di Lucia Conti
Sembra impossibile, ma in Europa c’è ancora un Paese diviso da un Muro come lo era la Germania ai tempi del Muro di Berlino: parliamo di Cipro.
L’isola, che geograficamente si trova a sud della Turchia, a ovest del Libano e della Siria e a nord di Israele, è politicamente divisa tra la parte meridionale greco-cipriota, che dal 2004 fa parte dell’Unione Europea, e la parte settentrionale turco-cipriota, in cui si trova l’autoproclamatasi Repubblica Nord di Cipro, non riconosciuta a livello internazionale, se non da Ankara.
Nicosia, che si trova nella parte nord dell’isola, è attraversata dalla cosiddetta Linea Verde, la Buffer Zone delle Nazioni Unite che divide i due territori.
A Nicosia si trova anche il Checkpoint che permette il transito dalla Repubblica di Cipro alla Repubblica Turca di Cipro Nord. Passare da un lato all’altro significa, di fatto, entrare in un altro Paese, con conseguenze anche pratiche che vanno dalla necessità o meno del passaporto, anche per i cittadini europei, a una diversa moneta (euro, oppure lira turca).
In prossimità del Checkpoint di Nicosia tutto parla di una situazione tesa, dal filo spinato ai militari di guardia, ma è soprattutto visitando le due Cipro che si percepisce la netta differenza tra la cultura greca e quella turca, con il loro diverso background linguistico, politico e storico.
Già a partire dagli anni sessanta, tra la comunità greco-cipriota (maggioritaria) e la minoranza turco-cipriota (minoritaria) la tensione era molto alta e pressoché costante.
I due popoli, per quanto etnicamente omogenei e residenti negli stessi territori, erano di fatto distinti e divisi.
Nel 1964 fu necessario addirittura un intervento dei Caschi blu delle Nazioni Unite, per sedare un’escalation di scontri armati ai limiti della guerra civile.
I conflitti che contrapponevano le due comunità, inoltre, riflettevano anche quelli dello scacchiere internazionale che definiva i loro destini e le ambizioni della Grecia, da una parte, e della Turchia, dall’altra.
Lungi dal migliorare, la situazione degenerò e nel 1973 la Guardia Nazionale Greca assaltò il palazzo presidenziale, al fine di annettere l’intera Cipro alla Grecia (Enosis).
La Turchia, a quel punto, reagì intervenendo militarmente e invadendo un terzo dell’isola con un’azione militare nota come “Operazione Attila“. Il nord fu occupato militarmente e circa 180.000 greco-ciprioti vennero cacciati dalle loro case e spinti verso sud, senza contare i morti e le persone scomparse.
Nel 2019, a distanza di 45 anni, Cipro è ancora divisa.
Le vecchie generazioni ricordano ancora molto bene i sanguinosi eventi degli anni settanta e in ogni caso il paesaggio consegna loro, quotidianamente, testimonianze drammaticamente visibili di quanto accaduto.
Se si visita Famagosta, per esempio, nella Cipro sud-orientale, è possibile osservare da un Viewpoint il quartiere di Varosha, una vera e propria città fantasma.
Durante l’occupazione militare turca, infatti, le case di Varosha furono abbandonate in fretta e furia dalle famiglie greco-cipriote che le abitavano e che fuggirono via senza neanche recuperare i loro effetti personali.
La particolarità di Varosha, però, è il fatto che il quartiere sia rimasto, a distanza di 45 anni, ancora inspiegabilmente disabitato, con le sue case vuote e le sue strade deserte, circondato dal filo spinato e dalle torrette di controllo turche, con i cecchini in postazione.
Proprio qui, nel 1996, furono uccisi durante una protesta due ragazzi greco-ciprioti che appartenevano a famiglie evacuate da Famagosta, Anastasios “Tassos” Isaac e Solomos Solomou.
Il primo fu linciato da alcuni membri del movimento estremista e nazionalista turco dei Lupi Grigi, il secondo fu colpito da un proiettile sparato da un militare, mentre si arrampicava su un palo al fine di rimuovere una bandiera turca.
Se le vecchie generazioni ricordano bene i fatti degli anni settanta, molti giovani li hanno invece interiorizzati sviluppando, in molti casi, una vocazione fortemente identitaria, che radicalizza la divisione interna tra le due comunità.
(La morte di Solomos Solomou)
Da più parti si invoca una risoluzione pacifica del conflitto fondata sulla fine dell’occupazione militare e sull’integrazione, anche perché, nel frattempo, si sono avvicendate diverse generazioni che sono di fatto cipriote, oltre che greche o turche.
Finora, però, i tentativi di far prevalere questa soluzione non hanno avuto esito positivo, nonostante i problemi oggettivi nati dalla divisione del Paese siano molti.
Per i greco-ciprioti è molto dura e umiliante osservare tutti i giorni i simboli di un esilio imposto con le armi, mentre l’area turca vive comunque una condizione di isolamento e non riconoscimento e subisce, per questo, sanzioni internazionali.
Oltretutto, nella Repubblica di Cipro Nord, collegamenti aerei e importazione di beni di consumo devono necessariamente passare dalla Turchia.
Eppure non è semplice superare un Muro ben più alto di quello visibile lungo la Linea Verde. Troppo a lungo, infatti, si è trascinato uno scontro pluridecennale, lasciando sul terreno numerose vittime e un profondo trauma nazionale.
(Danza rituale dei Dervisci, a Nicosia, Cipro Nord)
Nonostante questo non mancano, sui “semplici” muri di molte città, e persino accanto al Checkpoint di Nicosia, scritte in greco e in inglese che inneggiano a un’unica Cipro, finalmente libera.
Inevitabile pensare a Berlino, fatte ovviamente le opportune distinzioni.
Nessuna città più della capitale tedesca può infatti ricordare, e quindi comprendere, come sia la vita all’interno di un Paese in cui le famiglie, le strade, i paesaggi e la vita vengono separati con le armi e con i muri. Nessuna città più di Berlino, inoltre, può comprendere quanto i muri siano dannosi molto più di quanto siano utili e fino a che punto ostacolino il benessere collettivo, la pace e quindi la felicità dei popoli.
Molto spesso in questi casi si parla di etica e di giustizia, ma anche l’osservazione pratica delle due diverse realtà, passata e presente, del Muro di Berlino e di quello di Cipro, mostra chiaramente il fallimento di entrambe.
Sono infatti evidenti i limiti di una soluzione ai conflitti che prescinde dall’integrazione e dalla distensione dei rapporti e quindi radicalizza una divisione preesistente, creando le basi per successive degenerazioni e nuovi problemi.
In ultima istanza, quindi, sarebbe non solo giusto, ma anche oggettivamente più semplice, se cadesse anche quello che può essere definito l’ultimo muro d’Europa e se le nuove generazioni dessero vita a un’unica Cipro, libera dagli orrori e dalla violenza del passato.