WEBFEST BERLIN #3: È tempo di parità di genere, sullo schermo e dietro
di Roberta Chimera (The Visual House)
Fulcro del dibattito alla Webfest è stato la visibilità delle donne nel settore, cui è stato dedicato il primo giorno del festival e che ha visto la presenza di numerose professioniste invitate a condividere la loro esperienza di lavoro e a fare da mentori alle giovani generazioni di creative.
Partners del festival sono state l’Associazione internazionale Powerful Ladies, il Women’s Film Network Berlin e l’associazione Women in Film and Television Germany. Hanno completato il programma la proiezione delle serie al femminile di maggior successo nel mondo, un cocktail di networking e il seminario di sceneggiatura tenuto da Jasmina Maria Wesolowski su come evitare descrizioni stereotipate dei ruoli femminili.
Siamo ancora lontani dal vedere una vera parità di genere nel settore. Uno studio condotto dalla Filmförderungsanstalt, l’istituto federale tedesco di finanziamento al cinema, in collaborazione con le due emittenti pubbliche tedesche ARD e ZDF, riporta che i film in Germania vengono realizzati per il 72% da uomini, il 23% da donne e per il 5% da team composti da entrambi. Quasi la metà dei diplomati delle scuola di cinema sono donne, ma meno di un terzo di loro trova lavoro in una società di produzione. L’11% di fiction prodotte da ARD sono state realizzate da registe e da ZDF solo l’8 percento. La percentuale dei registi televisivi oscilla, quindi, tra l’89 e il 92%.
Durante i dibattiti alla Webfest, inoltre, è stato sottolineato più volte come non sia più accettabile vedere stereotipi appiattiti con immagini di donne negative e limitanti che alimentano l’ingiustizia sociale. Il pubblico esige ormai da tempo rappresentazioni realistiche di genere, razza, disabilità e uguaglianza sullo schermo.
Ne parliamo con Shari Mahrdt e Shannon Getty, fondatrici del Women’s Film Network Berlin, una comunità di filmmaker donne che in meno di due anni ha raccolto oltre 4.000 adesioni e che rappresenta un passo importante sulla strada per raggiungere una vera parità di genere all’interno del settore.
“Tutto è iniziato agli incontri del Women’s Film Network” ci dice Shannon. “Ascoltavamo sempre la stessa storia di donne con grande talento, esperienza e belle idee che non riuscivano ad entrare nel mercato tedesco e dall’altra parte c’era l’industria tedesca che cercava storie e talenti per produzioni che dessero spazio ai segmenti meno rappresentati della società. Io e Shari ci siamo chieste se noi avessimo potuto in qualche modo costruire questo ponte. Poi, ad uno degli incontri del Network, abbiamo conosciuto una produttrice che come noi sentiva il bisogno di promuovere voci dinamiche, nuove e poco rappresentate nel panorama cinematografico e televisivo in Germania. È così che nel 2018 è nata Unframed, la casa di produzione con cui vogliamo dare vita a progetti che abbiano il potere di generare un cambiamento nella percezione della diversità nella nostra società”.
Parte del programma di proiezioni della Webfest è stato anche Fjer (Piume), il pilota della serie di animazione della regista danese Jeanette Norgaard, premiato e selezionato in numerosi festival internazionali di animazione. Fjer è una bizzarra storia di cambiamento, un fantasy urbano poetico e visionario che unisce arte nordica, anime giapponese e musica elettronica e che esplora il processo di emancipazione e la scoperta della propria sessualità.
Jeanette Norgaard ci dice che da tempo era interessata al concetto di libertà di pensare senza compromessi e che voleva portare in un mondo fantastico il processo interiore di affrancamento dalla manipolazione. Da questo desiderio è nato poi il personaggio di Crane, una giovane donna-uccello che lotta per la sua emancipazione.
Il pilota della serie si apre con Crane che si sta preparando ad una danza rituale di iniziazione. Su di lei, la pressione di Hawker, padre, sovrano e amante: la sua danza deve attrarre il desiderio sessuale del pubblico, ma se il rituale fallisce, pagherà con la propria vita.
Indubbiamente in tempi recenti le emittenti televisive e le piattaforme online stanno producendo serie scritte da donne che scalzano la visione stereotipata della società a cui siamo stati abituati fino ad ora e spesso lo fanno sdoganando con umorismo un tabù che fino a pochi anni fa per qualunque broadcaster sembrava impossibile da superare: il sesso.
Pensiamo fra le tante, a serie come Transparent di Jill Soloway, Insecure di Issa Rae, Vida di Tanya Saracho, Fleabag di Phoebe Waller-Bridge, I love Dick di Jill Soloway e Sarah Gubbins. Queste serie non sarebbero mai state prodotte se l’arrivo di canali online come Vimeo e YouTube non avessero fatto tremare dalle fondamenta tutto il settore dell’intrattenimento cine-televisivo sottraendogli l’esclusività della distribuzione di contenuti. Nel momento in cui i creativi hanno avuto a disposizione uno strumento di distribuzione libero da condizionamenti, il prisma multisfaccettato delle nostre società ha preso luce con tutte le sue sfumature, come ben documenta il libro scritto da Jöel Bassaget con Meredith Burkholder.
A tutto questo e a molto altro si riferisce l’hashtag del Festival #WFBPOWERUP, che dalla parità di genere arriva a simboleggiare un approccio definitivamente inclusivo al settore, sullo schermo, nel lavoro, nelle opportunità e nella vita.
La conclusione di questa recensione avrà luogo nel quarto e ultimo episodio.