Buon 25 aprile, Fedora Filippi. Buona liberazione a te, che sei per sempre libera

di Lucia Conti

I primi di gennaio 2021 ci lasciava Fedora Filippi, archeologa, intellettuale e attivista stimata e conosciuta in tutto il mondo, ma anche cara amica mia e di Angela Fiore.
Il 9 marzo l’abbiamo ricordata insieme a suo marito, Henner von Hesberg, e a un gruppo di amici affezionati e di persone che le volevano bene. Ci siamo riuniti in una cappella su Trakehner Allee, nel bellissimo cimitero di Heerstraße. La cerimonia, laica, è stata una delle più belle a cui abbia mai assistito. A officiare, sono stati gli stessi presenti. Ognuno ha parlato di Fedora evocando un aneddoto, una sfumatura, un colore che le appartenevano e in questa moltiplicazione dei ricordi ci siamo sentiti più uniti che mai.

Porterò sempre con me le parole di Amelia Massetti, di Dora Venturi, di Lucia Tanganelli, ma anche la bellissima voce di Rachelina Giordano, che ha intonato per Fedi canzoni meravigliose. Ho parlato anche io e ho deciso di pubblicare oggi quanto detto al microfono, con voce non sempre ferma, in quel giorno di marzo. Ho scelto questa data perché per Fedora il 25 aprile era una giornata importantissima e prima di farlo mi sono consultata con suo marito Henner. Mai avrei voluto risultare inopportuna. Questo articolo nasce dalla necessità di fissare da qualche parte le emozioni provate nel cimitero di Heerstraße. Da quando ho varcato la soglia della cappella, fino a quando ho gettato un pugno di petali bianchi nella buca che conteneva l’urna con le ceneri di Fedi. Che oggi è libera e ovunque.


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La prima cosa che ho conosciuto, di Fedora, è stata la voce. Sottile, dolce, le somigliava. Con quella voce mi telefonò e mi chiese di incontrarci, perché voleva coinvolgermi in un progetto importante. La sua intenzione era di portare Mimmo Lucano a Berlino e lo fece. Organizzò tutto lei, rese quell’evento indimenticabile e nella capitale tedesca ancora se ne parla.

Quell’evento, però, ci diede anche la possibilità di conoscerci e di renderci conto che stavamo davvero bene insieme. E a me di scoprire che creatura straordinaria fosse Fedora Filippi. Per il mondo, un’intellettuale, un’attivista e un’archeologa di successo, per me, anche un’amica vera, leale, che in punta di piedi riempiva il mondo di bellezza e profondità.

Fedi era una star dell’archeologia, della sua morte hanno parlato i giornali, definendola la “signora della Domus Aurea”. L’hanno chiamata così perché per anni ne è stata la direttrice scientifica. La sua carriera presso il ministero della cultura non ha conosciuto inciampi verso l’alto e Fedora è in seguito diventata una delle eminenze della Soprintendenza di Roma, responsabile della tutela delle aree di Campo Marzio e Trastevere e infaticabile autrice di scoperte importantissime, come le scuderie imperiali di via Giulia, il complesso sotto La Rinascente in via del Tritone, gli Horti alle falde del Gianicolo. Solo per citarne alcune.

Ma Fedora aveva lavorato anche a Beirut, in condizioni di estremo pericolo e con grande successo. A casa sua, quando avevo modo di scorrere tra le sue pubblicazioni scientifiche, ogni tanto spuntava un nuovo ricordo, legato a un’avventura incredibile o a una scoperta. E io restavo in silenzio, ammirata, a imparare.

Non si è mai vantata, Fedi. Mi parlava dell’amore per il suo lavoro, quello sì, ma sempre senza enfasi, con quella voce delicata che si faceva ancora più sottile per l’imbarazzo. Non si contano le volte in cui glielo facevo notare. “Fedi, i tuoi successi sono una cosa bella, perché non li facciamo conoscere a più persone possibili?” le ripetevo in continuazione e lei rispondeva sempre “Preferisco di no”, abbassando gli occhi. E questo non succedeva solo quando si trattava di parlare del suo lavoro.

