Quadruplice omicidio di Potsdam, inizia il processo. Tragedia annunciata?
Il quadruplice omicidio nella casa di cura di Oberlinhaus è stato uno dei casi di cronaca più agghiaccianti e discussi del 2021 in Germania e probabilmente se ne parlerà per anni. In questi giorni, è iniziato il processo a Ines R., 52 anni, l’operatrice della struttura che, la sera del 28 aprile scorso, ha ucciso quattro pazienti e ne ha gravemente ferita una quinta. A dare l’allarme, in quell’occasione, il marito, che in questi giorni testimonia e ricostruisce, insieme a colleghi e medici, il quadro di una degenerazione che farebbe emergere, se non una responsabilità della gestione della casa di riposo almeno una seria sottovalutazione di segnali d’allarme già evidenti da tempo.
Come spesso avviene nei più atroci casi di cronaca, molte delle testimonianze di colleghi e conoscenti, ma anche dei familiari dei pazienti affidati alle cure di Ines R., descrivono l’imputata come amabile, affettuosa, materna. Come si passa dall’accudire persone con gravi disabilità al massacrarle? Questa domanda potrebbe anche non trovare una vera risposta nel corso di un procedimento che dovrà accertare non la colpevolezza di Ines, che è fuor di dubbio, ma la sua capacità di intendere e volere prima, dopo e soprattutto durante il fatto e le eventuali responsabilità di un ambiente professionale e umano che ha permesso a una persona che stava perdendo il contatto con la realtà di continuare a occuparsi di pazienti completamente indifesi.
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Il quadruplice omicidio di Oberilnhaus: la ricostruzione dei fatti
Il pubblico ministero ha avviato il procedimento ricostruendo quanto si sa dei tragici fatti del 28 aprile. Poco dopo le 20, Ines R. è entrata nella stanza di un paziente e lo ha strangolato, ha poi fatto lo stesso con un’altra paziente, in un’altra stanza, per poi recarsi nello spogliatoio, dove ha preso un coltello dall’armadietto. Nel percorso dal luogo del secondo omicidio allo spogliatoio, ha incontrato una collega, che non ha notato nulla di strano nel suo atteggiamento. Tornata in reparto con il coltello, Ines ha tagliato la gola a una terza paziente, poi è tornata dai primi due, che sembravano essere sopravvissuti allo strangolamento, e li ha uccisi con il coltello. La stessa sorte è toccata a un quarto paziente. La quinta vittima è sopravvissuta alle ferite da taglio alla gola ed è finita in terapia intensiva. Tutte le vittime risiedevano da anni nella casa di cura di Oberlinhaus ed erano affette da gravi disabilità.
La ricerca delle ombre nella vita di Ines R.
Nel primo giorno del processo, l’ex infermiera ha parlato della sua vita e della sua infanzia, che sembra essere stata povera di affetti e caratterizzata da gravi disturbi d’ansia. Le prime ideazioni suicide compaiono a undici anni, il primo tentativo vero e proprio a 14, il secondo a 19. Questo è quanto Ines riferisce e quanto viene riportato da diversi media tedeschi e da un approfondimento specifico del quotidiano Die Zeit. Data la natura dei temi, è però opportuno specificare che né l’ansia né le ideazioni suicide possono essere considerate di per sé fattori di rischio che possano condurre a un epilogo tragico come quello di questa vicenda. E tuttavia, dal momento che lo scopo del procedimento è anche accertare se l’imputata sia condannabile e si possa ritenere responsabile delle sue azioni, tutta la sua storia clinica assume inevitabilmente un’importanza capitale.
