Germania, Corona App pronta entro maggio. Il ministro Spahn: “Ma deve soddisfare tre requisiti”
di Achille Cignani
Nel calderone del periodo storico che stiamo vivendo, oltre al futuro della sanità mondiale, ci sono anche le ansie di molti esperti su come la tecnologia possa aiutare ad arginare la crisi da Coronavirus. Mentre il mondo intero si è fermato, le big tech hanno invece continuato la loro scalata verso l’infinito. Infatti, quando la maggior parte dei business sono stati costretti a chiudere – subendo catastrofiche perdite economiche – aziende come Amazon stanno invece assumendo, a fronte di un aumento della domanda all’interno dei marketplace.
Ciò non significa che i colossi digitali non siano a rischio, sia chiaro. Facebook, Apple, Microsoft, Google, la stessa Amazon, Netflix – per menzionare le più conosciute – hanno bruciato decine e decine di miliardi in borsa nelle terribili giornate che, da oltre un mese, accompagnano la nostra vita di tutti i giorni.
Però di certo potranno esserlo meno degli altri, questo sì, per via dei loro business model altamente sostenibili, anche di questi tempi. Ma visto che chi si occupa di high tech sta subendo meno degli altri gli effetti del lockdown, quale contributo sta dando la tecnologia nella lotta contro questo nemico invisibile?
In un interessante e molto chiaro articolo di Valigia Blu, viene disegnata un’ampia panoramica su come si stia muovendo il fronte tecnologico mondiale, partendo dalle agenzie di cyber security e intelligence (i fornitori) fino ad arrivare ai singoli Stati (i potenziali acquirenti).
Tra i primi a scendere in campo ci sono specialisti del law enforcement e intelligence come Cy4gate, del gruppo Elettronica o l’americana Palantir, che già collabora con CIA, FBI e Dipartimento Usa della Difesa. Proprio quest’ultima, avrebbe già fornito un software di analisi dei dati alla NHS britannica e sarebbe già in trattativa con Francia, Germania, Svizzera e Austria, scrive Bloomberg.
In Italia il Ministero dell’Innovazione, in tandem con il Ministero della Salute e l’Istituto Superiore di Sanità, sta valutando le migliori soluzioni sul mercato delle app di e-health e strumenti di analisi dei dati, istituendo una vera e propria “task force dati”. Ma sono davvero tanti gli stati che hanno adottato strumenti che utilizzano i dati personali per gestire la pandemia.
A livello europeo, si sta muovendo la Pan-European Privacy-Preserving Proximity Tracing (PEPP-PT), un’iniziativa che coinvolge oltre 130 esperti di 8 Paesi europei – con il Fraunhofer Heinrich Hertz Institute tedesco come leader – che promette di trovare una soluzione mantenendo un approccio attento alla privacy.
Come riporta heise online, l’app europea per contenere l’epidemia da Coronavirus attraverso gli smartphone è stata sperimentata in Germania già da qualche tempo e la fase di test ha visto come “cavie” i militari della Bundeswerh di Berlino.
L’app sarebbe dovuta essere disponibile già dopo Pasqua, ma il ministro della sanità Spahn ha esortato alla pazienza e fatto sapere che ci vorranno, probabilmente, altre quattro settimane.
Spahn ha anche parlato di tre requisiti che l’app dovrà soddisfare, vale a dire sicurezza dei dati, protezione dei dati e scopo effettivo, cioè il mero contenimento della diffusione dell’epidemia. Secondo un sondaggio reso noto lunedì scorso, il 56% dei tedeschi sarebbe favorevole a usarla.
Ma vediamo in dettaglio come dovrebbe funzionare.
L’applicazione presenta un concetto tecnico che persegue tre obiettivi. Anzitutto il sistema deve consentire una misurazione pulita, “senza far paragoni tra mele e arance”, per intenderci. In secondo luogo, dovrà essere garantita la privacy, non utilizzando i dati di tracciamento e quelli che possono identificare una persona. Questo avverrà peraltro su base completamente anonima e volontaria. E infine ci dovrà essere interoperabilità tra i Paesi, per consentire un monitoraggio su vasta scala.
La versione beta sviluppata dai ricercatori della PEPP-PT, è stata sperimentata anche dalla folta comunità di start-up tedesche. E pare siano davvero molti gli informatici che stanno già costruendo applicazioni, anche per Paesi diversi.
Comunque, dal punto di vista tecnico, il progetto usufruisce del Bluetooth che, una volta installata la nuova app, permette allo smartphone di inviare regolarmente un ID. Un po’ “come se fosse un piccolo faro mobile”, precisa Chris Boos, uno dei ricercatori al vertice della PEPP-PT. Al tempo stesso, l’app percepisce i segnali ID di altri utenti che si trovano nelle vicinanze, in maniera tale da poter scambiare gli ID e memorizzarli localmente in forma criptata. Funzionamento non troppo distante da quello già adottato da Singapore.
Tuttavia, se da un lato non possiamo che apprezzare i passi compiuti dall’avanguardia tecnologica – per una volta a fin di bene e non per scopi meramente commerciali – resta comunque vivo l’interrogativo su come questi Big Data saranno poi utilizzati da parte dei governi. Perché come afferma Derrick Williams di Deutsch Walle, “una volta che la privacy di larga parte del mondo sarà violata, potrebbero essere diversi gli Stati che sceglieranno di proseguirne l’utilizzo per tutelare la popolazione anche nel dopo emergenza”.
Ma anche se di fatto il tracciamento via smartphone è una forma di sorveglianza a tutti gli effetti, potrebbe anche essere uno strumento utile a prevenire la diffusione del virus da persona a persona.
D’altronde il lockdown è utile nella prima fase di contrasto di un’epidemia, ma non quando si deve, per forza di cose, iniziare a convivere con il problema. Quindi, ancora una volta, saremo chiamati a chiederci se sia più importante la salute pubblica o il rispetto della privacy. E il dibattito è appena iniziato.