Coronavirus, prove tecniche di pandemiadi Diego Orlandi
Nella maturazione dell’era post-illuminista, partendo da Jules Vernes, e forse emblematizzando ancor di più dalla storia di The War of the Worlds (1898) by H. G. Wells, ci si rende sempre più conto, con l’avanzare della tecnologia, che la pace fra i popoli sarebbe possibile sul pianeta terra solo davanti a un nemico comune.
Questo “assurdo” teorico è alla base della genesi del genere della science fiction, e dopo le grandi guerre e con l’avanzare della scienza e dell’esperienza bellica, questa tematica si stabilisce prima con metafore in chiave ideologica, fra le controparti della guerra fredda e gli sconfitti in centro Europa, come anche in tempi più recenti con la narrativa che ci vede fra mesi oramai a stabilire colonie su Marte in vista del riscaldamento climatico. E ormai si sa, è questione di mesi.
Eppure, verso febbraio di quest’anno, giungevano strane notizie dalla Cina. Attenti tutti al Coronavirus. Si sente parlare di strategie di Crisis Management Schemes, Business Continuity Plans, nelle notizie si vedevano dati dalla lontana Cina, che dichiaravano quello che oramai sappiamo benissimo sulla pelle di conosciuti e familiari: un nuovo virus si diffondeva a vista d’occhio, pareva irrefrenabile.
Nei gruppi di amici iniziavano prima a girare meme e gif che prendevano anche in giro i cinesi, turisti e non, sdrammatizzavano, non capivano. D’altronde si sa, hanno avuto la Sars, loro, hanno tassi di inquinamento alle stelle, tanti girano con la mascherina. La nostra capacità di interpretare e comprendere quella cultura é estremamente limitata (come lo è anche in senso inverso), e le dichiarazioni in conferenza stampa dell’Organizzazione Mondiale della Sanitá sono cose da medici, per profili specializzati. Se è successo ai cinesi non vuol dire che possa succedere anche a noi.
Poi mi ricordo che fu nelle conversazioni che ebbi con mio fratello in Lombardia, proprio durante i primi giorni di Marzo, che seppi che l’onda li aveva investiti. Nella videochat con mio fratello, mentre io ero a Berlino, ridevo del clima di caos con leggerezza e vedevo contrapposta la sua faccia seria, e capivo che succedeva qualcosa di grosso.
Essendo stati i primi, i numeri si erano diffusi prima dei censimenti a tappeto. Poche settimane prima, anche lui, in maniera goliardica, aveva condiviso scherzi su chat, anche di pessimo gusto, sulla questione. Il 1° marzo veniva firmato il dcpm applicabile nei comuni della cosiddetta “zona rossa” e l’Italia entrava in quarantena. Situazione mai sperimentata dal dopoguerra e che da qualsiasi altro luogo in Occidente sembrava ancora assurda.
Qualcosa era successo anche nel più vicino Iran, ma l’emergenza Coronavirus è stata avvertita per la prima volta, con tutta la sua gravità, per prima in Italia. Dopo qualche giorno arrivavano servizi disastrosi, di rivolte nelle carceri e di ospedali sovraffollati fino al collasso. Io e tanti amici italiani iniziavamo a sembrare dei pazzi, avvertendo l’emergenza di una pandemia che non era ancora arrivata in Germania. Cercavo di mettere all’erta anche tanti amici tedeschi e alcuni mi ascoltavano con un po’ di scetticismo. Poi, il resto lo conosciamo, la situazione è arrivata in Spagna, i governi occidentali hanno iniziato ad attuare cambiamenti e misure di contenimento dei danni economici e sociali, enormi.
Giorno dopo giorno, mi sembrava di aver visto il futuro, i numeri in Germania non erano ancora abbastanza alti per poter avere una chiara visione di insieme. Nel frattempo, si iniziava a parlare di Coronabond e misure di sostegno e solidarietà economica in Europa..