Ines cresce dunque senza farsi notare e senza dare problemi, non manifesta affetto né interesse per la famiglia, vuole essere lasciata in pace, dichiara di avere l’impressione di essere osservata quando è per strada. Si sposa con Thimo, conosciuto poco prima del secondo tentativo di suicidio e hanno due figli, con i quali, secondo il marito, Ines è una madre straordinariamente amorevole. Entrambi i figli, però, sono destinati a patire gravi problemi di salute. Il primogenito contrae una grave meningite, alla quale sopravvive, ma che gli lascia danni cerebrali permanenti. Ines, che già lavora presso la casa di riposo, sente il peso di non riuscire a occuparsi del figlio disabile come si occupa dei suoi pazienti. Il ragazzo viene affidato a una struttura quando a Ines viene diagnosticato un “burnout”. Curata farmacologicamente, Ines sembra riprendersi e continua a lavorare e a essere amichevole con i colleghi, atteggiamento che la sua psichiatra ritiene essere una mera facciata per nascondere un disagio profondo. La dottoressa parlerà in seguito di un super-io estremamente rigido e sadico.
Il secondo evento traumatico arriva nel 2016, quando al secondo figlio di Ines e Thimo viene diagnosticato un tumore inoperabile al cervello. Contrariamente a tutte le aspettative, il giovane si è poi salvato, ma nel frattempo Ines ha di nuovo iniziato a manifestare le conseguenze psicosomatiche dello shock, al punto da ipotizzare di abbandonare la posizione di infermiera per dedicarsi a fare le pulizie presso la stessa struttura – una posizione pagata meno bene, ma che implica anche meno responsabilità e fatica. Insieme con il marito, però, decide di non farlo, poiché i due hanno contratto un mutuo e lui non guadagna abbastanza.
Nel 2020, Ines R. confida alla sua psichiatra di essere terrorizzata di perdere il controllo, dopo aver avuto uno scatto d’ira durante una riunione di lavoro. Chiede di essere internata in una clinica psichiatrica, ma l’unico posto disponibile è in una struttura di medicina psicosomatica. Qui, Ines dichiara di stare perdendo la percezione di sé, di sentirsi come “dissolvere”, di sentire delle voci e di avere allucinazioni nelle quali le pareti le si avvicinano. Dimessa dalla clinica, Ines non sta meglio, ma torna ugualmente al lavoro, perché stare in casa le è insopportabile. Intanto, nella casa di cura di Oberlinhaus, la pressione si fa eccessiva – come del resto in molte strutture simili in tutta la Germania. Il personale, già appena sufficiente, con tre infermieri ogni 20 ospiti, diminuisce, perché in molti se ne vanno o si ammalano. I colleghi di Ines testimoniano che, a volte, i pazienti venivano lasciati tutto il giorno nel letto senza che nessuno si occupasse di lavarli.
Alla domanda dell’avvocato della difesa sul perché non abbia fatto rapporto per le condizioni di lavoro inaccettabili alla Thusnelda von Saldern House, R. risponde che sarebbe stato inutile, perché la risposta della direzione a qualsiasi lamentela era che, se non era in grado di reggere i ritmi del lavoro, avrebbe fatto meglio ad andarsene.
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La direzione della casa di cura può considerarsi responsabile del quadruplice omicidio?
Questi i fatti, così come sono stati riportati nel corso della prima fase del procedimento. In molti, ora, si chiedono come sia possibile che a una persona che non solo aveva dato segni di squilibrio grave, ma aveva anche chiesto aiuto più volte lamentando un discontrollo degli impulsi, sia stato permesso di continuare a lavorare in una posizione che la vedeva responsabile di pazienti incapaci di provvedere a se stessi nelle più basilari necessità. La difesa, nella persona dell’avvocato Henry Timm, ritiene che la direzione della Thusnelda von Saldern House di Oberlinhaus avrebbe dovuto intervenire con una sospensione e magari l’indicazione di seguire un trattamento, visto l’evidente deterioramento della salute mentale dell’infermiera. Questo, sostiene Timm, avrebbe potuto prevenire il quadruplice omicidio. La direttrice della struttura, Heike Judsaz, sostiene di non aver mai saputo nulla dei problemi mentali della sua dipendente, dal momento che, per motivi di difesa della privacy, non poteva avere accesso alle informazioni mediche di Ines R., compresi i ricoveri.
Per l’inizio del 2022 è previsto però un altro processo, che prenderà in esame le condizioni di lavoro nella casa di riposo. In questo caso è stata Ines a sporgere denuncia contro il datore di lavoro che l’ha licenziata dopo il quadruplice omicidio.