“Comunque non si nota!” – Stereotipi e pregiudizi sulle persone con la Sindrome di Down

Sindrome di Down
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“Comunque non si nota!” – Stereotipi e pregiudizi sulle persone con la Sindrome di Down

di Amelia Massetti

L’11 ottobre sarà la giornata nazionale delle persone con sindrome di Down. La sindrome di Down è una condizione genetica in cui si presenta un cromosoma in più, per quello si chiama anche Trisomia 21. La S.D. prende il nome da John Langdon Haydon Down, medico britannico che descrisse questa condizione, classificata nel 1862.
Nel 1959 Jérôme Lejeune riferì la scoperta che la sindrome di Down era il risultato di un cromosoma in più.

Oggi è più che mai importante parlare degli stereotipi che ancora ricorrono sul tema per cercare di cambiare una cultura che fa dei luoghi comuni una consuetudine a cui ci si abitua, senza considerare l’incidenza negativa che possono avere sugli altri e sulle generazioni a venire.

Esiste una forte carenza informativa sulla diversità, anche nei media, che emerge quando si entra in contatto con una persona disabile. Si preferisce rifarsi ai canoni d’uso comune per definire ciò che non si conosce, invece di approfondire il tema e cercare di intravedere quali siano le differenze, e di cosa stiamo parlando.

I genitori di figli/e con la Sindrome di Down, ma anche con altre disabilità, conoscono bene questa disinformazione e non possono negare che, se non avessero avuto un’esperienza diretta con una persona disabile, forse avrebbero avuto lo stesso approccio superficiali.

Ma parliamo di questi luoghi comuni e stereotipi, a cui inizialmente non si dà peso, anche se feriscono. Talvolta si tende anche a giustificarli. Con il tempo si riscontra però una  loro ripetitività che diventa struttura, sistema. Rigidità mentale e mancanza di empatia emergono in modo automatico, senza che lo si voglia, o che lo si riesca a capire.

Esistono innumerevoli pregiudizi, nel mondo, ognuno con una diversa sfumatura, in riferimento al genere o nei confronti di minoranze fortemente discriminate come le persone di colore, transessuali oppure omosessuali. Alcuni sono più sottili e impercettibili, altri più espliciti e offensivi, ma tutti sottintendono una mancanza di rispetto per le differenze, nata dall’ignoranza.

In questo articolo vorrei riportare alcuni stereotipi e pregiudizi che riguardano persone con la Sindrome di Down, partendo dalla mia esperienza personale, in qualità di madre di una ragazza di 31 anni con la S.D..

Sindrome di Down
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1. I bambini e le bambine con la Sindrome di Down sono un dono di Dio

Certamente da una parte sentirsi dire questa frase, per chi è credente, può risultare confortante, ma chi, come me, non lo è, non riesce a identificare in questa esperienza un dono.

Quando mia figlia nacque, pensai che una forza divina aveva deciso che questo dovesse essere il destino a cui ero stata chiamata. A volte, di fronte a un avvenimento di carattere eccezionale che ci coglie impreparati, emergono pensieri legati alla spiritualità. Ma mi sono sempre chiesta come mai, nel caso di una persona con la S.D., questa associazione con il “divino” sia molto più frequente che in altri casi.

Facendo delle ricerche online ho scoperto che esiste una natività fiamminga del 1600 nella quale una figura angelica, vicina alla Madonna, ha dei tratti somatici che ricordano un bambino con la S.D., quindi ho pensato ci fosse un nesso.
Ho trovato questa associazione tra S.D. e spiritualità anche in oriente, nello specifico quando andai in Thailandia, dove vivono i miei fratelli, che andai a trovare dopo la nascita di mia figlia.

Sindrome di Down
Lia Nadine Massetti, figlia di Amelia e musa di Artemisia

Notai con sorpresa che quando andavo in giro per Bangkok con mia figlia, spesso le persone la veneravano, quasi fosse un piccolo Budda. In realtà per un periodo ho anche immaginato che mi fosse nata “una” Budda, cosa ancora più trasgressiva, visto che in genere il Budda è sempre di sesso maschile. La nuova messia, con il suo sguardo sempre sereno e la posizione del loto che riusciva ad assumere facilmente, mentre io faticavo senza riuscirci.

