L’editoriale tedesco su Dante Alighieri: l’autore lancia frecciate e gli italiani rispondono a cannonate
Ha rischiato di scatenare una “crisi bilaterale” l’editoriale su Dante Alighieri di Arno Widmann, pubblicato sul quotidiano tedesco Frankfurter Rundschau e intitolato “Dante: Die Guten ins Töpfchen, die Schlechten ins Kröpfchen”, che potremmo tradurre con “Dante, il buono nel pentolino, il cattivo nel gozzino”.
Il titolo si riferisce a un passaggio di Cenerentola in cui la ragazza chiede ad alcune colombe di separare le lenticchie dalla cenere e di mettere le prime in un pentolino e le seconde, appunto, nel gozzo. Ma per esteso l’espressione viene usata proprio per indicare l’atto del separare ciò che si ritiene valido da ciò che invece va escluso. I buoni dai cattivi, volendo. E il senso di questo titolo si capisce solo alla fine del pezzo di Widmann.
Una tempesta italiana
Ma torniamo all’articolo, pubblicato nella giornata del Dantedì, il 25 marzo, e soprattutto alle reazioni che si sono scatenate in Italia dopo la sua diffusione. Il primo a riportare la notizia è stato il quotidiano La Repubblica, che ha titolato “Dante, l’incredibile attacco dalla Germania: “Arrivista e plagiatore“, rimbalzando poi su altri media nazionali. “L’Italia ha poco da festeggiare, era un plagiatore” ha titolato , tra gli altri, Il Messaggero.
Come pensate abbiamo reagito gli italiani? Come era prevedibile, la notizia ha generato un’accesissima reazione di sdegno e sui social si sono accumulati commenti pieni di risentimento.
Si sono uniti alla polemica anche esponenti delle istituzioni. Il ministro della cultura Dario Franceschini, ad esempio, ha commentato twittando una citazione dantesca: “Non ragioniam di lor, ma guarda e passa“. E intanto i dantisti hanno cominciato a scaldarsi per scendere nell’arena. Un po’ frettolosamente, va detto.
Ma l’articolo è davvero così offensivo?
Dopo non molto, sono arrivati nuovi commenti di persone che sostenevano che nell’articolo del quotidiano tedesco non ci fossero in realtà né la parola “arrivista”, né “plagiatore”, né la frase “l’Italia ha poco da festeggiare”.
Lo ha confermato anche il corrispondente in Italia del Frankfurter Allgemeine Zeitung, Tobias Piller. “Non ho letto da nessuna parte né arrivista né plagiatore. Mi sembra un articolo che inquadra Dante Alighieri nel suo tempo e ne spiega la grandezza ai tedeschi” ha dichiarato Piller alle agenzie di stampa.
L’articolo quindi non attacca Dante?
In realtà, per quanto non denigri Dante nella misura e con i toni apparsi sui giornali italiani, l’articolo di Arno Widmann di sicuro non esprime verso Dante troppo entusiasmo, anche se ne riconosce la grandezza letteraria. Più che altro tende a minare l’idea dell’assoluta unicità del sommo poeta, di cui molti appassionati dantisti sono convinti.
Ma per permettere anche ai lettori che non conoscono il tedesco di farsi un’idea propria, riportiamo e commentiamo quanto scritto nell’editoriale e cerchiamo di capire insieme di cosa stiamo parlando.
Dante Alighieri è difficile da leggere
Dopo una breve introduzione sul perché il 25 marzo sia stato scelto come il Giorno di Dante in Italia, e cioè perché si dice che in questa data, un Venerdì Santo del 1300, il poeta abbia collocato l’inizio del suo viaggio attraverso l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso, Widmann si sofferma sulla lingua di Dante.
In particolare l’editorialista tedesco scrive che, nonostante l’Italia elogi Dante come padre della lingua italiana, avendo egli scelto di affrontare temi sofisticati rinunciando al latino, l’opera di Alighieri è oggettivamente difficile da decifrare. E aggiunge che anche le edizioni non scolastiche sono costellate di annotazioni, che spiegano singole parole e aiutano il lettore moderno a farsi strada nella comprensione del testo.
