Unconventional Berlin Diary: un angolo di Berlino a Cipro Nord
Immaginate la Repubblica di Cipro Nord, nata da un’occupazione militare turca nel 1974 e separata dal resto dell’isola da una Buffer Zone delle Nazioni Unite chiamata Linea Verde.
Dopo aver passato qualche giorno nella Cipro greca, Ivan e io andiamo a Nicosia, dove si trova il Checkpoint che ci consente di attraversare il confine.
Superati i militari armati e il blocco greco-cipriota con la scritta “Nothing is gained without sacrifice, or freedom without blood“, entriamo definitivamente nella parte turca di Cipro e in un’atmosfera diversa, più isolata e aspra.
Una delle prime tappe è Selimiye Camii, nata come Cattedrale di Santa Sofia e in seguito conquistata e trasformata in moschea dagli ottomani nel 1570. Il risultato dell’operazione unisce gli stili architettonici dei due tipi di edificio ed è sicuramente d’effetto, ma non si percepisce una fusione armoniosa delle strutture.
Gli elementi della vecchia chiesa e della nuova moschea, infatti, continuano a esprimere le loro inconciliabili differenze, così come hanno fatto i greco-ciprioti e i turco-ciprioti per decenni, fino allo scontro finale e alla divisione forzata del Paese in due zone contrapposte.
All’interno della moschea, alcuni bambini studiano il Corano. La luce piove letteralmente dalle porte, dalle finestre e persino dalle fessure. Senza scarpe e con il capo coperto ascolto una guida turca dire a un gruppo degli italiani che che gli ottomani hanno rimosso le icone cristiane, ma hanno comunque risparmiato la tomba del vecchio prete. “I turchi sono più tolleranti di altri popoli musulmani” aggiunge.
Dopo aver preso visione di ogni dettaglio esco, ho bisogno d’aria e sono felice di liberarmi dal nylon del foulard, ma il caldo insiste, implacabilmente
Per le strade il sole scotta, a tratti i muezzin modulano le loro preghiere nell’aria incandescente. Le palme sembrano piegarsi a causa del calore, diverse case sono sbrecciate, per il mercato di Lokmacı Caddesi, più nota come Ledra Street, il rumore delle cicale è più alto delle voci dei commercianti, la frutta è colorata e magnifica.
All’interno del Bedesten, a piazza Selimiye, i dervisci replicano la loro danza ogni ora. Dicono di raggiungere uno stato di trance vorticando ripetutamente e cercando di unire con i gesti cielo e terra, mondo terreno e oltretomba. Danzano sulle parole “Vieni, chiunque tu sia. Vieni!”, il messaggio di Mevlana Celaleddin Rumi. Un invito troppo inclusivo per i musulmani più radicali, almeno così mi spiega il maestro dei dervisci, con cui mi fermo a parlare dopo aver assistito alla danza di mezzogiorno.
Il nostro viaggio prosegue per i vicoli di Nicosia Nord. Più ci si allontana dal mercato e più le strade si fanno deserte, anche per via del caldo e dell’ora. Sono circa le 13.00 del pomeriggio ed è fine agosto.
A un tratto mi sento prossima a un colpo di calore e decido di sedermi nel primo bar che incontro. Ci serve un ragazzo molto giovane e molto gentile che capisce solo qualche parola di inglese. Mi faccio portare a strettissimo giro due boccali di birra fredda e me li passo sulle tempie. Ho la gola completamente secca e la testa che pulsa.
Vicino a noi c’è un gruppo di uomini anziani con in mano un Tasbeeh, il “rosario musulmano”, parlano tra loro e a volte lo sgranano. Due turiste passano in silenzio accanto a noi. Si riconoscono subito, in calzoncini, canottiera e abbronzatura irregolare. Somigliano a me.
Restiamo nel bar fino a quando non mi riprendo e dopo una breve visita in un minuscolo negozio di monili riprendiamo a girare per Nicosia Nord, imbattendoci, di tanto in tanto, nelle “zone proibite” a ridosso del confine.
A un tratto vediamo un’indicazione semi-nascosta: “Secret Garden“. Facciamo capolino e ci lasciamo guidare. Scendiamo alcuni gradini di pietra e l’impatto è notevole: intorno a noi il paesaggio è per metà fiabesco, per metà berlinese.
Sfilano davanti ai nostri occhi porte dipinte accanto ad alberi ad alto fusto, panchine sinuosamente contorte e fatte di rami, quadri dai colori vivaci e gusto pop, poster che celebrano la giornata mondiale del cetriolo, murales con sirene, donne con la pelle verde e creature fantastiche e pezzi di manichini posati su botti di gin o appoggiati a alle pareti.