Quella sorta di “alone mistico” creato attorno a noi dal contesto non mi disturbava, anzi, pensavo che io stessa avessi un ruolo importante. Sarei stata la madre della “nuova Budda”, una divinità che sarebbe stata venerata, che avrebbe apportato innovazione e cambiamenti, magari con qualche tocco di femminismo. In questo senso poteva anche essere accettato il concetto di dono.

Ma con il tempo compresi che “la” Messia, in realtà, non era arrivata. Al suo posto si delineava sempre più la figura di una bambina con diversi bisogni quotidiani per cui dovevo trovare una soluzione, in una società che mi diceva che avevo ricevuto un bellissimo dono. Ma quel dono era tutto mio e dovevo prendermene cura pienamente e spesso da sola.

2. Tua figlia è sempre sorridente e felice

Certamente, talvolta lei è felice e sorridente, ma è anche frequentemente arrabbiata. Contrariamente a quanto si pensi, poteva diventare molto triste se qualcuno non condivideva il pezzo di torta che si aspettava di ricevere ad una festa di compleanno. Ma non era solo questo. La sua tristezza la potevi riconoscere già in età prescolare e adolescenziale, quando altri bambini e bambine la escludevano dai loro giochi e sotterfugi. Solo conoscendo i vari momenti della sua vita, soprattutto in età adulta, dove maggiormente decodifica il senso di esclusione, si può leggere nella sua tristezza l’abitudine ad un rifiuto strutturato, difficilmente modificabile, da parte dei suoi coetanei.

Quando mia figlia era bambina mi rendevo conto di quanto fosse difficile, per “gli altri genitori”, spiegare ai loro figli perché lei fosse così goffa nei movimenti e non riuscisse ad esprimere in modo comprensibile il suo pensiero. In quei casi smontavo le loro ansie e paure, semplicemente rispondendo che lei aveva un cromosoma in più e in questo consisteva la differenza. Naturalmente gli altri bambini non potevano capire cosa fosse un cromosoma, non avendo studiato medicina, ma la spiegazione aiutava anche loro a vedere mia figlia in maniera meno misteriosa.

3. Non si vede che è una bambina con la Sindrome di Down

Molti credono che dicendo questa frase un genitore si senta sollevato, nell’illusione che almeno possiamo camminare nel mondo serenamente, senza dover sentire continuamente aoddosso gli sguardi curiosi o intrisi di pietas che spesso, inavvertitamente, ti scrutano.

Questo atteggiamento è simile a quello assunto nei confronti di una persona di colore nata in Italia, o in Europa, e di cui si dica, per esprimere supporto “Comunque parla molto bene l’italiano”. Lo stereotipo nasce quando si continua ad associare il colore della pelle ad una diversa provenienza territoriale. O la sindrome di Down a qualcosa che si esprime soprattutto esteticamente. E in generale a non vedere la complessità di un’esperienza che solo in minima parte traspare dalle apparenze.

4. Tua figlia sarà un’eterna bambina

Se per bambina si intende una persona che non è in grado di muoversi autonomamente nel mondo, in parte questa frase può corrispondere ad una verità. E in una società che continua a costruire barriere mentali e sociali, le persone con la S.D. possono rischiare di restare eternamente bambine. Per questo dobbiamo offrire loro gli strumenti necessari per crescere ed evolversi.

A prescindere da questo, anche nel caso di persone con la S.D., le capacità intellettive possono essere diverse da individuo a individuo, come d’altronde nel resto della società. Possiamo trovare persone con la S.D. pienamente indipendenti, perché sono state accompagnate in un percorso di autonomia sia dai genitori che da validi operatori, come possiamo incontrare persone con la S.D. che rimangono ad uno stadio regressivo.

Ma questo possiamo benissimo riscontrarlo anche in tanti figli abili che rimangono psicologicamente sempre legati allo schema familiare abituale e non diventano mai pienamente indipendenti e adulti, anche se hanno un lavoro o una casa.

