Alessandra Ballotti a Berlino: dalla parte dell’inclusione e contro il pregiudizio

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Il 3 dicembre ARTEMISIA e.V. organizzerà la Giornata internazionale delle persone diversamente abili, nel nome dell’inclusione e in collaborazione con AWO Begegnungszentrum, EMERGENCY Deutschland, Bezirksamt Friedrichshain- Kreuzberg, MiNA e.V., Rete Donne Berlino,ANPI Berlino-Brandeburgo e con IL MITTE, il nostro magazine.

Potete trovare tutte le informazioni su come partecipare all’evento in questo articolo già pubblicato dal Mitte. Altri dettagli sono sull’evento facebook ufficiale Inklusion geht uns alle an e sul sito di Artemisia.

L’iniziativa, che è totalmente gratuita, comprenderà attività tra le quali musica africana, Arteterapia, improvvisazione teatrale e laboratori di cucina, in un misto di culture e differenze che daranno sapore alla giornata e alla vita. L’evento si chiuderà con la proiezione del film-documentario “Open heart“, candidato all’Oscar come miglior documentario nel 2013.

Qui riportiamo invece l’intervista di Amelia Massetti, Presidente di Artemisia, ad Alessandra Ballotti. Alessandra studia economia, ha scelto Berlino per svolgere un tirocinio ed è una paladina dell’inclusione.

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Ti ho incontrata per la prima volta nell’ascensore di Kottbusser Tor. Ho sentito che parlavi in italiano con la tua accompagnatrice e ti ho subito invitata al progetto Buntstifte, che si rivolgeva alle donne migranti e alle persone diversamente abili. Mi ha ispirato il tuo sguardo molto curioso e ti ho invitata a partecipare

Quando sono arrivata a Berlino pensavo di non trovare nessuno con cui interagire e sono stata molto contenta di trovare una comunità come Artemisia, disposta ad accogliermi. Sono interessata all’arte, ero appena arrivata e non sapevo come organizzarmi con i trasporti. Il mio primo obiettivo, qui, era occuparmi del tirocinio e iscrivermi all’università e in ogni caso partecipare al vostro progetto era anche inerente.

Su quale tema è incentrato il tirocinio che svolgi qui?

Questo tirocinio esiste dal 2017 ed è inerente alla mia laurea in economia e marketing internazionale. Faccio parte di Anatolia youth entrepreneurship NGO, un’associazione no profit e non governativa che mira a offrire a persone giovani e adulte la possibilità di partecipare a imprese internazionali per lavorare in un ambiente multiculturale e migliorare le loro capacità.

È un progetto europeo “sport4all”, in cooperazione con “Casa de Juventude de Guilmaraes” (Portogallo) e “Associazione Culturale volare volare” (Italia). Lo scopo è quello di incoraggiare e sostenere lo sport dei giovani con minori opportunità, per consentire l’inclusione sociale.

Gli spazi degradati e abbandonati diventano spazi per il bene comune, che contribuiscono a garantire lo spazio adeguato per la pratica dello sport inclusivo in generale. In realtà sto cercando di capire come funziona l’inclusione sui social network e sto imparando come curare i social media, la comunicazione e le mail. È importante studiare come raggiungere la comunità berlinese più giovane. Ho cercato anche luoghi in cui viene praticato lo sport, qui a Berlino, e ne ho trovati diversi inclusivi.

Puoi dirci qualcosa sulla tua disabilità?

Certo, sono abituata e farlo non mi infastidisce. Ieri raccontavo a un’amica che una farmacista, qui a Berlino, ma succede anche in Italia, mi ha chiesto cosa avessi. Fino a 15 anni avevo la scoliosi, poi ho fatto degli esami di controllo per la scoliosi e hanno scoperto che avevo qualcosa nel collo. Indagando, hanno scoperto che si trattava di una malformazione che andava operata, perché poteva causare dei danni. Per fortuna questi danni non si sono mai prodotti. Ma sono stata operata e con grandissima “fortuna” ho avuto tutte le complicazioni possibili e immaginabili.

Quindi hai subito tante operazioni?

Sì, diciotto. E l’anno prossimo dovrò essere operata di nuovo agli occhi.

Quindi sei passata da una vita abbastanza normale a diventare una persona con una disabilità?

Sì! Facevo una vita come tutte le ragazze della mia età e praticavo sport per la mia scoliosi, considerando che non potevo portare pesi.

Sapevi, prima dell’operazione, che c’era il rischio che non avresti potuto camminare?

