A un anno dall’attentato di Hanau, le famiglie delle vittime chiedono giustizia

Uno dei due bar nei quali è avvenuta la strage di Hanau. Lumpeseggl, CC BY-SA 4.0 , via Wikimedia Commons

Ferhat Unvar, Mercedes Kierpacz, Sedat Gürbüz, Gökhan Gültekin, Hamza Kurtović, Kaloyan Velkov, Vili Viorel Păun, Said Nesar Hashemi, Fatih Saraçoğlu. Questi sono i nomi delle nove vittime dell’attacco terroristico di Hanau, in Assia, del quale oggi ricorre il primo anniversario.

Il 19 febbraio del 2020, in quella che adesso sembra un’epoca lontanissima, il quarantatreenne Tobias Rathjen, dopo aver pubblicato su internet un folle manifesto infarcito di teorie del complotto, delirio paranoide e ideologie razziste, aprì il fuoco, con un’arma che possedeva legalmente, sugli avventori di due Shisha bar frequentati prevalentemente da cittadini di origine turca, uccidendo nove persone e ferendone cinque, per poi tornare a casa, uccidere la propria madre e, infine, spararsi. A distanza di un anno, le famiglie delle vittime lamentano gravi lacune nell’operato delle forze dell’ordine.


Attentato di Hanau

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Manifestazioni a Francoforte in ricordo delle vittime di Hanau: le famiglie chiedono giustizia

Nella giornata di ieri, migliaia di persone hanno manifestato a Francoforte per ricordare le vittime dell’attacco di Hanau, ma anche per chiedere azioni più decise contro l’estremismo di destra e il razzismo in Germania. Fra le più gravi accuse lanciate dalle famiglie delle vittime c’è il fatto che, nella sera dell’attentato, le chiamate effettuate al numero di emergenza della polizia subito dopo gli spari nel primo dei due bar siano cadute nel vuoto: le forze dell’ordine erano apparentemente a corto di personale e nessuno è intervenuto, permettendo a Rathjen di arrivare in auto fino al secondo bar e aprire nuovamente il fuoco.

Uno striscione in ricordo delle vittime di Hanau a Reichenberger Straße, a Berlino.
Marsupium, CC0, via Wikimedia Commons

C’è poi la questione dell’arma che Rathjen era legalmente riuscito ad acquistare, arrivando perfino a iscriversi a un poligono di tiro, nonostante gli fosse già stato diagnosticato un disturbo schizofrenico e fosse già noto non solo per le sue posizioni estremiste, ma anche per aver inneggiato pubblicamente alla violenza razzista e antisemita, in dichiarazioni online che lasciavano chiaramente presagire l’intenzione di passare all’azione.

Come è possibile, si chiedono i familiari delle nove persone uccise, che un uomo con un profilo psichiatrico e politico del genere sia riuscito ad accedere a un’arma da fuoco in Germania e addirittura a registrarla legalmente?


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Difficile ottenere giustizia in un caso che non si può portare a processo, vista la morte del colpevole. Eppure, dicono le famiglie, nonostante le autorità cittadine si siano schierate senza mezzi termini al loro fianco, non è stato ancora possibile aprire un vero dialogo con le forze di polizia sulle innegabili mancanze che hanno permesso alla strage di compiersi in ben due luoghi diversi della città e all’attentatore di tornare a casa praticamente indisturbato.

Il padre dell’assassino contro le famiglie delle vittime

Ad aggiungere sdegno al dolore di chi ha perso un familiare nell’attentato di Hanau ha contribuito, nel corso di quest’anno, il comportamento del padre di Rathjen. La sera dell’attentato, il settantatreenne sarebbe riuscito a sfuggire all’ultimo capitolo della furia omicida di suo figlio, ma nonostante questo non ha esitato, nel corso dell’anno, a manifestare idee e teorie non diverse da quelle dell’attentatore.

Oltre ad aver richiesto alle autorità la restituzione delle armi di suo figlio e il ripristino del suo sito internet, infatti, l’uomo avrebbe anche insultato le famiglie delle vittime in occasione di diverse veglie e manifestazioni in loro ricordo e richiesto la rimozione dei loro memoriali dalla città di Hanau. Infine, il padre di Rathjen sostiene che suo figlio sia stato in realtà ucciso dai servizi segreti e che non sia responsabile dell’attacco. Nel corso di una perquisizione, la polizia ha inoltre trovato un manifesto dell’attentatore, nel quale si dichiara che non tutti coloro che oggi detengono un passaporto tedesco sono “di sangue puro”.