 

5. Io non sarei mai riuscita a fare quello che hai fatto tu, sei un’eroina

Questa frase, frequentemente sentita, ti fa sentire in qualche modo importante. Chi non vorrebbe essere un eroe in questa società? Poi ti accorgi che in fondo ti sei semplicemente assunto le tue responsabilità e cerchi in tutti i modi di trovare soluzioni adeguate ai problemi che man mano si presentano.

Sicuramente, anche se avessi avuto una figlia che non presentava una disabilità, avrei dovuto affrontare una quotidianità non esente da sfide. Nessuno può sapere se quelle prove sarebbero state minori, maggiori o come quelle che affronto. E di sicuro una madre che cresce suo figlio in una società prettamente sessista e patriarcale, è sempre un’eroina.

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6. Va bene ma non vedo tanta differenza con altri bambini e bambine, va solo un po’ più lenta

Se si parla del camminare, mia figlia è certamente più lenta, anche perché da piccola ha cominciato a camminare più tardi di altri bambini. Anche se parliamo del linguaggio possiamo vedere qualche differenza, in relazione alla capacità di apprendimento al bagaglio linguistico. Probabilmente, e probabilmente in buona fede, coloro che parlano in questo modo preferiscono “addolcire la pillola” e incoraggiare il genitore. Ma questo porta alla negazione delle differenze, che vanno invece riconosciute.

E forse la lentezza può essere considerata una dote, in una società frenetica e competitiva. In questo contesto e in questo senso, le persone con la sindrome di Down ci mandano un segnale che possiamo leggere in modo positivo, soprattutto in questa fase di pandemia che ha stravolto tutti i nostri ritmi.

7. In fondo anche gli altri bambini possono creare dei problemi

Verissimo! Infatti tutti possono crescere creando problemi, a volte seri e difficili da gestire. Per esempio possono diventare criminali, stupratori, fascisti o politici corrotti.
Il punto della questione sta in quel “possono”, che di fatto esprime implicitamente questo pensiero: “Gli altri bambini possano creare problemi, ma il tuo, con la sindrome di Down, ne crea di sicuro“.

8. Ma in Germania hai comunque tante strutture che ti sostengono, in fondo che problemi hai?

Ho il problema di spiegare che mia figlia ha la S.D. e spesso devi sottoporti a tante domande da parte degli enti preposti, che vanno al di là delle ordinarie competenze. C’è ancora, in tante istituzioni statali, chi pensa che sia una malattia da cui si possa guarire, e questo fa veramente irritare.

Oppure puoi trovare difficoltà nel richiedere aiuto, perché non riesci a gestire da sola la situazione e hai bisogno di avere il supporto di assistenti che si alternino a te, altrimenti la tua esclusione aumenterà e così il tuo disagio e quello di tuo figlio o figlia.

E per quanto riguarda queste “strutture che ci sostengono”, sappiamo davvero come siano gestite? Sono veramente efficaci come vogliono apparire? E soprattutto può l’efficienza delle strutture sopperire al bisogno di vivere una vita diversa da quella pianificata all’interno di un sistema, magari ben strutturato, ma che non permette realmente l’inclusione?

 down syndrome photo

9. Almeno lei un lavoro lo ha trovato

Certamente una società che crea delle strutture protette e quindi garantisce opportunità di lavoro è una risorsa importante, ma sono queste opportunità veramente legate a quello che una persona con la S.D. vorrebbe fare nella vita?

Mia figlia lavora stabilmente presso il Thikwa Theater e può considerarsi in parte soddisfatta per avere la possibilità di lavorare in un contesto artistico, che incoraggia il suo talento. Tuttavia, molte persone con la S.D. sono inserite all’interno dei laboratori di lavoro, i Werkstatt, in cui eseguono per anni le stesse mansioni: mettere il sale del Mar Nero dentro un vasetto, pulire le cornette delle cuffie audio-descrittive che si usano nei musei, produrre candele o quant’altro.