No, non lo sapevo, ma io tornerò a camminare e ad essere quella di prima, solo che non si sa quando.

Quindi c’è una possibilità in questo senso?

Per me la riabilitazione è fondamentale ed è importante avere il percorso migliore possibile, se vengo segregata perché ora ho la sedia a rotelle, non camminerò mai più. Non ho subito dei danni, ho avuto tante complicazioni, che si sono risolte a catena, ho avuto un’emorragia, e si è riassorbito il sangue, poi un’infezione. Il problema è che avvenendo queste cose a livello neurologico, si sono infiammati dei nervi, creando dei deficit, e quindi sono tornata indietro tante volte.

Come hai affrontato questi momenti?

Avevo 17 anni quando è successo e ho sempre avuto una vita molto attiva, ho sempre fatto tante cose, ho fatto gli scout. Sono entrata a 8 anni negli scout e ora sono capo. A questo proposito ti ho fatto vedere il mio fazzolettone scout. Dopo le prime operazioni ero uscita dal gruppo, perché stavo troppo male, ma in seguito ho deciso di non fermarmi e rientrare. Un mese fa ho fatto un campo scout di cinque giorni.

Puoi definire questo campo come inclusivo?

C’è molta inclusione tra gli scout, perché accettano tutti, dipende dalle forze e dalle energie che hanno i capi scout. Talvolta dovevamo gestire un gruppo di 40 bambini e allora si creava la necessità di personale di supporto, soprattutto se ci sono persone con disabilità che hanno bisogno di assistenza.

Quindi, se c’è la richiesta, si pratica l’inclusione?

Io per esempio non ne avevo bisogno. Dipende dalla disabilità. Io so chiedere aiuto, quindi trovo sempre le soluzioni più adeguate a me. Non sono come quelle persone che nascondono le proprie esigenze o la disabilità.

Nella tua famiglia come è stato accettato questo cambio di condizione?

Mia sorella è più piccola di me e quindi è stato difficile, perché i miei genitori davano più attenzione a me che a lei. Io stavo male, passavo molti periodi in ospedale, per via delle operazioni, e quindi spesso mia sorella era dai nonni.

Continuavi a studiare?

È stata molto dura. Sono tornata il primo anno nella mia classe con gli stessi amici (molti erano stati bocciati) e avevo gli stessi professori.
All’inizio avevo delle difficoltà, perché loro mi trattavano come prima degli interventi. Ma con il mal di testa, la nausea e il vomito era molto dura, perché avevo bisogno di essere aiutata per essere messa al livello degli altri. Ma questa cosa è mancata. Non tanto per via degli insegnanti, ma perché è mancata, da parte della scuola, la capacità di darmi le energie necessarie, per mettermi allo stesso livello degli altri. A dicembre sono stata male e dopo non sono più tornata a scuola.

Forse anche loro erano sotto shock e non capivano? O c’erano delle barriere architettoniche?

L’ascensore c’era sempre, era fuori e per prenderlo dovevi usare anche il montacarichi. I miei compagni non venivano con me, andavano con la scala. Attivare il montacarichi significava sempre arrivare più tardi. Era difficile da gestire e non riuscivo a restare al passo con gli altri. Non ero neanche messa in condizione di essere aiutata, anche se c’era la buona volontà per farlo.

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Avevi compagni di classe che venivano a casa ad aiutarti con le lezioni, per tenerti aggiornata?

Avevo un tutor, mi hanno dato il massimo delle ore possibili. I compagni di classe mi aiutavano, perché facevo fatica, per esempio, ad andare al bagno.

Non c’erano i bagni per persone diversamente abili?

Potevo usare il bagno dei professori. Comunque sono stata molto aiutata a livello motorio. E se avevo bisogno di mangiare, anche durante le lezioni, me lo permettevano. In questo sono stata molto supportata. Alla fine mi sono ritirata e tecnicamente non risulta come una bocciatura, anche se ho perso vari anni di scuola.

Che scuola frequentavi?

La quarta superiore, ragioneria. Ho fatto il tirocinio con dei mal di testa incredibili. Ho perso due anni di scuola, con tutti gli interventi che ho avuto. Quando sono rientrata sapevo che non sarei più potuta ritornare nella stessa classe, quindi ero totalmente allo sbaraglio. A quel punto ho deciso di andare in una scuola privata. Era gestita dai frati, ma era economicamente accessibile. Mi hanno seguita tantissimo. Se un giorno non andavo a scuola, perché ero stata male, loro mi facevano recuperare. Poi ho dato la maturità, esattamente come tutti gli altri.
Prima che mi iscrivessi il preside mi disse di iniziare il programma comune e, ove fosse stato troppo impegnativo per me, lo avrebbero adeguato e ridotto. Non ne ho avuto bisogno e sono stata la prima a dare gli esami. Ho fatto l’orale il primo luglio, e dopo sono andata in vacanza.

