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Le condizioni inumane dei richiedenti asilo a Samos. Intervista con Franziska Schmidt, speaker di BORDERS OF FEAR

Le condizioni inumane dei richiedenti asilo a Samos. Intervista con Franziska Schmidt, speaker di Borders of Fear

di Lucia Conti

Franziska Schmidt è membro del comitato di coordinamento della Refugee Law Clinic di Berlino, un’associazione di studenti legati alla Humboldt Universität e che offre consulenze legali gratuite ai rifugiati e ai migranti che si trovano sul territorio.

Dal 2018, tuttavia, Franziska e altri membri della Refugee Law Clinic hanno deciso di focalizzarsi soprattutto sull’hotspot di Samos, isola greca in cui restano spesso bloccati in condizioni drammatiche i richiedenti asilo che cercano di arrivare in Europa.

Il 27 novembre Franziska Schmidt parteciperà come speaker alla conferenza online BORDERS OF FEAR, organizzata dal Disruption Network Lab di Berlino. La conferenza, che si terrà dal 27 al 29 novembre, affronterà proprio il tema del rispetto dei diritti umani nei contesti di migrazione.

Franziska Schmidt

Cos’è esattamente la Refugee Law Clinic di Berlin?

Il concetto di “Law Clinic” viene dal mondo anglosassone, sostanzialmente sono contesti in cui studenti di giurisprudenza fanno esperienza nel counseling e danno consigli gratuiti a chi ne ha bisogno, una situazione che si presume avvantaggi tutti. Ci sono vari ambiti in cui questo avviene, per esempio in relazione al diritto dei consumatori o alle norme che disciplinano internet.

Su questa scia, nel 2014 alcuni studenti della Humboldt-Universität di Berlino, inclusa me, hanno fondato la Refugee Law Clinic Berlin, cercando di specializzarsi in materia di immigrazione e asilo. Attraverso un ciclo formativo che consiste di lezioni, internship presso avvocati specializzati nel settore e workshop, studenti di giurisprudenza, ma non solo, possono unirsi attivamente al progetto. Al momento abbiamo circa 70 counsellor, che operano regolarmente a Berlino e nel Brandeburgo.

Come nasce il tuo impegno nell’isola greca di Samos?

Nel 2018 un team della Refugee Law Clinic ha deciso di focalizzarsi sulle necessità dei migranti e richiedenti asilo presenti nell’hotspot di Samos.

Al tempo a Samos c’erano solo 3 NGO, ma nessuna di sostegno legale. Di conseguenza abbiamo deciso di intervenire con un apposito team che consiste di un coordinatore, un avvocato greco e alcuni legal counsellor, coadiuvati da interpreti che parlano persiano, arabo e francese.

L’hotspot di Samos

Cosa puoi dirci della tua personale esperienza di Samos, che dal 2018 ti assorbe completamente? 

La prima cosa che mi ha colpito è il fatto che le persone che arrivano lì e vengono dalla Siria, dall’Iraq, dall’Afghanistan o da altre zone di conflitto, vedano la guerra come qualcosa di assolutamente normale.

Soprattutto quei ragazzi che magari sembrano meno vulnerabili perché giovani, forti e in salute, hanno alle spalle esperienze atroci, inclusa la tortura, e a volte neanche ne parlano. Quando li prepariamo per le interviste (per ottenere l’asilo, ndr) dobbiamo in qualche modo tirare fuori queste esperienze e far capire loro quanto siano rilevanti, perché hanno ormai normalizzato l’orrore. Uno scambio tipico è: “Hai mai vissuto l’esperienza dei bombardamenti?” “Ovvio!” “Ma devi dirlo!”.

L’hotspot di Samos. Photo by jtstewart

Un’altra cosa che mi ha colpito molto è la forza delle donne e delle persone LGBTQ, che hanno sperimentato terribili violenze legate alla loro condizione e sono sopravvissute a così tanto orrore restando forti.

E poi ci sono tutti quei migranti africani che nel corso del loro cammino verso l’Europa passano dalla Turchia, sperimentando anche lì abusi drammatici. Ed è per questo che li esortiamo a raccontare anche questo, nella preparazione delle loro interviste. Specialmente per gli africani, l’esperienza turca è orribile.

L’hotspot di Samos. Photo by jtstewart

Di cosa parliamo, in particolare? Quali sono gli abusi che queste persone subiscono in Turchia?

Ho ascoltato storie tremende. Moltissime donne sono vittime di violenza o sfruttamento sessuale, mentre gli uomini sono sfruttati in relazione alla loro forza lavoro, ad esempio nelle fabbriche.

In molti casi i datori di lavoro sequestrano i documenti dei migranti e li costringono ad accettare ogni condizione o mancato pagamento, con la minaccia di chiamare la polizia e far scattare la deportazione. Questo è traffico di esseri umani.

Queste persone fanno viaggi lunghissimi e rischiosi, fuggendo da esperienze traumatiche e gravi pericoli, prima di arrivare a Samos. Poi finalmente ci arrivano. Cosa accade, a quel punto?