La prima poesia in lingua italiana è stata scritta in provenzale
Widmann sostiene inoltre che per capire l’Italia del XIII secolo sia necessario superare la dicotomia italiano-latino. Parla infatti di un contesto storico e letterario in cui i poeti europei furono aiutati a evolversi nella loro stessa lingua dai trovatori provenzali, fuggiti da una Provenza distrutta dalle campagne contro i catari.
In questo processo Widmann ritiene che l’Italia sia rimasta indietro al punto che “La prima poesia in lingua italiana è stata scritta in provenzale“. L’autore ricorda anche che Brunetto Latini, maestro e amico di Dante, scrisse la sua enciclopedia “Livre du Trésor” in francese, non solo perché la pubblicò in Francia, dov’era in esilio, ma anche perché sapeva che così avrebbe attirato più lettori.
Dante ha tentato di superare le “popstar” dell’epoca: i trovatori
L’editorialista del Frankfurter Rundschau continua dicendo che all’epoca di Dante i poeti parlavano di donne idealizzate e mitizzate, esattamente come fa Dante Alighieri con Beatrice nella Divina Commedia. “I trovatori erano cantanti pop, univano i testi alla musica” sintetizza Widmann, mentre “Dante mirava ad ottenere lo stesso effetto senza musica. Si è sempre sentito in competizione, focalizzato sul superamento. L’impossibile era il suo elemento”.
Osservazioni che si scontrano con quelle di chi ritiene che Dante abbia sì realizzato, con la Commedia, un radicale superamento della poetica dell’amor cortese, ma che questo superamento abbia prodotto qualcosa di talmente nuovo da non rendere più possibile un accostamento tra le due cose.
Dante ispirato da Maometto
Arno Widmann avanza a questo punto l’ipotesi che Dante potesse essersi ispirato, nella stesura della sua Commedia, al racconto del viaggio di Maometto in cielo della tradizione musulmana. Menziona a questo proposito un arabista spagnolo, Miguel Asin Palacios, che nel 1919 pubblicò uno studio in cui affermava che Dante conoscesse l’antico testo arabo e se ne fosse servito per ispirarsi.
Widemann aggiunge che la maggior parte dei dantisti ha rigettato questa ipotesi come un puro prodotto della fantasia. “Hanno visto messa in discussione l’unicità del loro eroe” commenta e poi aggiunge: “Ma si farebbe un’ingiustizia a Dante se si sottovalutassero la sua ambizione e il suo spirito di competizione. Così come ha fatto sembrare superata la poesia provenzale, così può aver sognato di superare l’ascensione musulmana al cielo, sostituendola con quella cristiana”.
Widmann non dà a Dante del plagiario, quindi, ma non esclude che possa essersi ispirato alla tradizione araba, in contrasto con la posizione della maggioranza dei dantisti sul punto. E nell’uso del termine “eroe” si potrebbe anche cogliere una sfumatura ironica.
Dante Alighieri e il suo immenso ego
Si parla quindi dell’ego di Dante, un ego talmente grande da gestire 14.000 versi in una griglia di complesse terzine, con l’intenzione di creare un ponte con l'”Eneide” di Virgilio e dare sfogo a uno dei suoi più grandi piaceri: quello di sentenziare.
Widmann sostiene infatti che Dante distribuisca all’Inferno, in Purgatorio e in Paradiso grandi menti e governanti, conoscenti e amici, personaggi dell’epica o della mitologia perché guidato “dal piacere di giudicare e condannare“.
Anche il trattamento umano riservato da Dante ad alcune anime dannate, come quella di Francesca da Rimini e del suo amante Paolo, diventa meno benevolo, nella lettura di Widmann, quando si pensa che è il Dante autore ad averli assegnati all’inferno. Anche se il Dante personaggio sembra avere pietà di loro.
Santa Beatrice… e la moglie Gemma Donati non appare mai
Widmann sposta a questo punto l’attenzione sulla figura di Beatrice, a volte presentata come una filosofa, a volte sovrapposta a quella di Maria, e in ogni caso oggetto di adorazione quasi mistica.
