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“Il Covid negli spazi essenziali”: un progetto fotografico di Luca Giorietto

(Progetto fotografico di Luca Giorietto/Testo di Etna)

Viviamo, dopo molti anni, un tragico evento che sta colpendo tutto il mondo, un mondo che sta cambiando, con regole e dinamiche diverse rispetto al passato.

Ci sentiamo soli, stanchi, lontani, spaesati, arrabbiati, perché le istituzioni non hanno una visione chiara del futuro, perché nessuno ci ha ancora insegnato come diventare antifragili: invece di farci annientare dal cambiamento dovremmo attraversarlo, indossarlo, viverlo, per scoprire che il futuro ha nuove e migliori possibilità, un futuro che inizia dentro la mente di ognuno di noi.

Fotografare questa scuola è stato un modo per descrivere e documentare uno stato mentale come nel vuoto hopperiano: la desertificazione degli spazi che producono cultura, quindi pensiero.

Questo liceo è fotografato come simbolo di tutte le scuole mondiali che tornano alla didattica a distanza. L’annullamento della socializzazione come strumento per imparare a non avere paura. Un momento storico che rimarrà nella memoria delle prossime generazioni congelato in questi scatti: non dimentichiamo.

Non serve avere speranza: dobbiamo imparare qual è l’ostacolo, e come superarlo.

Si ringrazia il Prof. Antonio Sapone, preside del Liceo Marconi di Colleferro (RM).

Luca Giorietto, l’ultima volta che abbiamo parlato di te è stato quando abbiamo presentato la tua rubrica, “Next in art“. Com’è nato questo nuovo progetto? È stato il frutto di un’idea improvvisa o di un ragionamento?

Il progetto è nato dal desiderio di produrre qualcosa di inedito ma che rimanesse come testimonianza per ricordare in futuro cosa è stato esattamente questo momento storico.

Il Covid-19 è qualcosa che ha segnato per sempre in modo brusco la nostra quotidianità e volevo fotografare/documentare lo spazio principale che produce cultura e che ha il compito fondamentale di formare le prossime generazioni: la scuola. Ho evitato di proposito il mostrare persone con indosso mascherine o situazioni di quarantena domestica, in generale ho evitato di proposito le presenze umane, nonostante io mi dedichi principalmente al ritratto.

Luca Giorietto

Da sempre mi attira anche mostrare una determinata situazione di vuoto tramite la “non presenza”. Ho cercato di evidenziare l’ambiguità tra l’edificio scolastico e le ambientazioni ospedaliere: colori pastello sulle pareti, corridoi vuoti e strisce per il distanziamento ovunque.

La scuola è un percorso mentale fatto di molteplici esperienze sociali, oltre che un edificio, e ho voluto fondere lo stato emotivo degli studenti e di tutto il personale con l’ambiente fisico.

Come ha inciso l’isolamento dovuto al Covid-19 sulla tua attività e quali sono le tue riflessioni a riguardo?

L’isolamento dei mesi precedenti e l’acquisizione più recente di nuove abitudini hanno inciso positivamente, nonostante tutto. Personalmente ho avuto modo di sfruttare questo tempo per studiare e sperimentare nuovi linguaggi. Può sembrare scontato ma bisogna sempre superare determinate situazioni critiche guardando a cosa ci possono offrire di costruttivo.

Sei un fotografo specializzato in ritratti mentre questo lavoro descrive simbolicamente uno spazio. Ti sta venendo voglia di esplorarne altri?

Sicuramente ho in mente nuovi progetti, al momento in fase embrionale. In particolare mi vorrei occupare di spazi di altro tipo. Ma per ora sto ragionando sul come e quando, proprio perché attualmente siamo limitati dalle restrizioni e non sappiamo come si svilupperà la situazione.

 

Il tuo percorso ha attraversato vari ambiti: come ti definiresti?

Non riesco a a darmi una definizione precisa, ho bisogno di continuare a sperimentare a lungo. Sicuramente il ritratto è il mio interesse principale, ma subisco un’attrazione irresistibile per il vuoto fisico. Potrebbe sembrare un’antitesi, ma questo è quello che più mi potrebbe definire finora, mi piacciono i contrasti.

Parli di “vuoto hopperiano”. A parte Hopper quali sono le tue influenze?

Provo a stilare una lista con degli esempi, ma sono davvero un mix di artisti e influenze diverse. Il primo nome che mi viene in mente è Caravaggio, un maestro assoluto.

Per il resto procederei per categorie. Per quanto riguarda il cinema: Terry Gilliam, Gregg Araki, William Castle, Peter Greenaway, Gus Van Sant, Alfred Hitchcock, Dario Argento.


Per quanto riguarda l’illustrazione potrei immergermi per ore nel bagno di colore di Mary Blair, o nelle illustrazioni geometriche di Eyvind Earle. E ci tengo a menzionare le forme di Sergio Asteriti e Guido Scala, due degli illustratori Disney che mi hanno sempre colpito di più, da quando ero piccolo. Avevano un modo di disegnare davvero destabilizzante e la cosa mi ha sempre affascinato.


Nel mondo della grafica: Vaughan Oliver, che ho avuto anche l’onore di ritrarre nel 2016 a Londra. Un monumento artistico applicato alla grafica, riusciva a creare davvero qualcosa di iconico. John Craig, poco noto in Italia, ma che ho amato con il magnifico lavoro che produsse per l’artwork di “Mellon Collie and the Infinite Sadness”, il doppio album degli Smashing Pumpkins. Tra gli artisti più recenti Laurent Durieux, senza aggiungere altro invito chi legge a ricercare i suoi lavori.

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