Ci muoviamo in un contesto totalmente diverso da tutto quello che abbiamo visto fino a quel momento.
L’ambiente mi ricorda qualcosa: l’Urban Spree di Berlino. Stessa atmosfera, stesso spirito. Solo che il Giardino Segreto di Cipro Nord è praticamente deserto. Ci sediamo a un tavolo, di fronte a una piccola costruzione abbellita da stelle pendenti, sfere di vimini e carta e un ritratto di Bob Marley. Siamo gli unici clienti.
Un uomo, scalzo, di età approssimativamente compresa tra i quaranta e i cinquanta, siede su un comodo divano, all’aperto. Le casse trasmettono musica electro, soft, vagamente ipnotica. Ci guarda, si alza, arriva da noi. Mi scuso istintivamente per il disturbo, “It’s my job!” sorride.
Su suo consiglio ordiniamo uno Zivania mescolato con succo di fragola e limone ghiacciato. Sembra una granita, ma ha un tasso alcolico potentissimo. È buonissimo, ma dopo appena due bicchieri penso che non sia stata una buona idea aumentare la mia temperatura corporea.
Mi guardo intorno e dico all’uomo: “Questo posto mi ricorda tantissimo Berlino, in Germania!”. Lui mi risponde: “Diverse persone me lo dicono. A me piace molto Berlino, soprattutto Berlino est!” “Ma ci sei mai stato?” “No. Ci sono stati diversi miei amici e me lo hanno raccontato”. Mi parla dell’atmosfera dei quartieri in cui vivo io e non sbaglia, mi parla dell’electro che gli piace, mi dice che solo alcuni locali di Berlino la suonano.
Intanto una mamma gatta, alla testa di tre gattini, sfila davanti a noi e dopo un giretto esplorativo si sdraia, attorniata dalla prole. Per ben due volte altri gatti randagi entrano nel suo spazio, ma lei lei li intercetta rapidamente e li scaccia.
“Abbiamo tantissimi gatti, qui” ci dice l’uomo senza nome e poi aggiunge:”Lei è una grande mamma. Si chiama Matilda, ma la chiamiamo tutti Tilda”.
In effetti i gatti sono numerosissimi, sull’isola di Cipro. A Cipro Nord sono un po’ più patiti, mentre a Cipro Sud sono più fortunati. A Larnaca, per esempio, sono abituati ad avvicinarsi ai ristoranti frequentati dai turisti e a ricevere i loro avanzi. Anche noi li abbiamo nutriti spessissimo, con teste di pesce e persino fegato di manzo.
Lo Zivania ci dà alla testa, ma il caldo per fortuna sta scemando. Chiediamo all’uomo se ci sia un Wi-Fi disponibile. “Sfortunatamente sì” risponde “Questi affari sono una malattia, ormai…” e torna a sedersi sul divano.
Ci sono molte cose che vorrei chiedergli, ma non lo faccio. Non gli chiedo se abbia intenzione di visitare Berlino, un giorno, non gli chiedo se nel suo bellissimo spazio entrino abbastanza persone da permettergli di mantenersi, non gli chiedo che tipo di clienti abbia o come sia la sua vita.
A pensarci bene non gli chiedo neanche come si chiami e probabilmente faccio bene: quello è un giardino segreto e lui è il padrone di quell’angolo di libertà, a due passi dal confine e dai militari armati, dalla zona cuscinetto delle Nazioni Unite e dal disperato pappagallo in gabbia che cerca continuamente di uscire dalle sbarre, in un bar a ridosso del Checkpoint.
L’uomo è totalmente rilassato, sembra non aver bisogno di niente. Non deve essere affatto facile vivere a Cipro Nord, sognando Berlino. Ma lui sembra felice nel suo angolo immaginario e reale al tempo stesso, una Berlino Est che si trova a Cipro Nord, tra la Turchia, la Siria, il Libano e Israele.
Arrivederci, amico. Forse un giorno ci incontreremo all’Urban Spree.
E scoprirò il tuo nome.
Machete
Machete vive a Berlino dal 2013, in modo intelligente dal 2007 e in modo autoanalitico dal 2017.Ama scrivere e girare il mondo e il suo più grande sogno è di poter combinare le due cose, un giorno. Ama anche la musica, il cinema, la letteratura e la serotonina.A otto anni sperava che prima o poi qualcuno avrebbe inventato una pillola contro la morte.Un po’ lo spera ancora.