Uno sguardo all’Italia e al Veneto: Sara Gamberini e la casa nel bosco

Sara Gamberini
Sara Gamberini

Uno sguardo all’Italia e al Veneto: Sara Gamberini e una casa nel bosco

di Giulia Mirandola

La scrittrice Sara Gamberini vive a Verona. Quando è iniziata l’emergenza sanitaria si trovava con la figlia e il cane nella casa nel bosco dove normalmente trascorre l’estate e la fine settimana. Qui le luci della città si vedono dall’alto, in lontananza. Nel 2018 usciva Maestoso è l’abbandono (Hacca edizioni, 2018), il suo romanzo d’esordio. In questo periodo Sara Gamberini sta concludendo un nuovo libro.

Qual è il tuo legame con questa casa?

Io e mia figlia viviamo una parte dell’anno a Verona, in centro storico, e una parte qui in collina. La casa è in una posizione isolata, davanti ci sono il prato e un vigneto, dietro il bosco. Di solito saliamo a maggio e ritorniamo a Verona a ottobre, quest’anno invece siamo arrivate prima, per fortuna.

Dieci anni fa mio padre ha voluto spostarsi dalla città, ha comprato questa casa nel bosco e l’ha ristrutturata. Dopo due anni è mancato e stavo per vendere tutto quando un amico intenzionato ad aprire una scuola libertaria mi ha proposto di realizzarla qui e ho accettato.

Quali elementi caratterizzano maggiormente la vita quotidiana?

In questo periodo io e mia figlia viviamo un altro tempo che assomiglia a quello che comunemente chiamiamo “un tempo” per dire “una volta”. Andiamo a prendere la legna per fare il fuoco, cerchiamo di utilizzare tutti gli avanzi, facciamo il pane, piantiamo fiori, sogniamo di nutrirci e di vivere solo di ciò che possediamo e siamo in grado di raccogliere e coltivare.

La fase nella quale stiamo vivendo mi fa capire che prima stavamo esagerando, era tutto troppo, e che mi mancava particolarmente il modo di vivere di queste settimane, a forma di “vita di un tempo”.

Cosa è uguale a sempre e cosa invece è una assoluta novità?

Non vediamo più i frequentatori del sabato e della domenica. Sono scomparsi i ciclisti e gli astrofili. In cambio ogni tanto c’è gente di una certa età, mai vista precedentemente, che cammina a piedi. Chi continua a esserci sono le volpi con i loro cuccioli, i cinghiali, gli scoiattoli, i daini.

I daini?

Sì, vivono in cattività non lontano dalla nostra casa in un posto dove per un certo tempo è esistito un centro per profughi e richiedenti asilo. Ora il centro è chiuso, ma i daini sono rimasti, ogni tanto escono dalla recinzione e arrivano qui.

Hai la sensazione di vivere in isolamento?

In parte sì e ciò favorisce il raccoglimento che io considero un fattore positivo. Però nella mia esperienza questa dimensione si era sempre alternata agli arrivi e alle partenze di amici e amiche. Adesso c’è solo l’isolamento e la sera, in particolare, arriva sempre un momento nel quale mi sento smarrita.

Qual è il momento della giornata che preferisci?

Preferisco il risveglio. Mi alzo molto presto, faccio colazione da sola e poi vado nel bosco con il mio cane. Il bosco è per me anche il luogo dove compiere piccoli riti, c’è un albero magico, tutto ha un’anima, anche i sassi, anche le bacche.

Cosa c’è qui che in città non esiste?

Nel bosco i miei sensori si riaprono fisicamente e percettivamente. In città non ci sono stagioni, perché per fare le stagioni ci vuole la natura, che in centro storico è inesistente. Adesso Verona è spettrale, invece il bosco è normale sia sempre vuoto, la pandemia non ha modificato il suo aspetto. Nella mia esistenza fino a oggi ho avuto la possibilità di alternare questi due ambienti così diversi tra loro. Io desidero essere qui e al tempo stesso al momento opportuno tornare lì dove ora la casa è vuota.

La pandemia ti sembra avere influenzato la tua idea di scrittura?

In questo periodo sto concludendo la stesura del mio secondo romanzo. Nelle prime settimane di emergenza sanitaria non riuscivo a dedicarmi alla scrittura. Mi chiedevo ripetutamente che senso avesse scrivere e ho messo in forte discussione il mio lavoro. Il significato che io attribuisco alla scrittura è tornato a essere chiaro quando ho ripreso a scrivere. Per me scrivere è “creare” un mondo nel quale desidero vivere, è invitare altre persone a seguirmi lì.

Qual è il segno più forte che porta con sé l’esperienza traumatica che stiamo attraversando?

Il fatto che io debba stare attenta a me, a te e agli altri. Abbiamo potuto verificare che la natura può reagire con molta velocità e che la sua capacità di adattamento agisce più rapidamente di quella umana. Da subito e ancor più nel futuro gli esseri umani dovranno chiedere a loro stessi di essere gentili con loro stessi e questa sarà la cosa più difficile.

L’autrice

Giulia Mirandola si occupa di educazione visiva e progettazione culturale. Nel 2019 è giunta a Berlino grazie a “MoVE 2020″, un programma di mobilità transnazionale che le ha permesso di collaborare con la libreria berlinese Dante Connection. Scrive di editoria, librerie e biblioteche berlinesi per la rubrica “Finestra su Berlino” del magazine culturale di Goethe Institut Italia.

Può interessarvi anche: Uno sguardo all’Italia: la resilienza di Torino secondo Francesca Capellini