Queste persone arrivano a Samos piene di speranza. Hanno vissuto esperienze inimmaginabili e sono sopravvissute e pensano che l’Europa sia vicina, con i suoi ideali di solidarietà e rispetto dei diritti umani. E poi, intervista dopo intervista, assistiamo al deterioramento delle loro speranze, mentre le procedure che determineranno il loro destino si allungano e queste persone finiscono bloccate sull’isola, in un campo sovraffollato, a volte per più di un anno e mezzo.

Alla fine sono distrutte, il loro stato psicologico crolla ed è devastante assistere a tutto questo. A volte ci sentiamo dire cose come “A questo punto tanto varrebbe tornare in Afghanistan”, o in Siria, e noi non possiamo fare nulla.

L’hotspot di Samos. Photo by jtstewart

Samos è in Europa e la Grecia fa parte dell’Unione Europea. Cosa dovrebbe fare l’Europa, a riguardo?

Potremmo evitare di esportare armi, tanto per cominciare. Ma potremmo anche non ammassare queste persone in un campo facendole aspettare per un’eternità. Questo sarebbe anche più facile da realizzare, se ci fosse la volontà di farlo.

Quali sono gli errori commessi dall’Europa relativamente alle politiche sull’immigrazione? 

La politica dell’Unione Europea in materia per me è davvero incomprensibile. Mi chiedo come si possa fare un accordo con la Turchia e promettere a questa nazione 6 miliardi di euro! La Turchia non è mai stato un partner affidabile e quando ha riaperto i confini non mi sono neanche stupita. Senza contare che trovo assurdo, ad esempio, che si possano deportare in Turchia dei siriani, sapendo che non verrò data loro la possibilità di ottenere l’asilo.

E poi c’è il problema del Trattato di Dublino, che sposta tutto il peso e la responsabilità delle procedure di asilo sulle spalle dei primi Paesi di ingresso. Parliamo di Italia, Spagna, Grecia, che sono Paesi già in crisi.

Photo by adamansel52

Non esiste un modo per tentare di ridistribuire questa responsabilità, al di là di un’ipotetica revisione del Trattato di Dublino?

Formalmente anche altre nazioni, oltre ai primi Paesi di ingresso, potrebbero essere responsabili di alcuni procedimenti, per esempio in materia di ricongiungimenti familiari.

Immaginiamo che un minore approdi in Grecia e voglia raggiungere la madre in Germania. In questo caso, anche secondo il trattato di Dublino, è la Germania a dover provvedere. Ma quello che funziona sulla carta non funziona nella pratica e di fatto pochissime richieste per il ricongiungimento familiare sono state seguite con successo dalla Germania. Il tasso di rigetto è altissimo. E questo vale anche per altre nazioni.

L’hotspot di Samos. Photo by jtstewart

Ci sono altre responsabilità, che ascrivi all’Europa?

C’è il caso dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, nota anche come Frontex, che agisce sotto la responsabilità dell’Europa e che è stata coinvolta in fatti molto gravi.

Ti segnalo a questo proposito l’inchiesta del settimanale tedesco Der Spiegel, che ha evidenziato il coinvolgimento dell’Agenzia nei respingimenti illegali avvenuti sempre più frequentemente nel mar Egeo, da quando la Turchia ha aperto i confini. Ed è un fenomeno sotto gli occhi di tutti, perché l’area da controllare non è vastissima.

Photo by Kripos_NCIS

Stai dicendo che l’Agenzia europea finge di non vedere?

Come minimo. Ma l’inchiesta dello Spiegel dimostra che a volte è stata addirittura coinvolta attivamente nei respingimenti illegali.

E intanto una narrativa che presenta i richiedenti asilo come degli invasori da respingere si fa strada, e viene usata persino da Ursula von der Leyn, presidente della Commissione europea.

L’L’hotspot di Samos. Photo by jtstewart

Al di là della preparazione dei richiedenti asilo alle interviste, il vostro lavoro implica anche il ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo?

Faccio una premessa. A gennaio, l’anno scorso, il campo era già sovraffollato. Era stato costruito per contenere 648 persone e molto presto sono diventate migliaia. Negli ultimi tre mesi il numero è passato da 4000 a 8000, praticamente raddoppiando. Le persone debordano nella cosiddetta “giungla”, lo spazio che circonda i vecchi confini del campo, che ormai non contengono più la folla.

Niente funziona più, ci sono bambini che vagano da soli e senza supervisione, donne incinte che vivono nelle tende senza assistenza medica. Abbiamo cercato di aiutare le persone in termini di consigli giuridici e assistenza medica, ma non ha funzionato. A quel punto abbiamo fatto appello alla Corte.

L’hotspot di Samos

Che procedura avete seguito, esattamente?

In base all’articolo 39 del Regolamento di procedura della Corte può essere richiesta un’interim measure, vale a dire una misura provvisoria, che si applica solo quando esiste un rischio imminente di danno irreparabile alla persona. In questi casi la Corte può ordinare al singolo governo, nel nostro caso quello greco, di provvedere e rimuovere il rischio.

