Pio La Torre – l’uomo che fece tremare le mafie
di Alessandro Bellardita, giudice e docente universitario
L’eredità di Pio La Torre è enorme: con lui, 40 anni fa, fu ucciso su mandato di Totò Riina l’inventore della legge che introdusse nel codice penale italiano la previsione del reato di associazione di tipo mafioso, la legge “Rognoni-La Torre”, che sarà approvata solo dopo la sua morte, nel settembre 1982, pochi giorni dopo l’uccisione del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Senza quella legge per Giovanni Falcone e il pool antimafia non sarebbe stato possibile istruire il maxi-processo. E senza una legge simile alla Rognoni-La Torre sarà pressoché impossibile combattere le mafie anche in Germania, dove una vera e propria normativa antimafia ancora non esiste.
Una vita contro la mafia
L’intera vita di La Torre è stata all’insegna della cultura della legalità. Fin da ragazzino aveva conosciuto la mafia, nella contrada di Altarello di Baida, alla periferia di Palermo, dove era nato e cresciuto. Altarello era una zona ad alta densità mafiosa, controllata da boss noti e rispettati. Pio La Torre aveva vent’anni quando la mafia bruciò la porta della piccola stalla, dove suo padre allevava il vitello da vendere al mercato. Un avvertimento chiaro, perché Pio apriva sezioni del partito comunista e diffondeva «l’Unità» nella borgata. E a suo padre Filippo avevano detto: «Pio è un ragazzo sveglio, intelligente, perché non pensa a studiare e, se proprio gli piace la politica, gli possiamo presentare chi lo può aiutare a fare carriera».
La mafia, intanto, nel totale silenzio della classe politica, uccideva sindacalisti, assaltava e distruggeva sedi di partito e del sindacato e faceva stragi, come a Portella della Ginestra: nel maggio del ’47 furono uccise undici persone e ventisette vennero ferite, insanguinando la vallata sotto il monte Pizzuta. Nel marzo del ’50, Pio La Torre, dopo una manifestazione a Bisacquino, viene arrestato: resterà in carcere per quasi un anno e mezzo. La sua (presunta) colpa? Quella di avere aggredito un poliziotto. Durante la sua permanenza in carcere nasce suo figlio Filippo, che potrà abbracciare soltanto dopo la scarcerazione. L’accusa della procura non aveva convinto i giudici: troppe contraddizioni e i testimoni presentati dal procuratore erano poco convincenti.
Negli anni ’50 Pio La Torre viene eletto al Consiglio comunale di Palermo: si batte per il diritto all’acqua, che era una risorsa strategica controllata dalla mafia. Si batte anche per il piano regolatore generale che avrebbe permesso una volta approvato la ricostruzione e uno sviluppo urbanistico ordinato della città. A soli trent’anni, denuncia il «sacco di Palermo» e l’operato del sindaco Salvo Lima e dell’assessore ai Lavori pubblici Vito Ciancimino.
Commissione parlamentare antimafia e 416bis
Con il giudice Cesare Terranova, allora parlamentare della Sinistra indipendente, e che sarà assassinato dalla mafia nel ’79, La Torre architetta un nuovo spazio normativo per combattere le mafie. Già nel 1972 La Torre era entrato a far parte della Commissione Parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia. La Commissione era stata istituita nel 1962, durante la prima guerra di mafia. La Torre redige la relazione di minoranza che mette in luce i legami tra la mafia e importanti uomini politici, in particolare della Democrazia Cristiana (Dc).
Lo stesso Pio La Torre affermava: “Occorre spezzare il legame esistente tra il bene posseduto ed i gruppi mafiosi, intaccandone il potere economico e marcando il confine tra l’economia legale e quella illegale”. Ecco perché alla relazione di minoranza aggiunge la proposta di legge “Disposizioni contro la mafia” tesa a introdurre un nuovo articolo nel codice penale: il 416 bis, che prevede il reato di associazione mafiosa, pena che stabilisce la decadenza per gli arrestati della possibilità di ricoprire incarichi civili e soprattutto l’obbligatoria confisca dei beni direttamente riconducibili alle attività criminali perpetrate dagli arrestati.
