Sally Hayden, giornalista investigativa: “Il nostro mestiere è essenziale alla democrazia”. A Berlino sarà speaker di BORDERS OF FEAR
Sally Hayden, giornalista investigativa: “Il nostro mestiere è essenziale alla democrazia”. A Berlino sarà speaker di BORDERS OF FEAR
di Lucia Conti
Sally Hayden è una giornalista investigativa e fotografa freelance, con un focus specifico sulla migrazione, i diritti umani e le crisi umanitarie.
I suoi reportage dall’Europa, dal Medio Oriente e dall’Africa sono stati pubblicati su moltissimi eminenti organi di stampa tra i quali il Guardian, la BBC, TIME, New York Times, Washington post, Al Jazeera e CNN International.
I suoi articoli sono stati tradotti in nove lingue e Sally Hayden ha realizzato i suoi servizi in Siria, Nigeria, Iraq, Sudan, Libano, Giordania, Cambogia, Malawi, Ruanda e molti altri Paesi, non esclusi quelli europei (Malta, Italia, Ungheria, Irlanda).
Il suo lavoro sulla Nigeria e su Boko Haram è stato usato come riferimento dal Dipartimento di Stato americano, mentre nel 2019 la rivista Forbes l’ha inserita nella lista degli under 30 più influenti nel campo dei media in Europa.
Al momento Hayden sta lavorando a un libro sui centri di detenzione in Libia, che verrà pubblicato all’inizio del 2022.
Il 27 novembre parteciperà come speaker alla conferenza online BORDERS OF FEAR, organizzata dal Disruption Network Lab di Berlino. La conferenza, che si terrà dal 27 al 29 novembre, affronterà il tema del rispetto dei diritti umani nei contesti di migrazione.
Il 27 novembre sarai ospite del Disruption Network Lab di Berlino per BORDERS OF FEAR. Di cosa parlerai e perché è così importante seguire questo evento?
Parlerò del mio lavoro, che consiste nel documentare i problemi subiti dai rifugiati in tutta l’Africa. In particolare parlerò di quello che accade ai rifugiati che cercano di arrivare in Europa, inclusi quelli che vengono intercettati nel mar Mediterraneo e costretti a tornare in Libia, dove vengono rinchiusi a tempo indeterminato in centri di detenzione gestiti dalle milizie.
Il COVID-19 ha costretto molto europei a rendersi conto di cosa significhi non poter attraversare certi confini, ma i rifugiati, i richiedenti asilo e i migranti delle nazioni impoverite lo hanno sempre saputo e ne hanno sempre sofferto.
Penso che la conferenza sarà un modo interessante di sottolineare proprio questo.
Viaggi continuamente in tutto il mondo, documentando fatti, dinamiche ed eventi che appartengono alla cronaca e alla storia. Che cosa hai avuto modo di scoprire sul campo che non avresti scoperto senza diventare un testimone diretto?
Riguardo ai rifugiati, credo che non avrei mai capito fino in fondo quanto costoso e difficile possa essere vivere anche in uno di quei Paesi considerati “sicuri”, definizioni che in molti casi è spesso politica.
Le persone possono infatti finire in situazioni in cui sono costantemente sfruttate dalle forze di sicurezza, indebitate, in costante lotta per la sopravvivenza, per l’assistenza medica, per il lavoro o per opportunità accademiche. Qualche volta è più facile spostarsi che restare.
Tra i tuoi numerosi impegni professionali, hai anche tenuto corsi di scrittura per lo staff della BBC alla BBC Academy. Qual è a tuo avviso il ruolo del giornalismo investigativo e del fact-checking in quella che è stata chiamata l’era della “post-verità”?
Io credo fermamente nel giornalismo e lo ritengo essenziale alla democrazia.
I giornalisti dicono la verità al potere e ci sono così tanti poteri a cui non si chiede conto di nulla e invece lo si dovrebbe fare.
È parte del nostro lavoro fare in modo di cambiare ciò che alcuni sostengono non si possa cambiare, mostrando totale disinteresse nel cambiamento dello status quo mentre altri invece soffrono e muoiono per questo, senza che le loro voci vengano ascoltate.
Foto scattata da Sally Hayden ad Aleppo, Siria, 2017. In quella circostanza Hayden ha realizzato un reportage sui rifugiati siriani rimpatriati dall’Europa e in seguito arrestati e torturati.
“Le mie fonti sono in tutto il mondo. I rifugiati, in particolare, fanno di tutto per avere un telefono, come se fosse la loro ancora di salvezza”, hai detto al Global Investigation Journalism Network. Puoi spiegare perché avere il telefono non è un lusso, ma una necessità, per molti migranti?
Un telefono è lo strumento con cui puoi chiedere aiuto. Se sei rinchiuso con i trafficanti o in un centro di detenzione gestito dalle milizie o da gruppi armati affiliati al governo libico, le persone che ti controllano, controllano ed edulcorano anche la tue percezione della realtà. A meno che non trovi il modo di ottenere un resoconto realistico di cosa sta realmente accadendo fuori. I rifugiati in detenzione mi hanno raggiunta usando telefoni nascosti per dirmi che non venivano nutriti da tre giorni, che dozzine di persone erano morte per incuria medica o che il loro centro era stato bombardato.
Altrove, rifugiati e i migranti usano i loro telefoni per orientarsi (una volta ho incontrato un rifugiato siriano che era arrivato in Europa usando Google Maps), per chiedere soldi alle loro famiglie al fine di continuare il loro viaggio o per sapere se sia rischioso o meno tornare a casa.
L’informazione è potere e senza un telefono è dura reperire informazioni, informazioni di cui queste persone hanno assolutamente bisogno per prendere decisioni su cosa fare e dove trovare un posto sicuro.
Proprio i centri di detenzione libici sono l’oggetto del tuo prossimo libro, che sarà pubblicato all’inizio del 2022. Qual è la situazione in Libia attualmente, in un momento in cui il Coronavirus sta distogliendo l’attenzione da ogni altro problema?
La situazione è terribile. Il conflitto continua ad andare avanti. Le procedure per il rilascio e l’evacuazione legale per rifugiati e richiedenti asilo si sono fermate (il loro numero era incredibilmente basso anche prima, ma almeno a volte accadeva, prima della pandemia). Centinaia di persone che hanno passato anni tra trafficanti di esseri umani e centri di detenzione sono stati immediatamente buttati per le strade di Tripoli e soffrono per l’assenza di assistenza medica e per gli attacchi regolari della milizia.
Inoltre sono appena tornata da un viaggio di un mese in Etiopia, dove ho assistito al processo di due trafficanti di grosso calibro, uomini che sono accusati di spostare decine di migliaia di migranti e rifugiati in Europa, ricattandoli durante la tratta. Io ero l’unica osservatrice indipendente presente alle udienze. Non sarei sorpresa se la ragione fosse proprio la pandemia.
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