E dopo che hai fatto? Sei andata all’università?

Non subito. Ho avuto una fase in cui non volevo più studiare, per un anno. Poi mi è tornata la voglia e mi sono iscritta all’università, economia e marketing internazionale. Anche lì, con i miei tempi, riesco a fare tutto.

All’università, sei stata accettata senza problemi?

Ho il tutor da quando mi sono iscritta, ho l’iPad per prendere appunti e altro. Ma in realtà le persone disabili e i lavoratori possono accedere a tutte le lezioni registrate.

Questa opzione è disponibile per tutti?

Che l’accesso a queste possibilità sia consentito a tutti dipende dal singolo professore e da quanto l’università sia tecnologica. Sicuramente è disponibile per tutte le persone diversamente abili. La mia facoltà ha quasi tutte le aule con la lavagna elettronica. Per esempio giurisprudenza, che teoricamente è “più in auge”, non ce l’ha.

E quindi, attraverso i tuoi studi, sei venuta a Berlino? Da quando tempo sei qui?

Da due mesi. Non conosco il tedesco e non conosco persone. Dovevo fare il tirocinio finale per laurearmi l’anno prossimo, perché poi voglio andare in Erasmus.

Quindi tornerai a Berlino?

No, andrò in Francia.

Avendo girato per Berlino da sola, hai la percezione, stando su una sedia a rotelle, che la città funzioni, relativamente alle barriere architettoniche, o ci sono delle difficoltà?

Le barriere ci sono, ma sono molto meno di quelle a cui sono abituata. Ci sono molte possibilità che si possa andare avanti. Io so che con la mia sedia a rotelle certe cose posso farle. Ma se avessi un’altra sedia a rotelle potrei farne anche di più. Per esempio nella metro c’è troppo spazio tra la porta e la banchina e a volte è troppo sollevata. La sedia ha le rotelline piccole, davanti, e se s’incastra in quello spazio ci si fa del male.

L’accesso quindi non è ben organizzato?

Il più grande problema sono gli ascensori. Io devo sapere che, quando esco, l’ascensore funziona. Non posso metterci un quarto d’ora e poi, quando arrivo, l’ascensore non va.

Ci dovrebbe essere una App che comunica queste informazioni?

In realtà c’è, si chiama Access Berlin, e segnala le stazioni dove ci sono gli ascensori. Il problema è che dicono che è aggiornata, ma ha troppe informazioni e quindi è più complicata, e non essendoci internet ovunque, se non va, non puoi saperlo.

Ci sono stati momenti in cui ti sei trovata in difficoltà e le persone ti hanno aiutata?

Mi è capitato una volta.

Bisogna sapere cosa fare esattamente?

Io uso le stampelle e le scale le posso fare. Una volta ero a Friedrichstraße e mentre facevo le scale, perché l’ascensore era bloccato, un tedesco mi ha preso la sedia. Ero con una mia amica, non posso fare le scale da sola perché ho problemi di equilibrio e se cado è finita.

Il tirocinio lo fai in inglese?

Sì, mi oriento con quello, mi è capitato di incontrare aziende che richiedevano solo il tedesco.

Quando vai all’università, hai la percezione che ci siano altre persone sulla sedia a rotelle?

La prima cosa che ho notato è che qui a Berlino vedi un sacco di sedie a rotelle in giro. In Italia non è che non ci siano, ma molti rimangono a casa. In Italia mi dicono “ma come fai a girare?”. Vengo individuata come quella che va in giro con la sedia a rotelle.

Tu vivi a Modena. Trovi che sia una città che promuove l’inclusione?

C’è la volontà, ma il servizio non è così organizzato, devi scoprire da solo quali siano i tuoi diritti, nessuno viene a dirtelo.

Ma questo succede anche in Germania

Qui trovo sia diverso, perché, per esempio, mi è capitato che quando ho fatto l’abbonamento per i trasporti, mi hanno detto che potevo avere uno sconto come persona disabile, o come studentessa. Me lo hanno spiegato senza che io lo chiedessi.

