Uno sguardo all’Italia: la resilienza di Torino secondo Francesca Capellini

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Uno sguardo all’Italia: la resilienza di Torino secondo Francesca Capellini

di Giulia Mirandola

Francesca Capellini è una illustratrice e graphic journalist indipendente. Lavora per “Le Monde” e per l’inserto culturale “laLettura” del “Corriere della Sera”. Vive a Torino, è nata a Bergamo, in precedenza ha abitato a Bologna, a New York, a Parigi.

Ha vissuto la pandemia in una casa dai muri antichi, nel quartiere di Borgo Nuovo, affacciata su uno dei luoghi più rappresentative della città, l’ottocentesca Piazza Giambattista Bodoni. Ogni tanto durante queste settimane è “scappata” con il figlio maggiore in Piazza Cavour, a raccogliere margherite e giocare ai briganti.

© Francesca Capellini

Qual è il tuo legame con Torino?

Torino è “casa”. Sono arrivata qui da Parigi cinque anni fa. Vivo con mio marito e i nostri due figli in Piazza Bodoni, una delle più belle della città. Siamo fortunati. Il nostro appartamento è grande, luminoso, dalla finestra di solito entra la musica del Conservatorio Giuseppe Verdi. Piazza Bodoni da sempre è un luogo di incontro movimentato di giorno e di notte. La sera in cui è iniziata l’attuazione delle misure di emergenza la piazza era deserta e dentro di me ho sentito salire l’ansia.

Da due mesi mi accompagna un sentimento ambivalente. In giro c’è tanto male, tanta sofferenza umana. Al tempo stesso in questo periodo Torino ha iniziato a guarire dall’inquinamento. L’aria e il cielo si sono ripuliti, non ci sono più stati motori, clacson, allo stress sonoro si è sostituito il silenzio. Ogni tanto sono scappata di casa con mio figlio Elliot, che ha cinque anni e mezzo.

© Francesca Capellini

In che senso “siete scappati”? Dove siete andati?

In queste settimane per strada c’è sempre stata polizia che eseguiva controlli e dava multe. Io ed Elliot qualche volta abbiamo infranto il divieto di uscire, ci siamo raccontati che eravamo “i briganti”. Siamo andati a salutare la sua scuola dell’infanzia, in Piazza Cavour, che di solito è gremita di bambini e bambine. Abbiamo raccolto margherite. Lungo il breve tragitto abbiamo incontrato papere e scoiattoli. Questi momenti di fuga mi hanno ricucito il cuore.

© Francesca Capellini

Quali altri spazi aperti sono stati importanti in questi due mesi?

Nel nostro palazzo c’è un cortile con un grande tiglio e una magnolia bellissima. Questo spazio è usato come parcheggio, ma sotto la magnolia c’è un angolino dove giochiamo. Normalmente i bambini giocano in Piazza Cavour, dove c’è un gigantesco platano. Torino non è una città “dei bambini”, lo spazio pubblico non è concepito per essere a loro misura, nemmeno i parchigioco.

Ciò che è diffuso e radicato è l’interazione umana tra le persone del quartiere quando si va in panetteria, dal fruttivendolo, in libreria, in torteria all’ora della “merenda sinoira”. Il dialogo quotidiano con chi vive e lavora accanto mi sono mancati particolarmente.

Che effetto fa la musica proveniente dalle case, dalle finestre, dai balconi?

La musica è un elemento vitale che si propaga in tutta la piazza in momenti precisi della giornata. C’è chi suona, chi canta, chi ascolta. Tra i nostri vicini c’è un vecchietto che tutti i giorni esce sul balcone e suona “Bella ciao” con la fisarmonica. Alle 17.30, puntualmente, c’è una cantante lirica che fa un concertino, intona canzoni di tutti i tipi, è diventato un appuntamento fisso molto sentito per chi abita nel quartiere.

© Francesca Capellini

I giornali per i quali lavori ti hanno chiesto di raccontare la pandemia?

In questo periodo ho continuato a lavorare. Mi è stato chiesto di raccontare visivamente il confinamento a casa, di illustrare scenari post apocalittici in relazione a quanto stava accadendo. Amo moltissimo il mio lavoro e mi sono dovuta misurare con la difficoltà di disegnare eventi che mi turbavano e che mi toccavano troppo da vicino. I colori delle mie illustrazioni di questo periodo riflettono il mio stato d’animo.

Quanto ti è sembrata grande o piccola Torino da dentro casa?

Le dimensioni della città mi sono sembrate corrispondere a quelle della nostra casa più il cielo visto dal balconcino che dà sulla piazza più i duecento metri che ci separano dalla farmacia, dal supermercato e dall’edicola. Le “fughe” sono state un’eccezione che per un attimo davano la sensazione di ampliare lo spazio libero.

Adesso che cominciamo con molta cautela a uscire noto che c’è un grande chiacchierare, c’è un grande bisogno di parole. Ogni tanto le persone anziane si fermano a guardarci come se fossimo un reperto storico.

© Francesca Capellini

La tua città natale è Bergamo. Come hai vissuto la distanza tra te e le persone che vivono lì?

I miei genitori sono nati nel 1939. Sono sempre stati bene per fortuna. Oltre a loro a Bergamo ci sono amici e colleghi di lavoro. Ho perso persone vicine: anziane e non, in diversi casi sono figli che hanno assistito i propri genitori e che sono morti dopo di loro. Per me Bergamo significa due cose essenzialmente: la vita e il volontariato. L’associazionismo è la sua forza.

Ti faccio un esempio. Maite è una associazione di promozione sociale e circolo Arci. Dal 27 febbraio 2020 insieme ad altri circoli ha attivato “S.U.P.E.R. Supporto Unitario Popolare E Resiliente” con lo scopo di dare un supporto pratico alla città e alla provincia di Bergamo.

Via telefono o messaggio Maite viene in aiuto immediato delle persone che chiedono un sostegno di tipo concreto: portano la spesa a casa oppure vanno in farmacia, in banca, in posta. Io stessa per i miei genitori ho fatto riferimento a loro. C’è una domanda che non mi ha fatto dormire la notte: morire di virus o morire per la mancanza di vicinanza dei propri affetti?

© Francesca Capellini

L’autrice
Giulia Mirandola si occupa di educazione visiva e progettazione culturale. Nel 2019 è giunta a Berlino grazie a “MoVE 2020″, un programma di mobilità transnazionale che le ha permesso di collaborare con la libreria berlinese Dante Connection. Scrive di editoria, librerie e biblioteche berlinesi per la rubrica “Finestra su Berlino” del magazine culturale di Goethe Institut Italia.

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