Quando venni a sapere che da giovane aveva intervistato Primo Levi in radio, ad esempio, non ci volevo credere. Anche in quell’occasione le dissi: “Parliamone, Fedi, può venirne fuori un bellissimo contenuto!”. Lei mi rispose “Ci penserò”. Secondo voi come andò a finire? Esatto. Non facemmo mai quell’intervista, ma lei mi confidò di aver riletto interamente “Se questo è un uomo”, prima di ammalarsi. Perché il ricordo e l’esempio di Primo Levi non l’avevano mai abbandonata.

Fedi superava la sua timidezza solo quando sposava una causa. Ha parlato in pubblico per promuovere i diritti delle persone disabili, al fianco di Artemisia, e lo ha fatto anche per onorare Liliana Segre, perché, mi disse, “Questa donna va sostenuta, sempre e comunque”. Parlava in pubblico con le mani che quasi tremavano, ma ci provava e ci riusciva, per affermare i valori in cui credeva.

Fedora non faceva le cose per prendersene il merito, ma perché il lavoro, la cultura e l’impegno civile facevano parte di lei e occuparsene la rendeva felice.

Lei era così, brillava della sua luce rivendicando un posto all’ombra. Mentre molte persone sgomitano con tracotanza, Fedora nascondeva il suo successo e il suo prestigio personale, come se fossero una colpa. Era delicata e gentile in un mondo che spesso non lo è affatto, era profonda quando altri erano solo retorici, era democratica quando altri erano dispotici, era vera quando altri erano falsi. E non ha mai restituito il male ricevuto. Anche se il male fatto a Fedora, io non l’ho mai dimenticato.

Per fortuna, però, Fedi ha sempre volato alto e ne è prova il rispetto e la notorietà che ha meritatamente raggiunto ovunque. Noi del Mitte ne abbiamo avuto una piccola dimostrazione quando si è saputo della sua morte ed ex studenti di archeologia ci hanno fatto sapere di aver studiato sui suoi libri e ci hanno parlato di Fedora come di un mito.

E poi c’è il messaggio di cordoglio di Mimmo Lucano: “Compagna Fedora, mi ricorderò sempre di te”. Perché solo a lei si deve quell’evento che Lucano ha definito “indimenticabile” e che li ha visti uniti e felici, prima che una brutta tempesta si abbattesse, in modo diverso, su entrambi. Ricordiamoli insieme su quel palco di Berlino, mentre cantano “Bella Ciao” con i Modena City Ramblers. Quel momento è per sempre.

Fedora Filippi, Mimmo Lucano e i Modena City Ramblers, Berlino, 25 novembre 2019. Dettaglio di una foto di  Sindre Sandvik

Mi rivolgo a voi, adesso, cari amici di una cara amica. Abbiamo in comune il fatto di aver voluto davvero bene a Fedi e questo è bellissimo. Credo che oggi sarebbe commossa, nel vederci così, tutti insieme, a dirle quanto importante sia stata. E per questo voglio ringraziare la famiglia, per aver organizzato questa cerimonia e per averci consentito di onorare Fedora come meritava. Tutta la mia vicinanza e il mio affetto vanno a Henner, grande amore della sua vita, che lei adorava e che si è comportato come l’uomo che ogni donna vorrebbe al suo fianco, e a Federica, sorella gemella di Fedi, che sono stata davvero felice di conoscere, anche se in circostanze molto tristi, purtroppo.

Restano dentro di me tutte le nostre conversazioni, che spaziavano dalla politica alla letteratura, dai nostri affetti ai nostri dolori, e restano anche i ricordi della sua vita che Fedi ha voluto condividere con me: il gatto che aveva amato tantissimo e che la accompagnava nelle sue mirabolanti avventure, Torino, la sua città, l’adolescenza con gli scii ai piedi, il campione Gustav Thöni, che aveva conosciuto sulle montagne, e la sua entusiasmante vita da archeologa, quando attraversava il mondo e i decenni, riscoprendo i millenni.

Il mio ultimo pensiero va direttamente a lei.

Fedi, ti voglio bene e te ne vorrò sempre. Sono qui con Angela Fiore, che ti ricorda insieme a me. Ci chiamavi “le mie combattenti” perché sapevi quanto fosse difficile, per due donne, muoversi in un mondo dominato dagli uomini come quello dell’editoria. Eppure noi possiamo combattere, oggi, solo perché ci sono state donne come te, ad aprire la strada. Donne dal valore inarrivabile e a cui dobbiamo tutto. Ricevere la tua amicizia e il tuo affetto è stato un onore e un privilegio. Speriamo solo di rendercene degne.

Grazie, Fedi.

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