Una legge che manca in Germania
La Germania deve fare ulteriori sforzi per attrezzarsi adeguatamente nella lotta contro le mafie: attualmente le autorità tedesche stimano che siano oltre 770 gli esponenti dei clan mafiosi presenti nel territorio tedesco, tra cui più di 500 farebbero parte della ‘ndrangheta. Tuttavia, lo spazio normativo tedesco è – al contrario di quello italiano – ancora poco incisivo: in tal senso chi si occupa di criminalità organizzata in Germania ha purtroppo poche misure legislative a disposizione per ottenere risultati efficaci. Nel codice penale tedesco, infatti, non è prevista una norma che – come quella ideata da Pio La Torre – sanzioni l’associazione di stampo mafioso. Esiste soltanto (art. 129, Strafgesetzbuch) una norma che sanziona l’associazione a delinquere.
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E questo si nota: nel 2017 i detenuti nelle carceri tedesche colpevoli di aver violato l’art. 129 dello Strafgesetzbuch erano solo otto; in Italia, nello stesso anno, i detenuti per mafia erano oltre 7.000. Il fatto che non esista il reato di associazione di stampo mafioso comporta inoltre ulteriori difficoltà per gli inquirenti, che spesso preferiscono indagare su altri delitti, sulla carta, più gravi. Per un magistrato tedesco, in vista dell’ottenimento di un processo repentino, è più efficace indagare sul narcotraffico o sullo sfruttamento della prostituzione, piuttosto che addentrarsi in un’istruttoria complessa per provare il reato di associazione a delinquere.
Anche la confisca dei beni (Vermögensabschöpfung) – nonostante lo sforzo negli ultimi anni da parte del legislatore tedesco di riformare lo spazio normativo (con una legge del 2017), che finalmente ribalta l’onere della prova a discapito del condannato – non ha purtroppo finora portato i risultati auspicati, per il semplice fatto che, da una parte, la confisca dev’essere una diretta o indiretta conseguenza di un reato e, dall’altra, perché gli impiegati che all’interno delle procure si occupano della confisca dei beni, i cosiddetti Rechtspfleger, hanno ancora bisogno di adattarsi alle nuove leggi. Ci vorrà ancora qualche anno prima di stabilire se le nuove disposizioni normative hanno un efficace impatto contro la criminalità organizzata.
Ma come mai, nonostante la cospicua presenza delle mafie in Germania, il legislatore finora sembra ignorare questo fenomeno? Dare una risposta a questa domanda non è facile. In parte, sicuramente, bisogna cercare la risposta nella (quasi) assenza delle mafie nelle cronache nere. Le mafie in Germania evitano i conflitti caldi per non dare all’occhio. Ma non solo: le mafie in Germania investono e i soldi provenienti dalla malavita non si riconoscono facilmente. Il riciclaggio in Germania, purtroppo, funziona e le autorità tedesche – per vari motivi – non riescono a rincorrere le scie del denaro sporco. Poi c’è il discorso che potremmo definire “culturale”: i giuristi tedeschi affermano che la mafia non fa parte della società tedesca, ma è un fenomeno “importato”, cosicché una norma che sancisce la mafiosità in sé sarebbe “un corpo estraneo” nella legislazione penale.
Dopo l’uccisione di Pio La Torre nessuno in Italia poteva negare l’esistenza della mafia, neanche i politici siciliani più collusi. In Germania, nonostante la presenza delle cosche è certa, finora nessun politico ha apertamente ammesso l’esistenza delle mafie e trasformato la sua affermazione in un vero e proprio programma politico. Stessa cosa vale per le procure: non esiste finora, in Germania, una procura che si occupi esclusivamente di criminalità organizzata – una procura antimafia.
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