Berlino, Liebig 34: sgombero effettuato, si tirano le somme
(Precisazione redazionale. Tutte le foto che vedete in questo articolo sono state scattate tra le 9.00 e le 12.00 del giorno dello sgombero, il 9 ottobre 2020, in contesti in cui non abbiamo assistito a nessun atto di violenza. Tutte le persone presenti nelle foto, sia i manifestanti che i poliziotti, hanno avuto un contegno totalmente pacifico e non sono quindi in alcun modo associabili alla narrazione di altri episodi descritti nell’articolo)
Si tirano le somme dello sgombero del Liebig 34, la casa-progetto anarco-femminista di Rigaer Straße, Friedrichshain, sgomberata oggi dopo anni di mediazioni, contrasti e polemiche. Polemiche non solo legate alla mera questione legale della liberazione della proprietà occupata, ma anche all’impatto tra visioni profondamente diverse dell’economia e dello sviluppo urbano di Berlino.
L’edificio in questione, che spicca nella zona anche perché completamente coperto di graffiti, è collocato in una parte dell’ex Berlino est che vive in modo particolare il tema della gentrificazione e dal 1999 ha ospitato al suo interno una comunità femminista e queer.
Due anni fa il proprietario dello stabile ha deciso di non rinnovare il contratto di locazione, i residenti si sono rifiutati di lasciare l’abitazione e ne è seguita una lunga e complicata causa legale che ha visto oggi arrivare il suo epilogo.
Lo sfratto era previsto per le sette del mattino
Per timore che si verificassero scontri di vaste proporzioni, anche in base alla storia particolare di Rigaer Straße, sono stati mobilitati circa 1500 ufficiali di polizia, provenienti da otto Stati federali. Già alle quattro, centinaia di sostenitori del Liebig34 erano sul luogo per protestare e la situazione ha subito una progressiva degenerazione.
Alle sei del mattino circa, c’è stato un lancio di bottiglie e pietre, quindi quello di un grande bidone della spazzatura, scagliato contro le forze dell’ordine. Poco prima delle sette, dagli altoparlanti si sentivano risuonare nel quartiere slogan come: “Liebig34 vive!” e “Liebig34 resta!“.
Altri slogan che si sono sentiti fino a mezzogiorno sono stati “Tutti insieme contro questo sgombero”, “Un unico sforzo, un unica lotta, Liebig deve restare”, “Tutta Berlino odia la polizia”, “Siamo qui, siamo queer, non scherzate con noi” e anche qualche “Siamo tutti antifascisti”, in italiano.
L’aumento delle tensioni e la conclusione
Intorno alle 7.41, come riportato da die Welt, c’è stata un’escalation degli scontri tra manifestanti e la polizia. Un filmato mostrerebbe un dimostrante che attacca un poliziotto con una telecamera e un altro poliziotto che prende a calci un uomo. Diversi sarebbero gli arresti relativi a questa fase della protesta.
Pare che siano collegati all’evacuazione del Liebig 34 anche il danneggiamento di alcune auto a Boxhagener Platz, e l’incendio della stazione della S-Bahn di Tiergarten, che questa mattina presto ha causato diversi problemi al traffico. Pare che anche l’ufficio del deputato della CDU Jan-Marco Luczak, a Schöneberg, sia stato imbrattato di vernice.
La situazione sarebbe comunque rientrata dopo circa 30 minuti. Gli agenti di polizia hanno portato fuori una persona che si rifiutava di lasciare la casa volontariamente dal balcone del primo piano, utilizzando una scala.
La maggior parte delle 57 occupanti ha comunque lasciato la casa pacificamente, l’ultima verso le 11.20. Solo due persone avrebbero opposto resistenza. Tra le ex occupanti, comunque, non ci sarebbero stati arresti.
Per procedere al resto dello sgombero e per entrare nell’edificio, la polizia ha dovuto quindi usare motoseghe, taglierini e palanchini.
Secondo il Tagesspiegel circa 1500 dimostranti avrebbero intanto manifestato attorno alla casa. A partire dalle 9.00 la protesta esterna all’edificio si è mantenuta costante, ma relativamente pacifica.
Di questo possiamo rendere testimonianza diretta, essendo noi del Mitte stati sul posto dalle 9.00 del mattino fino a poco dopo le 12.00 e in particolare su Liebig Straße, proprio di fronte all’edificio in via di sgombero e al cordone di polizia che separava l’area operativa dall’assembramento dei manifestanti.
In quella porzione di territorio e in quell’orario abbiamo assistito solo a cori di protesta e a un normale servizio d’ordine da parte della polizia, nessuno scontro, nessuna tensione.
Dopo la conclusione della procedura di sfratto, alcuni giornalisti sono entrati all’interno della struttura insieme ai poliziotti trovandosi di fronte a scale ostruite, mucchi di spazzatura, porte degli appartamenti e passaggi bloccati allo scopo di ritardare il più possibile l’avanzata della polizia all’interno dell’edificio.