Ma tu non puoi avere il documento tedesco Schwerbehindertenausweis, che ti offre la mobilità e visite ai musei ed eventi culturali a costo zero. Ho fatto richiesta di estendere questo documento anche a persone di altre nazionalità, ma mi è stato risposto che le riduzioni sono legate al pagamento delle tasse del Paese in cui si vive. Mi auguro che in futuro si arrivi a una normativa internazionale.

Comunque io ne ho avuto diritto in qualità di studentessa.

So che in Italia vivi autonomamente, come sei riuscita a fare questo?

Ho avuto il diritto, da persona disabile, di ottenere una casa adeguata alle mie esigenze. Naturalmente nessuno viene a dirti “Vuoi che ti faccia una casa?”. Ho fatto un investimento attraverso la mia famiglia, ma non sono sicura se questi costi mi verranno restituiti tra 10 anni.

Quindi hai una casa di tua proprietà?

Sì era di mio padre.

E hai una pensione di invalidità e l’accompagnamento che ti permettono di vivere in maniera dignitosa?

Sono esonerata dalle tasse universitarie. Altri costi vengono supportati dallo stato e usufruisco delle riduzioni, per esempio per l’accesso allo sport. Il cinema è gratuito e per l’accompagnatore il costo del biglietto è ridotto. Ai concerti, su due biglietti se ne paga uno.

Anche qui in Germania è così. Si può andare ai musei, ai concerti e a teatro con un costo dimezzato e talvolta nessuna delle due persone paga.

La mia non è un’invalidità permanente, questo lo stabilisce la commissione dei medici che decidono quando effettuare le visite di controllo. In base alla mia disabilità, se è al 100% ho diritto alle detrazioni, mentre se fosse al 50% pagherei una parte.

Qui in Germania, le persone diversamente abili non hanno una pensione di invalidità ma l’Assistenza all’integrazione, Eingliderungshilfe. Le persone diversamente abili sono obbligate a lavorare nei Werkstatt für Mesnschen mit Bhinderung e in ogni caso non hanno gli stessi diritti degli altri lavoratori. Esiste anche una legge che favorisce l’inserimento lavorativo, Sozial arbeit markt, ma non sempre si applica.

Non è giusto che non percepiscano un vero stipendio, perché comunque danno delle energie all’azienda per cui lavorano. In Italia non sei obbligato a lavorare. Esistono delle liste speciali per le persone disabili. L’azienda ha l’obbligo di assumere una persona diversamente abile su un numero di circa 12 lavoratori.

In questi casi le persone diversamente abili hanno la possibilità di avere un tutor che introduca la persona all’avviamento professionale?

Sicuramente, ma io non faccio molto affidamento sulla loro capacità di inserimento.

Come hai fatto per prendere un hotel?

L’ho cercato su un sito internet e loro sono stati molto gentili, per qualsiasi problema mi hanno aiutato.

Se pianifichi in tempo riesci anche ad organizzarti. Attraverso la nostra associazione, qualche volta è stato possibile.

Essendo da sola non puoi muoverti sempre autonomamente. Ho scritto su alcuni gruppi di Facebook e mi sono organizzata. L’attività di Arteterapia, che ho svolto nell’ambito del vostro progetto, è stata per me molto bella. Ho conosciuto tante belle persone.

Anche per noi è stato un piacere conoscerti e averti nel nostro gruppo

Dovendo spostarmi molto, ho poi scoperto tante cose. Ad esempio ho visitato molte palestre. In una palestra mi hanno detto “Sì, puoi venire anche se sei disabile”. Altri mi guardavano e poi mi dicevano “Mi dispiace, non puoi”. A me ha fatto molto piacere poter girare in città. Sono multitasking e lavoro con il cellulare e con l’iPad.

Per questo l’inclusione reale è un obiettivo importante. Comunque la tecnologia offre strumenti importanti

Personalmente riesco a orientarmi anche se improvvisamente internet non funziona. Questa è un’eredita degli scout.

Da quanto tempo vivi da sola?

Da tre anni. Da un anno completamente da sola, prima c’era mio fratello. Adesso sto trasformando tutta la casa sulla base di una progettualità specifica, e sarà bellissima. In ogni angolo c’è la possibilità di fare ginnastica, ci sono degli specchi per vedere una cosa specifica anche di spalle e quindi sarà una casa accessibile per me.

L’hai progettata tu? 

Mi hanno aiutata.

Architetti?

