricevere 500 dollari per iniziare a parlare male del Paese?

Conosciamo quasi per nome le persone che se ne sono andate, a migliaia. La maggior parte delle volte sappiamo chi sono. E ad eccezione di chi ha lasciato l’Ucraina per motivi di salute o perché non poteva proprio farne a meno, direi che per quanto riguarda gli altri… forse non vogliamo che tornino. Perché noi lavoriamo con un gruppo demografico che è il nostro target e questo target, ora, ci ha lasciato uno spazio vuoto. Non ho problemi se lo scrivi. Questa è la mia posizione. La guerra ha mostrato chi sono sul serio le persone, qual è il loro reale carattere, qual è il loro vero volto.

Il 18 sarai a Berlino per partecipare, come attivista transgender ucraina, alla conferenza “Transitioning”, del Disruption Network Lab. Di cosa parlerai?

Sì, il 18 sarò a Berlino e parlerò di argomenti molto simili a quelli di cui abbiamo discusso e dei problemi che affliggono la nostra comunità, dalla terapia ormonale sostitutiva alle limitazioni che subiamo.

La domanda a cui cercheremo di rispondere è: quale sarà il nostro lavoro, ora che la guerra ha cambiato tutto? Che fine faranno tutti i progressi che abbiamo realizzato in Ucraina? Siamo stati in grado di ottenere diversi successi, nel difenderci e nell’apportare cambiamenti a livello politico e sociale, abbiamo lavorato con medici e professionisti del settore legale e abbiamo lottato per ottenere un supporto psicologico. In passato ci siamo mossi su diversi fronti e ora dobbiamo riconsiderare tutto. Come organizzazione siamo impegnati a capire cosa fare per andare avanti.

Anastasia Yeva Domani, attivista transgender ucraina e direttrice esecutiva dell’ONG Cohort

Un altro obiettivo importante è il miglioramento della nostra candidatura, per diventare membri dell’Unione Europea. A questo proposito, abbiamo ricevuto e tradotto in ucraino la documentazione sui requisiti relativi ai diritti LGBTQ richiesti agli Stati membri dell’Unione e come organizzazione lavoreremo comunicando con il governo attraverso un lavoro di advocacy, di concerto con altre associazioni LGBTQ.

Inoltre, vogliamo chiedere, sempre al governo, che le persone trans possano essere cancellate dal registro militare, perché in generale, in tempi di pace, è possibile farlo anche solo in base alla cosiddetta “diagnosi di transessualismo”. Prima della guerra, il tasso di approvazione delle domande era del 100%. Avevi la diagnosi, la data, la relativa documentazione e venivi automaticamente cancellato dai registri militari. Ora devi tornare più volte, devi essere esaminato, devi avere un altro consulto. Come ti dicevo, i problemi sono tanti e per questo il 18 parlerò di tante cose.

Anastasia Yeva Domani, attivista transgender ucraina e direttrice esecutiva dell’ONG Cohort

Vuoi aggiungere un messaggio finale?



Vorrei aggiungere che sono molto grata alle nostre organizzazioni partner LGBTQ e ai donors, per il sostegno finanziario che abbiamo ricevuto durante la guerra. È stato un aiuto enorme e per questo vorrei esprimere tutta la mia gratitudine. Grazie davvero.

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