Questi lavori fortemente ripetitivi, se da una parte facilitano il datore di lavoro, dall’altro possono spingere una persona con la S.D. verso l’involuzione, oltre ad essere fortemente sottopagati. Insomma, i Werkstatt per persone diversamente abili facilitano molto poco l’inserimento inclusivo all’interno del mondo del lavoro e lo stipendio delle persone disabili non è pagato in modo adeguatamente commisurato alle loro prestazioni.

10. Ma le persone con la sindrome di Down non vivono a lungo!

Spesso mi sono sentita dire: “Non ti preoccupare, le persone con la sindrome di Down non hanno un’aspettativa di vita così lunga, non dovrai prendertene cura per sempre”. Quanto di più doloroso e terribile si possa dire ad una madre. Attualmente l’età media delle persone con la S.D. si è notevolmente alzata rispetto al secolo passato, essendo migliorata la loro qualità della vita. In Italia la soglia di età raggiunta dalle persone con S.D. è passata da 33 a 62 anni, negli ultimi decenni.

Nel secolo scorso, fino agli anni ’60, le persone con la S.D. venivano ospedalizzate, escluse sin dalla nascita, quindi la loro vita non si sviluppava in un contesto familiare sano e armonioso. Anche persone con disturbi psichici e altre forme di diversità, gli omosessuali, e le donne considerate isteriche, subivano questa forma d’internamento, occultate e trattate in modo vergognoso, umiliate nella loro dignità di esseri umani.

E a parte tutto, chi può garantire quanto vivrà un figlio, che abbia o no la S.D.?

11. Anche mio figlio non ha tanti amici

C’è una certa differenza tra l’essere una persona timida e chiusa e scegliere di stare da soli, e l’essere escluso dagli altri, perché considerato disturbante. Questa non è la stessa cosa.

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12. Ma loro non possono avere figli/e?

Ci sono tante persone nel mondo che non possono avere figli o che scelgono di non procreare. Esiste un buon 20% di casi di persone con la S.D. che hanno avuto figli.
Ma in generale dovremmo scrollarci di dosso l’idea della procreazione come conseguenza naturale della vita di una donna.
Ci sono persone con la S.D. che sono diventate missionarie in Africa o infermiere, e costruiscono rapporti d’amore e di condivisione molto più efficaci e motivanti. Se la filiazione è un atto d’amore, le persone con S.D. potrebbero generare amore all’interno di un contesto sociale molto più efficacemente di una madre.

13. Sono generalmente bassi, con gli occhi celesti e i capelli biondi

Ho conosciuto molte persone con la sindrome di Down che erano alte. Ne ho conosciute altre con gli occhi castani e i capelli scuri. In Africa le persone con la sindrome di Down sono sicuramente di pelle scura e hanno i capelli ricci.

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14. Amano mangiare tanto

L’abitudine compensativa che ha come oggetto il cibo è tipica di tante persone che non hanno coltivato altri interessi, o una sana cultura alimentare.

15. Hanno difficoltà di movimento

Se da piccolo non abitui tuo figlio a un’attività sportiva o al movimento, probabilmente avrà grandi problemi a farlo, da adulto. Mia figlia ama camminare per ore nella natura ed è un’eccellente ballerina, segue da anni un corso di danza africana inclusivo, lavora stabilmente come attrice presso il Teatro Thikwa e pratica lo Yoga.

Se pensiamo che Nicole Orlando, una ragazza con la S.D., è diventata campionessa mondiale di nuoto ai paralimpici, forse potremmo sfatare questa convinzione.

16. Partecipano con tanta vivacità a tutto quello che proponi

Se le proposte sono interessanti e stimolanti, tutti i bambini sono felici di partecipare. E questo vale anche per mia figlia. Certamente ci sono state attività che non la interessavano e non svolgeva con piacere, come è giusto che sia. E posso garantire che se una cosa non le interessa… il suo “NO” è molto incisivo!

17. Sono pieni di energie

Alcuni hanno molte energie, altri non ne hanno e si stancano presto. Mia figlia ha in generale molte energie, ma queste energie non hanno un andamento regolare. Ci sono fasi della giornata in cui non ha voglia di fare niente. Ma questo capita anche a me.