L’ingresso nell’edificio
Gli ingressi laterali si presentavano parzialmente sbarrati da piastre metalliche e spessi strati di cemento e sarebbero state inoltre rinvenute diverse botole, anch’esse bloccate.
Thilo Cablitz, portavoce della polizia di Berlino, ha dichiarato: “I residenti hanno tentato con tutti i mezzi, di impedire agli agenti di entrare nell’edificio”.
Secondo die WELT, sulla parete al primo piano sarebbe stato trovato appeso anche un poster che si suppone realizzato con foto di persone che lavoravano sotto copertura per la polizia. La resistenza allo sfratto è durata sei ore. Poi la procedura è stata completata.
Le condizioni del Liebig 34 si presenterebbero al momento pessime. Nel cortile ci sarebbero mucchi di spazzatura, filo spinato, e oggetti di ogni tipo, inclusa della segnaletica stradale e una vecchia lavatrice. Ci sarebbe inoltre un grande quantitativo di materiale da costruzione e pietre, che si presumono introdotti in precedenza allo scopo di predisporre delle barricate.
Alcune stanze si presentano piene di materassi rotti e di macerie, apparentemente accumulati, secondo il Tagesspiegel, per rendere più difficile l’ingresso della polizia attraverso le finestre, peraltro inchiodate con alcune tavole. Alcuni muri sono stati sfondati, il pavimento è stato in gran parte distrutto.
“Benvenuti all’inferno 34”
Sui muri spiccano slogan radicali e manifesti politici. Nella tromba delle scale, ad esempio, si può leggere: “Lunga vita a chi ha ragione e alle rivoluzionarie” e “Benvenuti all’inferno 34“.
La dpa riferisce invece che al piano terra, proprio accanto alla porta d’ingresso, c’era un manichino dalle fattezze maschili, senza braccia e testa, e con due coltelli piantati nel petto.
Una lunga vicenda legale
Come ricordato all’inizio del nostro articolo, lo sfratto segna la fine di una lunga e controversa disputa legale.
Alla fine del 2018 è infatti scaduto il contratto di locazione decennale tra il proprietario dello stabile dal 2008, Gijora Padovicz, e l’associazione Raduga e.V.. Poiché le residenti si sono poi rifiutate di lasciare la casa, una sentenza del tribunale ha aperto quindi definitivamente la strada alla procedura di sfratto.
Un avvocato degli squatter ha protestato a gran voce a questo proposito, sottolineando anche l’eccezionalità della situazione generale e dichiarando all’agenzia di stampa AFP: “È contro i diritti umani buttare fuori casa delle persone nel mezzo di una pandemia e quando non possono pagare l’affitto”.
Leggi anche:
Punk is over. La storia delle case occupate di Berlino e il loro destino
La storia degli squat berlinesi
Il clima culturale in cui questo episodio si inserisce si lega comunque a una lunga storia, che comincia subito dopo la caduta del Muro di Berlino, nel 1989.
In quella particolare fase molti studenti, giovani e gruppi anarchici radicali occuparono diversi edifici nel lato est della città, al tempo talmente poco appetibili sul piano immobiliare e commerciale da versare in condizioni di vero e proprio abbandono.
Quando però la ricostruzione portò anche Berlino est a trasformarsi, gli investimenti cominciarono a moltiplicarsi e quegli stessi quartieri, un tempo deserti, divennero improvvisamente appetibili con il graduale aumento dei canoni di affitto.
A questo punto molti proprietari delle case un tempo abbandonate e nel frattempo occupate, chiesero di rientrare in possesso dei loro edifici.
I neo-residenti, che nel frattempo avevano dato vita a comunità e case-progetto molto legate al territorio, si rifiutarono di uscire e ne seguirono anni di contrasti e occasionali scontri con la polizia.
Ed è esattamente in questo contesto storico e culturale che si inserisce la storia delle occupazioni e delle evacuazioni degli squat di Berlino, una storia fatta non solo di dibatti teorici sulla speculazione immobiliare o sull’evoluzione urbana di Berlino, ma anche di scontri, di eccessi, di incidenti, di violenza, di ombre, di proposte, di mediazioni politiche, di derive radicali, di arresti, di tribunali e di sfratti di cui ci siamo spesso occupati sul piano della cronaca dei fatti.
Molte sono le voci in campo e altrettanti sono gli spunti su cui riflettere. Intanto si chiude oggi il capitolo del Liebig 34.
Monitoreremo quello che accadrà nei prossimi giorni e nelle prossime settimane, anche perché tutto questo accade in una strada in cui è ancora presente il Rigaer 94, edificio coinvolto da anni in dinamiche simili e anche molto più rocambolesche, tra sfratti annunciati e rientrati, sgomberi parziali e atti vandalici successivi che hanno avuto un fortissimo impatto sia sulla politica, che sulla popolazione.