E a questo proposito ricorda che la vera moglie di Dante Alighieri, Gemma Donati, non appare mai nella Divina Commedia, come non appaiono i figli del poeta. “Non rivestono alcun interesse. Per scoprire nella vita matrimoniale una possibile via di beatitudine, bisognava aspettare Lutero e la Controriforma“, dice Widmann, affrontando il rischio che questa precisazione possa indurre i lettori italiani a evocare l’idea di una competizione italo-tedesca.
Ulisse come ispirazione del futuro umanesimo
Decisamente non critico è invece il passaggio relativo alla curiosità di Dante, definita immensa e riflessa dalla rappresentazione di Ulisse nel 26° canto dell’Inferno. Widmann ricorda anche il fatto che l’umanesimo italiano coniò il termine “ulissismo”, un secolo o due dopo Dante, proprio per indicare quel desiderio inestinguibile di indagare la realtà in cui, da quel momento in poi, l’Occidente aveva scelto di riconoscersi.
L’editorialista descrive anche il passo della Commedia in cui Ulisse rievoca la sua morte, avvenuta a causa di una tromba d’aria mentre tentava di superare lo stretto di Gibilterra. Widman cita anche la frase con cui si chiude il canto, “E poi il mare si chiuse su di noi“, parlando di “Un finale brusco e drammatico, che ha un impatto su chi legge ancora oggi”.
Dante ossessionato dalla religione
Widmann sostiene inoltre che non si possano non accostare il racconto del viaggio di Dante nell’oltretomba, scritto probabilmente tra il 1307 e il 1320, e il famosissimo diario di viaggio di Marco Polo, scritto in prigione tra il 1298 e il 1299, in francese (“ancora una volta!”, chiosa l’editorialista).
Widmann accosta le due opere per far emergere come, nonostante entrambe mescolino finzione e verità, Dante esprima “ambizioni profetiche” e un “senso religioso della missione” che in Marco Polo sono assenti. Widmann ritiene importante operare questa associazione, “Altrimenti si ha l’idea che l’ossessione religiosa di Dante sia la caratteristica di un’epoca e non qualcosa che lo ha contraddistinto”.
Shakespeare più moderno di Dante Alighieri
Uno dei passaggi che ha irritato di più alcuni dantisti è quello relativo al confronto con William Shakespeare, che Widmann fa dopo aver citato un breve trattato su Dante scritto dal poeta cattolico T.S. Eliot nel 1929. Eliot accostava Dante a Shakespeare, paragonando le metafore usate da entrambi.
“Ma l’amoralità di Shakespeare e la sua descrizione di ciò che esiste” dice Weidmann, “ci sembrano anni luce più moderne dello sforzo di Dante di avere un’opinione su tutto, di trascinare ogni cosa davanti al giudizio della sua morale“. E poi conclude: “Tutta la sua gigantesca opera è lì solo per permettere al poeta di anticipare il Giudizio Universale, di fare il lavoro di Dio e di separare i buoni dai cattivi”.
E qui torna il titolo, Die Guten ins Töpfchen, die Schlechten ins Kröpfchen, per l’appunto.
Conclusione. Forse ad Arno Widmann Dante non è simpatico
E proprio qui, nella conclusione di un articolo che alcuni hanno trovato ben fatto, altri approssimativo, altri (esagerando) oltraggioso, l’editorialista lascia percepire l’antipatia che probabilmente prova per Dante Alighieri.
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Non già perché l’opera di Dante non abbia un fine pedagogico e una vocazione morale dichiarati, ma perché accostare la sua figura a quella di Shakespeare, nato tre secoli dopo in un diverso contesto, e per giunta completamente diverso da Dante anche come scrittore, è una palese forzatura, evidente a chiunque conosca la letteratura.
Insomma, che a Widman Dante sia antipatico è una nostra percezione dovuta al tono generale dell’articolo e quindi non un dato oggettivo. Ma accostare nella conclusione Dante e Shakespeare, al fine di dare a Dante del moralista, è un’operazione alquanto azzardata, che ci fa pensare che Widman stimi l’Alighieri, ma di fatto non lo ami.
Potete leggere qui l’articolo di Arno Widman di cui abbiamo parlato