Per la cucina gli ingegneri del comune, per ogni stanza ho cercato qualcuno che potesse aiutarmi a progettare. Sono stata a Bologna in appartamenti specifici, per capire di cosa avessi bisogno.

Hai amici?

Sì, assolutamente. Venire in una città dove non conosci nessuno non è stato semplice.

Peccato che ci siamo conosciute quasi alla fine del tuo soggiorno

Non pensavo ci fossero tante attività legate all’inclusione a Berlino. E la vostra è veramente un’associazione inclusiva. Magari altre lo hanno scritto sui loro siti, ma poi non è vero. Come le palestre che sulla carta dicevano di accettare tutti, poi, quando mi hanno vista, mi hanno detto che non era possibile.

Qual è stato il momento più difficile per te, qui a Berlino?

Ambientarmi.

Per il clima?

Quando sono partita mi ero messa anche i collant in borsa. Ero partita in pantaloncini, da noi faceva un gran caldo.

Quale è stato il tuo momento più bello in questo tuo soggiorno qui a Berlino?

Tutti i giorni, quando esci e c’è il sole, sono felice. E sono felice per tutte le persone che ho conosciuto. L’altro giorno sono venuta al vostro incontro e ho chiesto a Toara di accompagnarmi e siccome eravamo in anticipo mi ha detto “Vogliamo fermarci a bere un tè?” e questo mi ha resa molto felice. L’inclusione è una cosa molto dura. Io credo che voi di Artemisia siate molto avanti.

Come vivi dentro di te la tua disabilità o differenza rispetto alle altre persone?

In realtà per me non esiste una differenza, è quello che non riesco a far capire ad altre persone. Per me, usare la sedia, è come avere un altro colore degli occhi. Semplicemente, io ho un problema di equilibrio. Se una mia amica non ha forza nelle mani e mi chiede di aprirle una bottiglietta d’acqua, io riesco a farlo e magari chiedo a lei di aprire la porta, perché io non posso. Visto che tutti siamo diversi, includere ogni categoria nella società è fondamentale.

Tutti abbiamo dei limiti e basta capire come potersi aiutare reciprocamente

Quando ero all’università, una volta si è verificato un problema e nessuno sapeva come muoversi. Siccome sono abituata a cercare ogni giorno delle soluzioni, normalmente mi metto lì e supero la difficoltà. Quindi sono stata io che ho preso il telefono, di fronte a venti persone, e ho risolto. Proprio perché sono abituata, gestisco subito gli imprevisti.

Diciamo che tu affronti le situazioni, ci sono persone che si abbattono di fronte ai problemi

Non saper fronteggiare i problemi è una disabilità più grave che non riuscire a camminare.

Tante persone non disabili si perdono spesso per delle piccolezze

Ci sono persone che non escono di casa, non vanno a fare la spesa perché fanno fatica.

Le persone si pongono con te in modo pietistico?

Sì, tantissimo.

E come lo affronti?

Scanti i caioni, detto in dialetto. Vuol dire che non mi prendo gioco di loro in maniera cattiva, ma mi rendo conto che le persone hanno pietà e quindi lo accetto, ma “usandoli”, praticamente.

Quindi in modo speculativo

Mi è capitato d’incontrare persone che mi chiedevano “Ti prego, ti prego, ti posso aiutare ad attraversare la strada?”. Io ce la facevo benissimo, ma a quel punto le ho lasciate fare perché, ovviamente, faccio meno fatica se qualcuno mi spinge.

Senti che nei rapporti tra le persone e le amicizie c’è un velo di falsità o di commiserazione?

Tra le amicizie vere no, perché sanno chi sei. Si vede la differenza. In chi ti conosce per la prima volta vedi totalmente il pregiudizio.

C’è una differenza tra Italia e Germania?

Forse in Italia c’è più pregiudizio.

Qui invece c’è più freddezza?

In realtà si tratta di comprendere il popolo, qui sono stata molto aiutata, ma questo aiuto lo devi chiedere. In Italia ti guardano e pensano automaticamente che tu abbia bisogno di aiuto. È come essere giudicati prima di sapere. Questo in Germania c’è meno.

C’è forse una mancanza di empatia tra i tedeschi?

Hanno un modo diverso di essere. Maggior rispetto per l’individuo.

Perché forse i tedeschi non entrano nel tuo personale, se tu non li incoraggi

Però se chiedi, ti aiutano sempre.

Chiedere è un atto di crescita. E una forma di maturità

Se fossi stata una persona che non chiedeva, non sarei mai potuta venire in Germania da sola.