18. Sono molto affettuosi

In parte è vero, il contatto fisico e l’espressione dell’affetto sono molto presenti, almeno per mia figlia, ma ho conosciuto molte persone con la S.D. totalmente anaffettive e che si infastidivano se le abbracciavi. In ogni caso, non sono affettuosi con tutti indistintamente.

19. Salutano sempre con il sorriso e con la mano

Questo, almeno per mia figlia, avveniva quando era molto piccola, perché le insegnavo a salutare le persone, se incontravamo amici o conoscenti. La ripetitività dei gesti che si insegnano è molto frequente. Ma questo non è uguale per tutte le persone con la S.D.
Al contrario, molti di loro sono infastiditi dal costante saluto e non sono necessariamente sempre sorridenti.

Questa volontà di vederli sempre sorridenti sottende in qualche modo la convinzione che i bambini con la S.D. siano sostanzialmente dei bambini felici, e dunque non dovremmo preoccuparci troppo per la loro vita, tanto, qualsiasi cosa accada loro, in fondo verrà vissuta con gioia. Anche questa non è una affermazione tranquillizzante per noi genitori. Questo loro innocente affidarsi agli estranei e alla vita ci crea ansia, temiamo che possano esporsi facilmente ai rischi del mondo, non avendo uno spirito sufficientemente critico per capire le situazioni e i pericoli che si troveranno a fronteggiare.

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20. Mi sembra una ragazza molto indipendente e si gestisce in modo autonomo

La visione superficiale che le persone hanno in questi casi non corrisponde mai alla realtà quotidiana. Eseguire una serie di atti come vestirsi, mangiare o camminare, non significa necessariamente godere di una completa autonomia. Molti non si rendono conto che esistono cose che purtroppo per mia figlia sono ingestibili. Per esempio organizzare gli appuntamenti con i suoi amici, che infatti sono sempre essere organizzati dai genitori o dagli assistenti, perché lei spesso non distingue i giorni della settimana e non percepisce  il trascorrere del tempo.

C’è poi la gestione burocratica di tutte le pratiche assistenziali: ci vorrebbe una segretaria che scandisse i tempi e i vari appuntamenti! Mia figlia non è infine in grado di distinguere il valore dei soldi, per cui un vestito o un paio di scarpe molto costosi e un’opzione economica sono da lei vissuti come equivalenti. Ma in un periodo storico in cui i giovanissimi a volte entrano in crisi se non hanno un capo firmato uguale a quello dei loro coetanei, in questo mi ritengo fortunata. A mia figlia i capi firmati non interessano, è una persona molto giudiziosa ed estremamente ambientalista e anti-capitalista. Che il vestito sia usato o meno ha sempre un valore di novità per lei.

21. Ma ha tante persone che le vogliono bene

Dipende dalla rete di persone che hai costruito negli anni, non è un variabile sicura. Apparentemente le persone dimostrano affetto e attenzione, ma nella realtà quotidiana costruire momenti di condivisione è molto difficile. Quando mi dicono “Ma che bella, si fa volere bene da tutti!” io in realtà mi chiedo: “Le vogliono veramente bene e hanno voglia di trascorrere del tempo con lei?”.

Amelia Massetti, madre di una ragazza di 31 anni con la sindrome di Down, ha fondato a Berlino, insieme ad altri genitori e familiari di persone diversamente abili, nonché professionisti del settore, l’associazione Artemisia e.V. Inclusione per tutti, per fare rete e informazione sul tema della disabilità e dell’inclusione.

Durante la pandemia i consueti incontri mensili di Artemisia e.V. non sono realizzabili ma l’associazione continua a fare progetti per il futuro, per dare un supporto concreto alle persone diversamente abili e non, sempre con un focus inclusivo.

Ovviamente noi del Mitte vi terremo informati sulle prossime iniziative di Artemisia, inclusa la pianificazione di una serie di incontri sulla piattaforma Zoom.

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