“Squid Game” arriva nei cortili delle scuole tedesche: ed è subito processo alla serie
“Squid Game” è da tempo l’argomento del giorno. Come ormai sanno praticamente tutti, la serie sud-coreana narra le vicende di un gruppo di persone con seri problemi economici, che accettano di partecipare a giochi per bambini in cui però, chi perde, perde anche la vita. Chi vince, si aggiudica un montepremi stellare.
Tutto questo è la metafora di un contesto sociale devastato dalla contrapposizione radicale tra ricchi e poveri e dal mito della prestazione, temi vicini alla sensibilità sud-coreana e declinati anche dal film premio Oscar “Parasite“, di Bong Joon-ho. “Squid Game” è tuttavia recentemente finito sotto accusa per l’impatto negativo che avrebbe sui minori.
Per la serie sud-coreana, un successo planetario
D’altro canto è inevitabile: una serie che arriva a 111 milioni di spettatori in soli 27 giorni (al momento “Squid Game” è la produzione di maggior successo di Netflix), non può che rimbalzare ovunque, incuriosire chiunque e portare con sé una quota inevitabile di polemiche e di “genitori e insegnanti indignati”. Un grande classico.
Il problema del momento è che c’è chi dichiara che bambini più o meno piccoli starebbero imitando, anche in Germania, i giochi mortali mostrati nella serie, anche perché in “Squid Game” vengono rappresentati proprio giochi infantili con cui i più piccoli avrebbero dimestichezza.
Squid Game, denuncia del Moige ad Agcom: “Arreca danni ai minori” https://t.co/QtIX76DV8l
— informazione cultura (@infoitcultura) October 27, 2021
“Squid Game” in Germania: genitori ed educatori nel panico
“Squid Game ha raggiunto i cortili delle scuole tedesche” titola il magazine der Spiegel, che riporta dichiarazioni preoccupate di Simone Fleischmann, presidente dell’Associazione bavarese degli insegnanti (BLLV), la quale sostiene che i bambini imiterebbero le dinamiche di “Squid Game” nelle pause all’aperto.
Michaela Zipper, consulente di educazione ai media dell’Ufficio Scuola ad Augsburg, ha riferito invece all’emittente Bayerischer Rundfunk: “Osserviamo che gli alunni replicano i giochi della serie, prendendosi a schiaffi e insultandosi”. I piccoli riprodurrebbero in particolare “Ochs am Berg“, una variante del nostro “Un, due, tre, stella!“, nonché primo gioco che viene rappresentato nella serie sud-coreana. In “Squid game”, chi perde in questa particolare prova viene fucilato, mentre i bambini prenderebbero i perdenti a schiaffi sul viso. Biglietti di invito per “Squid Game” sarebbero inoltre stati trovati sia in scuole elementari che superiori.
Alla popolarità della serie guarda “con preoccupazione” addirittura il Ministero dell’istruzione bavarese. Un portavoce ha dichiarato di non essere ancora informato su possibili conseguenze concrete di questo pericolo, ma ha aggiunto che “siccome le scuole riflettono la società, di sicuro questa serie è argomento di conversazione”.
Il problema è stato sollevato anche a Berlino, dove una scuola elementare del distretto di Mitte avrebbe specificamente avvertito i genitori, con una lettera informativa, “che alcuni bambini parlerebbero dell’argomento”. Lo riporta il quotidiano locale BZ.
Situazione fuori controllo? Riflettiamo con calma
Lungi dal sottovalutare presunti eccessi di violenza nei giochi tra bambini, vanno fatte però una serie di considerazioni. La prima è di carattere puramente “probatorio”. Siamo sicuri che questa emergenza esista davvero? Da quanto si legge, al di là dei titoli allarmistici, almeno in Germania i riferimenti sono assai vaghi. Non si parla cioè di un fenomeno di massa, documentato e oggettivamente preoccupante, ma si allude a singoli casi, peraltro in modo piuttosto fumoso.
