“Il delitto di Giarre”, di Francesco Lepore. Da un tragico episodio di omofobia alla lotta lgbtq+ in Italia

il delitto di giarre

di Federico Quadrelli

Il delitto di Giarre. 1980: un caso insoluto e le battaglie del movimento LGBT+ in Italia” è un libro molto particolare e si deduce già dal titolo. Si tratta del racconto, dal taglio giornalistico, di un fatto di cronaca nera avvenuto nel 1980 e che non ha mai trovato una conclusione dal punto di vista investigativo o giudiziario. I motivi sono molti e vengono descritti molto bene nel libro.

Non si tratta solo di errori – essenzialmente voluti, si potrebbe dire – nella raccolta delle prove e delle testimonianze, quanto della volontà di concludere quanto prima una faccenda che all’epoca era vissuta con profondo imbarazzo e fastidio dall’intera comunità di Giarre, e non solo.

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Il delitto di Giarre: storia di omofobia e di omertà

I protagonisti di questa triste e drammatica vicenda sono due ragazzi: Giorgio di 25 anni e Antonio, che, quando morì, di anni ne aveva solo 15. Li chiamavano gli “ziti”, i fidanzati in siciliano. Il tema scabroso, per il paese siciliano in cui si è consumata la tragedia, nel 1980, è l’omosessualità. Un tema, ad onor del vero, scabroso in tutta Italia.

Il libro mette in evidenza, infatti, il clima in cui la vicenda si realizza: il silenzio omertoso di un’intera comunità e di tutte le sue istituzioni, dalla polizia alla chiesa, dalla scuola alle famiglie delle vittime, dalla stampa nazionale alla politica, fatta salva la partecipazione del partito radicale, da sempre attento al tema dei diritti civili, e delle prime organizzazioni dei diritti delle persone omosessuali, come FUORI! e successivamente Arci-Gay (poi Arcigay). Questa omertà è andata avanti per anni e ad oggi, purtroppo, della vicenda di quei due ragazzi non si è fatta ancora chiarezza. E, come afferma una delle persone citate nel libro, chiarezza non verrà mai fatta.

Il libro di Lepore ricostruisce una vicenda che ha costretto l’Italia a guardarsi allo specchio

Il punto, però, ed è questo secondo me da evidenziare, non è tanto chiarire il fatto criminoso in sé (omicidio o suicidio?), quanto le condizioni che hanno reso possibile la morte di questi due ragazzi, colpevoli solo di essersi amati. L’autore del libro, Francesco Lepore, mette in ordine i fatti e le ambiguità, le contraddizioni e le omissioni di un’intera collettività. Descrive in modo semplice, ma minuzioso, le caratteristiche drammatiche di quella vicenda.

In un passaggio riporta, in siciliano, la frase di un parente di uno dei ragazzi al padre, che penso ci descriva molto bene il clima dell’epoca: “Meglio un figlio morto che frocio”. Ecco, il dramma che si è consumato in quel paese, non il primo e soprattutto non l’ultimo: in Sicilia, come in tante altre parti d’Italia, d’Europa o del mondo, ancora oggi c’è chi quella frase la direbbe, senza provare vergogna né rimorso.

Ho letto questo libro d’un fiato, letteralmente. Non ho potuto interrompere la lettura, dovevo arrivare alla fine. Pagina dopo pagina ho avvertito la fatica che ha significato, negli ultimi 40 anni, portare questi temi avanti, far progredire questa società ancorata troppo a (dis)valori e ad una visione machista, patriarcale ed escludente del mondo. C’è tanto ancora da lavorare sul tema dei diritti, in Italia e non solo.

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Mettere al centro le vittime, per restituire dignità alla loro storia

Il lavoro di Lepore è importante sotto diversi punti di vista: quello giornalistico perché mette in luce dei fatti che rischiavano di andare persi nel tempo o d’essere relegati a un giornalismo di “nicchia”, quello storico e sociologico, per le testimonianze raccolte e per averle inserite nel contesto di riferimento, e infine quello per me più rilevante, ossia quello “etico”, perché restituisce dignità ad una storia che per troppo tempo è stata ignorata e distorta.

Mette al centro le vittime, restituendo loro una dignità che in troppi hanno cercato di calpestare e cancellare quando erano in vita, dietro le risatine e le offese del quotidiano, l’esclusione e la violenza fisica e verbale, e dopo la loro morte, celebrando funzioni separate, falsificando le date di morte e tumulandoli lontani l’uno dall’altro, cercando di criminalizzare il maggiorenne a danno del minorenne e contrapponendoli nei ruoli di vittima e carnefice. Ma la realtà è un’altra: erano due vittime, ed i colpevoli, al di là di chi ha materialmente premuto il grilletto che ha stroncato due vite innocenti, erano tanti, l’intero sistema.

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Monica Cirinnà durante un dibattito al Revolution Camp 2016, Marina di Massa. Syrio, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

L’importanza della vicenda per il riconoscimento dei diritti della comunità lgbtq+

La vicenda ha dato impulso fortissimo alle organizzazioni per la tutela dei diritti delle persone LGBT+, che già in quegli anni si erano create o si stavano formando, per rivendicare una propria soggettività e uno spazio pubblico, trovando appoggi inaspettati, ma essenzialmente resistenze e disinteresse.
Questa storia, di cui sapevo io stesso poco, mi ha commosso e mi ha convinto che l’impegno che ho messo anche nella mia attività politica e sociale per i diritti e libertà civili sia fondamentale e ancora, purtroppo, attuale.

Pagina dopo pagina ho letto nomi di persone che hanno fatto la storia del movimento LGBT+ in Italia, e vi dirò, ho provato orgoglio e gioia, perché molti di quei nomi per me sono volti, voci e sguardi ben conosciuti, perché li ho incontrati in questi anni di formazione politica ed accademica. Persone che sono entrate nella mia vita in momenti diversi e con intensità diverse: Yuri Guaiana è stato un mio professore, Giovanni Orlando un compagno di partito, Franco Grillini e Monica Cirinnà due riferimenti di impegno politico per me fondamentali, Paola Guazzo una conoscenza recente con cui mi sono subito trovato in sintonia.


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Questo è un libro da leggere, per capire meglio questa società e le sue perenni contraddizioni. Chi legge si renderà conto che, nonostante siano passati decenni, il tema “omosessualità” è tutt’oggi, per alcuni gruppi politici, alcune istituzioni, alcune persone, quello che era nel 1980, ossia un’onta, un tabù, una malattia o una devianza.

La recente discussione sul DDL Zan in Senato ci ha restituito un’immagine triste di una classe dirigente incapace di capire il mondo e di guardare al domani. Ma tutto questo non può che motivare tutte e tutti noi a fare di più: eterosessuali e non, tutti insieme per un impegno concreto per i diritti di tutte e di tutti. Buona lettura!

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