La Giornata della Memoria è fondamentale. Ma continuiamo a ignorare gli orrori del presente
Il 27 gennaio si celebra la Giornata della Memoria, il Tag des Gedenkens, proprio nel giorno in cui, nel 1945, fu liberata la città di Auschwitz, in Polonia, e con essa i prigionieri dell’omonimo campo.
Celebrare quella liberazione attraverso il ricordo delle atrocità commesse fino a quel giorno serve, pragmaticamente ma anche poeticamente, a tenere vicini quei tempi passati che, facendosi sempre più lontani, rischiano di far allentare il terrore che dovrebbero suscitare o di sembrare così distanti da essere irripetibili.
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La Giornata della Memoria viene celebrata per non dimenticare e, perpetuando il ricordo di un tale crimine contro l’umanità, per fare in modo che i diritti umani non vengano mai più violati, che nessun olocausto possa mai più avere luogo. Ma, al contrario di quanto sperato, questo accade eccome.
Accade tutti i giorni nei numerosi luoghi di puro orrore in cui vite umane vengono sistematicamente calpestate. Accade nei teatri di guerra, accade ovunque ci sia una governo dittatoriale, accade dove c’è occupazione e terrorismo di Stato. Accade quotidianamente in tutti i luoghi in cui la sistematica violazione dei diritti umani viene tollerata.
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Vuol dire allora che la memoria non ha più valore e che la celebrazione del Tag des Gedenkens non serve a nulla? Che ogni tentativo di tutela dei diritti umani attraverso il ricordo di un avvenimento così atroce ha fallito ed è quindi una celebrazione inutile?
Niente affatto. Anzi al contrario, visto che la memoria individuale, così come quella collettiva – termine coniato da Maurice Halbwachs, pioniere delle ricerche di sociologia della memoria – hanno innegabilmente un ruolo fondamentale nella costruzione della coscienza e dell’etica dei singoli e delle comunità.
Vuol dire piuttosto che non dobbiamo fermarci al 27 gennaio, che dobbiamo ricordare e denunciare tutti i terribili crimini contro l’umanità commessi in passato e in atto oggi, adesso, mentre discorriamo dei campi di sterminio nazisti. Perché non è accendendo i riflettori su altri episodi altrettanto gravi che toglieremo la giusta attenzione all’olocausto degli anni ’40.
Eppure di alcune vicende non si parla, o non abbastanza. Chomsky ci spiega perché affiancando al concetto di non persona, già coniato da Orwell, quello di non storia. Unperson è, nel romanzo orwelliano “1984“, un soggetto a cui viene negato lo status di persona, in quanto colpevole di non rispettare la dottrina di Stato.
Più di qualcuno fece notare come l’autore facesse verosimilmente riferimento alla pratica stalinista di cancellare dalla storia tutti i personaggi scomodi.
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Purtroppo ancora oggi a milioni di esseri umani viene negato il diritto a essere considerati persone e centinaia di avvenimenti finiscono per essere “vaporizzati”, cancellati, occultati, dimenticati, entrando a far parte della non storia, quella i cui fatti sono destinati all’oblio, non degni di essere ricordati o commemorati.
Ancora Chomsky, citando l’attivista americano sostenitore della resistenza e della disobbedienza civile non violenta James Peck (“Nella storia dei diritti umani, le peggiori atrocità sono sempre commesse da qualcun altro, mai da noi, chiunque sia questo noi”), mette in inconfutabile evidenza quanto riescano a essere pregiudizievoli e incoerenti le valutazioni di avvenimenti che hanno influenzato pesantemente il corso della storia e di quanto altrettanto iniquamente possano essere registrati e tramandati nella memoria collettiva.
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La celebrazione della Giornata della Memoria è di fondamentale importanza ma non sufficiente a sventare il rischio della dimenticanza degli orrori di cui siamo capaci.
Occorre fare di più, molto di più se vogliamo ricordarci dei milioni di esseri umani finiti nel tritatutto dell’indifferenza, delle non persone che sembrano non avere diritto a essere tutelate né ricordate, destinate a finire nel dimenticatoio assieme ai voluminosi tomi della non storia passata e contemporanea – la guerra in Vietnam, Laos e Cambogia, i Gulag russi, i campi di lavoro e detenzione forzata dislocati in Asia, in Medio Oriente, in Sud e Centro America, il terrorismo di stato israeliano e turco nei confronti delle minoranze palestinesi e curde, gli attivisti e i giornalisti arrestati, torturati, uccisi, e numerosissimi altri esempi, impossibile citarli tutti – di cui pochi raccontano e che alcuni sembrano voler dimenticare.
(di Maria Mazzocchia)
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