Segnalazioni anche a Torino, in Belgio e nel Regno Unito. Da più parti la richiesta di fermare la serie Netflix
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“Che qualcuno pensi ai bambini!”: un fenomeno ciclico
Quella che emerge molto chiaramente, invece, è soprattutto la preoccupazione degli adulti, amplificata e al tempo stesso indotta dai media, sull’onda del trending topic. Ascoltando le dichiarazioni di educatori e rappresentanti di istituzioni, infatti, l’impressione è che stiano dando voce a paure alimentate dal successo di una serie diventata, nel bene e nel male, il centro del dibattito e della sua stessa mitologia.
Questo meccanismo in realtà si attiva ciclicamente e attraverso i decenni ha riguardato moltissimi prodotti culturali, dai cartoni animati giapponesi degli anni ottanta ai videogiochi, senza contare il condizionamento indotto da distorsioni mediatiche, come nel cosiddetto “caso Blue Whale”.
Dove sono gli adulti, mentre i bambini guardano “Squid Game”?
C’è poi una considerazione legata alla vigilanza sui minori. Dando per scontato, per un attimo, che nei cortili delle scuole elementari tedesche abbiano effettivamente luogo giochi violenti per colpa di “Squid Game”, ricordiamo che la serie sud-coreana è su Netflix, piattaforma a pagamento a cui solo un adulto può accedere. Più che informare i genitori del problema, forse, li si dovrebbe avvisare che lasciano incustoditi figli e dispositivi elettronici.
“Squid Game” non è la cosa più pericolosa che possa capitare a un minore
L’ultimo rilievo si lega alla rapida obsolescenza del mondo, così come conosciuto da ogni generazione. Già chi ha dieci anni di meno conosce cose che non sono accessibili a chi è un po’ più grande, figuriamoci quando il gap generazionale è abissale, come quello che separa i giovanissimi dagli adulti. Questo porta, per esempio, rappresentanti istituzionali che si collocano in una fascia di età che va dai quaranta ai sessant’anni, a ignorare completamente il mondo dei minori che vogliono tutelare. E a ragionare per sentito dire.
Siamo sicuri infatti che “Squid Game” sia la cosa peggiore in cui un bambino possa incappare? Oltretutto, i minori non possono andare su Netflix senza utilizzare l’abbonamento di un adulto. In compenso possono gratuitamente accedere a diversi social senza controllo anagrafico se non sulla carta, fruire di contenuti di ogni tipo e interagire con adulti senza controllo.
Singolare come un pericolo reale non sia vissuto come un’urgenza e ci si precipiti invece a mobilitare legioni e a raccogliere firme per qualcosa di infinitamente meno rischioso. Ulteriore dimostrazione di come il percepito e l’oggettivo siano due categorie non necessariamente sovrapposte.
Cosa succederà adesso?
Chiuderà, “Squid Game”? Forse solo nei sogni dei membri più fanatici del Moige. Se ne parlerà, bene e male? Indubbiamente, fino a quando l‘hype del fenomeno non sarà sfumato. Rovinerà la vita dei bambini tedeschi, inglesi, belgi o italiani? No, attraverserà il loro orizzonte e poi sarà sostituito da qualcos’altro.
E infine, c’è violenza indotta, attualmente, nei giochi dei bambini tedeschi? In realtà c’è sempre stata, ovunque, in piccolissime dosi e con funzione spesso simbolica o catartica, dai tempi in cui i nostri nonni facevano la guerra dei bottoni o i nostri padri replicavano le sparatorie dei film western che adoravano. Se la violenza nelle dinamiche dei giochi degenera, è certamente un problema e in questi casi è giusto mobilitarsi. Ma con interventi mirati e professionali, come spesso si fa in questi casi, e non con la caccia alle streghe, a cui sempre ci si dedica, quando non si sa come interpretare la complessità del reale.
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