Ci siamo avvalsi più volte dell’articolo 39 e questo ci ha permesso, ad esempio, di aiutare una donna incinta che viveva in una tenda, senza assistenza medica, e rischiava di partorire lì. In questo caso l’interim measure è stata concessa e al governo greco è stato ordinato di garantire alla donna una sistemazione adeguata e la dovuta assistenza medica. Abbiamo fatto lo stesso in molti altri casi, soprattutto quando si trattava di donne incinte e persone bisognose di cure mediche.

Samos hotspot, Photo by jtstewart

Che ruolo ha in tutto questo il sito Ihaverights?

Dalla primavera del 2020 è lo strumento che abbiamo usato di più, perché a causa del Coronavirus non abbiamo potuto preparare le persone per interviste che non hanno comunque avuto luogo, tutto si è bloccato.

Ad ogni modo anche dall’estero continuiamo a chiedere misure d’urgenza sulla base di profili che ci vengono segnalati dalle NGO mediche o dalle stesse persone che pensano di poter avanzare la richiesta.

Il sito Ihaverights serve anche a questo. Non sappiamo quanto a lungo durerà il lockdown del campo, so solo che alla fine dell’anno le persone che vivono nell’hotspot dovranno muoversi in una nuova struttura, stavolta chiusa, più simile a un centro di detenzione, e sarà ancora più difficile per noi avere contatti diretti con loro. Di conseguenza è importante fare in modo che queste persone Ci raggiungano comunque online e ottengano il nostro aiuto.

Samos hotspot, Photo by jtstewart

Hai parlato, inevitabilmente, di Coronavirus. Qual è la situazione, al momento?

Fino a settembre non c’era neanche un caso di Coronavirus a Samos, anche se la Grecia era in lockdown. Poi a luglio si sono aperti i confini, un sacco di turisti sono arrivati a Samos e poche settimane dopo il Coronavirus è arrivato sull’isola. A settembre è apparso il primo caso nel campo e a quel punto il virus si è diffuso, perché non c’è modo di mantenere il distanziamento in quel contesto.

Oltrettutto il Corona si è diffuso subito dopo l’incendio del campo di Moria, sull’isola di Lesbo, e poi c’è stato un pesante terremoto. Una settimana fa a Samos è bruciata anche la sezione del campo di lingua francese e bengali. È una situazione difficilissima.

Samos hotspot

Ti occupi anche di migranti lgbtq+. Puoi spiegarci quali fattori rendono la situazione di queste persone particolarmente difficile?

Essere perseguitati sulla base dell’orientamento sessuale è una ragione per vedersi riconosciuto il diritto di asilo. Ma ovviamente in questi casi si verificano altri problemi.
Per esempio in un campo sovraffollato c’è mancanza totale di sicurezza, vivi a stretto contatto con persone della tua stessa comunità o di altre che possono essere un rischio per te, perché magari esprimono l’omofobia diffusa di alcuni Paesi.

Inoltre in questo contesto c’è una mancanza totale di impianti sanitari, le porte dei bagni e delle docce sono spesso rotte, non c’è illuminazione e di notte non si sa che cosa accada in giro. Di conseguenza persone identificate come LGBTQ sperimentano violenze sessuali, come del resto anche le donne. E anche se le vittime trovano la forza di denunciare gli abusi alla polizia, non succede nulla. A volte le denunce non vengono neanche verbalizzate.

E poi c’è quello che queste persone passano, quando vengono intervistate nel corso della procedura per ottenere l’asilo.

Cosa accade in questi casi?

È chiaro che l’orientamento sessuale non si può provare con un test, e allora arrivano una serie di domande tese a verificare la veridicità delle dichiarazioni e c’è anche il rischio che chi intervista faccia domande improprie. Mi riferisco a domande sulla vita sessuale, per esempio.

E quindi persone che hanno passato la vita a proteggersi da attacchi e violenze si trovano a essere intervistate da un estraneo e magari davanti un interprete della loro stessa comunità, al fine di ottenere il diritto di asilo. Un diritto che può essere negato facilmente, al primo passo falso.

Samos, Grecia

Cosa vuoi dire a chi ci legge, a Berlino e altrove?

Cè un detto tedesco, aus den Augen, aus dem Sinn, che significa che se non vedi qualcosa non ci pensi. Dobbiamo evitare questo. Non so se in Italia avete un detto simile…

Sì, è “lontano dagli occhi lontano dal cuore”

Mi piace! Il concetto è proprio questo. Spingendo il problema fuori dai suoi confini, l’Europa lo spinge lontano dalla nostra vista e quindi dalla nostra mente o cuore, che sia.

Ma dobbiamo sapere che questo accade, accade anche se non lo vediamo. A Samos, nell’Egeo, in Italia e in Spagna. E il problema su come l’Europa tratta i richiedenti asilo permane. Bisogna continuare a parlarne, a fare domande, a mettere in discussione le soluzioni proposte, come il Nuovo Patto per la Migrazione e l’Asilo, a mio avviso facilmente criticabile su più punti. Questo dobbiamo fare.

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