A 30 anni dalla caduta, il Muro continua a dividere la Germania
di Pasquale Episcopo
Quando Giulio Andreotti parlava della Germania, soleva dire che apprezzava quel Paese così tanto da fargli piacere che ce ne fossero due. Per oltre mezzo secolo, dal 1949 al 1990, la Germania è stata divisa in due Stati da un muro, Germania Ovest e Germania Est, così chiamati per identificarli in modo semplice, diretto e alternativo rispetto ai loro nomi ufficiali: Repubblica Federale di Germania (RFT) e Repubblica Democratica Tedesca (DDR).
Situata all’interno della DDR, e a 160 km dalla RFT, Berlino fu divisa in quattro zone controllate dalle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale, Francia, Regno Unito, Stati Uniti e Unione Sovietica. Nel 1961 la DDR, per impedire la libera circolazione delle persone, decise di costruire un muro di “protezione antifascista” intorno alle tre zone sotto il controllo francese, inglese e americano.
Il Muro di Berlino è stato per trent’anni non solo espressione materiale della divisione delle due Germanie, ma anche simbolo ideologico ed effige politica della cortina di ferro che ha diviso i due blocchi, filosovietico e filoamericano, durante la guerra fredda. Ma non poteva durare in eterno. Soprattutto non poteva resistere alle trasformazioni sociali sorte in seno ai paesi del blocco orientale.
Il 4 novembre 1989 centinaia di migliaia di tedeschi della DDR manifestarono a Berlino est invocando più democrazia. Solo cinque giorni più tardi il governo della Germania Est annunciò inaspettatamente che le visite dei cittadini nella Germania Ovest sarebbero state permesse e subito dopo il Muro che li divideva dalla libertà e dalla agognata democrazia veniva scavalcato e preso a martellate sotto gli occhi increduli di tutto il mondo.
A trent’anni da quell’evento Berlino e tutta la Germania riunita, e con essa l’intera Europa, si interrogano sul suo significato. Le domande che si pongono sono molteplici e svariate, ma tra esse ce ne è una che si impone sulle altre: “Ci sono ancora due Germanie?”. Nonostante il poderoso processo di riunificazione voluto da Helmut Kohl, le differenze tra Germania ovest e Germania est restano enormi.
I tedeschi dell’est hanno vissuto trent’anni sotto un regime che non consentiva la libertà di opinione e che hanno accettato perché concedeva ampie garanzie sul piano sociale. Paradossalmente oggi hanno difficoltà ad apprezzare la democrazia e non accettano di esser messi sotto accusa quando si permettono di criticare i migranti, la globalizzazione e il multiculturalismo.
Un recente sondaggio commissionato dal settimanale Die Zeit all’Istituto berlinese Policy Matters ha evidenziato un notevole livello di insoddisfazione dei cittadini della ex-DDR in merito a temi quali la democrazia, la partecipazione politica, la giustizia sociale, la sicurezza, la formazione scolastica, l’accesso al mondo del lavoro e la politica in generale. Relativamente al tema della democrazia oltre il 52% del campione intervistato si è dichiarato assolutamente insoddisfatto o poco soddisfatto. Quanto alla politica estera, l’80% dei tedeschi degli intervistati ritiene il rapporto con gli USA di pari importanza rispetto a quello con la Russia e nel rimanente 20% una leggera maggioranza ha dichiarato di ritenere le relazioni con la Russia più importanti (fonte: Die Zeit, sondaggio pubblicato il 2 ottobre 2019).
I fattori che probabilmente hanno contribuito a produrre questi risultati sono legati al concetto di democrazia e alla sua comprensione. Per giungere a tale comprensione ci vogliono una scuola e un esercizio continui. Esercitare la democrazia è possibile soltanto se si vive in un contesto caratterizzato dalla affermazione della libertà individuale, dalla consapevolezza della condivisione e da una forte presenza dello stato di diritto incentrato sulla stessa democrazia. L’equazione non è scontata e richiede uno sforzo costante che ne consenta al tempo stesso l’apprendimento, la manutenzione e il consolidamento.
Questo vale soprattutto per le giovani generazioni, che malgrado la grande facilità di comunicazioni e di informazioni resa possibile dalla moderna tecnologia, non sembrano aver colto l’importanza di libertà e democrazia. La complessità dei temi connessi con questi valori ne rende difficile la comprensione. Contro questa complessità le fake news della comunicazione politica hanno buon gioco e creano danni incalcolabili.
Trent’anni di libertà non sono probabilmente bastati a tedeschi di Dresda, capitale del Land della Sassonia nella (ex) Germania orientale (prima dell’abbattimento del muro di Berlino), dove nel 2014 è sorto il movimento dei Patriottici Europei contro l’Islamizzazione dell’Occidente denominato Pegida (Patriotische Europäer Gegen die Islamisierung Des Abendlandes), nonostante una scarsa presenza di migranti di fede musulmana rispetto ai Länder occidentali.
Trent’anni di libertà non sono probabilmente bastati ai cittadini del Land della Thuringia dove alle recenti elezioni regionali i partiti tradizionali di governo hanno perduto consensi lasciando il passo agli ex comunisti della Linke (30%) e all’estrema destra della il partito AfD (Alternative für Deutschland), che ha ottenuto il 23,4%. Tutto ciò si riflette sull’ovest della Germania e mette in luce un Paese disorientato e diviso culturalmente e geograficamente.
Nonostante il massiccio programma di investimenti messo in moto all’indomani della riunificazione e sostenuto con la tassa della solidarietà detta Solidaritätszuschlag (5,5% del reddito) da tutti i cittadini tedeschi a partire da un reddito medio-alto (dunque soprattutto dai cittadini della Germania occidentale), la ricostruzione non ha dato gli effetti desiderati e la ricchezza del Paese resta fortemente sbilanciata a favore della parte occidentale produttivamente più forte.
Ma prima di criticare guardiamo cosa in quasi 160 anni dall’Unita d’Italia è successo nel nostro Paese, dove la questione meridionale continua ad essere il banco di prova di ogni governo nel tentativo di risolvere i problemi che attanagliano il Mezzogiorno. Il recente rapporto SVIMEZ ha evidenziato una preoccupante emorragia di giovani che lasciano il Sud per espatriare all’estero (2 milioni negli ultimi venti anni). Molti di loro hanno scelto proprio la Germania.
Il sarcasmo cinico e irriverente contenuto nella frase di Andreotti appare oggi più che mai attuale in un momento in cui il nazionalismo in Germania sta riprendendo vigore e sembra che i tedeschi, in particolare quelli dell’ex-DDR, abbiano dimenticato le drammatiche vicende storiche prodotte dal nazionalsocialismo. Purtroppo il problema non è limitato alla sola ex-DDR, ma all’Europa intera e a tutto l’Occidente. Le cui democrazie, mai come nell’ultimo decennio, hanno dovuto sottostare all’assalto dei populismi senza dimostrare di possedere i necessari anticorpi.
In conclusione un’ultima riflessione su Berlino dopo l’abbattimento del muro. Dove trent’anni fa c’erano due modelli in competizione tra loro, distinti e definiti, adesso c’è un’unica città divenuta fabbrica di trasformazione e rinnovamento. Una città multiculturale e tollerante, “condannata a divenire, mai ad essere”, come recita un vecchio adagio berlinese. Chi visita Berlino coglie la bellezza e le contraddizioni di questa città palpitante di vita, cuore del vecchio continente, memoriale a cielo aperto degli eventi più drammatici del XX secolo.