Con le maestose Alpi, che da sempre tagliano acque, culture, lingue, e venti, anche il Corona aveva iniziato un marcato innalzamento sul versante meridionale, mentre i Paesi del nord vedevano un sud Europa al collasso, con numeri ancora imparagonabili per comprendere le misure in atto, ma che concedevano del tempo prezioso per coordinare una risposta più organizzata.
Ancora oggi, su “Die Welt” compare in prima pagina il grafico della borsa mentre sulla prima pagina della “Repubblica” sono in evidenza i grafici della diffusione del Coronavirus.
Oggi al mondo si diffonde il numero dei malati in maniera ancora vertiginosamente in aumento. I numeri dell’Italia sono stati raggiunti dal numero di infetti in Spagna, gli Stati Uniti sorpassano del doppio qualsiasi altra nazione al mondo, siamo effettivamente assistendo a un distanziamento sociale che non si è mai verificaro prima nella storia e siamo in grado di seguirne minuto per minuto l’andamento. Ed è per questo che anche chi non era troppo incline alla matematica si trova ad assistere a discorsi su curve esponenziali, tassi di mortalità, e proiezioni di case-scenario.
Un dato sopra tutti che si può ricavare è che stiamo assistendo a un fenomeno ancora in netta crescita, per il quale si può dire che gli scenari sono destinati a cambiare ancora, e che i tempi, per ora, non diano motivo per pensare che questo trend sia destinato a diminuire complessivamente nel corso della sua diffusione sul pianeta. Come diceva Socrate, sappiamo di non sapere.
Dal quadro inverosimile di misure attuate in Italia all’inizio di marzo, con una quarantena immediata, tassi di mortalità altissimi rispetto al resto dell’occidente e dati più alti anche della Cina, iniziamo ora ad assistere a tassi simili anche in altre nazioni, e si verificano nettamente tassi di crescita in tutti i Paesi europei ed americani.
Non ci sono quindi finali lieti all’orizzonte. Si può iniziare ad osservare però la rispondenza delle misure di distanziamento sociale, che mira a un congelamento dei vettori di infezione e quindi un numero di infetti giornalieri gradualmente diretto a invertirsi.
Questo tipo di effetto si può leggere chiaramente nei grafici disponibili e con questi si può anche vedere come lo stato di emergenza, che finora ha colpito principalmente i Paesi subalpini, stia crescendo in maniera più netta al nord. I tassi di mortalità del Coronavirus, come quelli dei guariti, varia molto fra Paesi ma si sta lentamente verificando un accorciamento del gap che ha contraddistinto i dati di marzo.
L’anomalia e la gravità del caso hanno anche comportato un modus operandi e opinioni fortemente diverse fra politici e Paesi, e la lettura dei primi risultati potrebbe aver accentuato differenze che dovranno essere verificate, ma sicuramente ci trovano privi di un metodo di calcolo, comunicazione e amministrazione sanitaria comune.
A un mese e mezzo dall’epocale avvento della Brexit, con un’Europa davanti a un’ennesima prova senza precedenti, il discorso collettivo esprime il disagio sociale, ma sempre sulla base di dati parziali e destinati a cambiare in maniera decisiva nelle settimane a venire. Alcuni accordi di cooperazione medica per la copertura di strumenti di necessità vitale sono venuti meno. Si sono create nuove iniziative di produzione e cooperazione internazionale.
La sfida che sta affrontando l’umanità contrappone da un lato classi, popoli, nazioni e interessi, ma allo stesso tempo ci unisce tutti sotto uno stato di quarantena mondiale e sta implicando grandi sforzi in campo medico e scientifico, con una copertura mediatica e numerica ampiamente diffusa sulla rete.
Vedremo ancora tante evoluzioni su ogni fronte, ma è lecito menzionare che davanti a concrete soluzioni come la cosiddetta “immunità di gregge” e squadre di lavoratori di immuni, l’Italia ha messo in atto, da sola e per prima di qualsiasi altro Paese occidentale, misure drastiche di massa contro il Coronavirus, per invertire le dinamiche di infezione a difesa del suo popolo, un’impresa che non è scontata.
E la letteratura fantastica, e non, nel futuro avrà moltissimi nuovi spunti da cui attingere.