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Dipendenti obbligati a dichiarare lo status vaccinale? Spahn divide governo e sindacati

Nella gestione della quarta ondata pandemica, la questione della sicurezza sul luogo di lavoro assume un’importanza fondamentale. In Germania, un elemento significativo di questo dibattito riguarda il diritto dei datori di lavoro di informarsi sulle scelte dei dipendenti in materia di vaccinazione. In altre parole: un’azienda può esigere di sapere se il dipendente è vaccinato o meno? Il ministro degli affari economici Peter Altmaier (CDU) e il ministro della salute Jens Spahn (CDU) ne sono fermamente convinti, al punto che quest’ultimo ha proposto di cambiare la legge attualmente in vigore per garantire ai datori di lavoro questa possibilità. I sindacati e il ministro del lavoro Hubertus Heil (SPD), per contro, si oppongono all’obbligo di dichiarazione dello status vaccinale da parte dei lavoratori dipendenti.

Che cosa impedisce ai datori di lavoro di chiedere ai dipendenti il loro status vaccinale?

L’ostacolo principale alla modifica proposta da Spahn (che non è ancora stata articolata in un vero e proprio progetto di alterazione della legge) è dato dalla legge sulla privacy dei dipendenti. Proprio questo aspetto è alla base dello scetticismo di Heil, che ha sottilmente accusato Spahn di non avere una proposta concreta di attuazione al di là delle “battute da talk show”. A rendere più complessa la questione c’è anche il fatto che, in alcuni casi, la privacy dei dipendenti è già a rischio: se per esempio un ristorante applica la regola 3G, appare logico che il proprietario richieda lo status vaccinale o il test non solo alla clientela, ma anche al personale. Come si concilia, quindi, l’applicazione di questa regola con la privacy di chi lavora nella ristorazione e nella gastronomia? Il discorso vale a maggior ragione per quei locali e ristoranti che sceglieranno di applicare la più severa regola 2G.


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La posizione dei datori di lavoro: chiedere lo status vaccinale aiuta a organizzare il lavoro

Le associazioni dei datori di lavoro hanno una posizione molto chiara su questo punto: informarsi sullo status vaccinale dei dipendenti è indispensabile. “È assurdo” ha commentato Peer-Michael Dick, amministratore delegato dell’associazione dei datori di lavoro Südwestmetall “che le aziende siano obbligate a offrire test gratuiti ai dipendenti, ma che non siano autorizzate a chiedere loro se sono vaccinati o meno”. Dick è anche contrario alla proposta di Heil di permettere le vaccinazioni durante l’orario di lavoro.

La posizione dei sindacati

La confederazione sindacale tedesca (DGB) si oppone recisamente a qualsiasi modifica della legge attuale che obblighi i dipendenti a dichiarare il proprio status vaccinale. Secondo Anja Piel, membro del comitato esecutivo di DGB, una misura del genere equivarrebbe a un tentativo ingiusto di attribuire ai dipendenti la responsabilità della sicurezza sul lavoro. Più importanti sarebbero, secondo Piel, misure atte a incoraggiare una diversa e più sicura organizzazione del lavoro in generale, per esempio garantendo la possibilità di continuare a lavorare da casa, laddove questa opzione sia compatibile con le mansioni svolte. Continuare a ridurre i contatti sarebbe infatti essenziale, in considerazione del fatto che anche le persone vaccinate possono essere portatrici del virus.

Spahn resta comunque contrario alla vaccinazione obbligatoria

Mentre in Italia vengono respinti i primi ricorsi dei lavoratori della sanità sospesi per aver rifiutato il vaccino, la Germania continua a muoversi in tutt’altra direzione. Per il ministro Spahn, infatti, l’ipotesi di un obbligo di dichiarazione del proprio status vaccinale non prelude affatto all’introduzione di una vaccinazione obbligatoria, neppure per specifici gruppi professionali, ma ha il fine unico di permettere alle aziende di organizzare i turni e la gestione degli spazi in modo adeguato, per permettere la massima protezione di tutti i dipendenti. Obbligare alcuni gruppi a vaccinarsi, ha dichiarato lunedì al programma della ARD Hart Aber Fair, non aiuterebbe a far progredire la campagna vaccinale, ma contribuirebbe a radicalizzare ulteriormente le posizioni di chi rifiuta di immunizzarsi.

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