Giovani italiani all’estero: Storia di chi fugge e di chi resta

Giovani italiani all'estero
Giada Armante e Claudia Cerulo

I giovani italiani e la migrazione sono un binomio che negli anni ha sempre qualificato il rapporto complesso delle nuove generazioni con la loro terra d’origine, ovviamente tenendo conto del cambiamento delle congiunture politiche e sociali.

Al momento, il tasso della disoccupazione in Italia – il secondo più alto della zona euro – è uno dei problemi maggiori e questo sta producendo una nuova ondata di migrazione giovanile verso l’Europa. La Germania, in particolare Berlino, è una delle principali destinazioni.

Ottavio Sellitti, foto di Giada Armante

Le caratteristiche di questa nuova migrazione sono diverse da quelle rilevabili anche solo due decenni fa. Non è solo il bisogno di lavorare a spingere i giovani a lasciare l’Italia, ma anche la prospettiva di riuscire a esprimere altrove qualifiche e competenze che in patria sembrano non trovare sbocchi. Possiamo insomma parlare di una crisi a tutto tondo, che riguarda non solo la crisi occupazionale in senso classico, ma anche l’incapacità di realizzarsi davvero attraverso il lavoro.

Giada Armante (italo-tedesca di Berlino) e Claudia Cerulo (di Napoli) si sono concentrate su storie individuali di giovani italiani sia in Germania che in Italia. Ispirate dal titolo del terzo libro della quadrilogia di Elena Ferrante, hanno intervistato tre persone a Berlino e tre persone a Napoli, per rispondere alle seguenti domande: Perché hanno deciso di partire o di rimanere? In che misura il populismo, che in Italia sembra trovare terreno fertile nella crisi oggettiva dell’occupazione, influisce sulla loro vita? Come percepiscono la situazione attuale in Italia e all’estero?

Francesca Grasso, foto di Giada Armante

ll progetto di Armante e Cerulo – frutto del workshop “Decoding right-wing populism” svolto presso la Europäische Akademie Berlin – racconta la migrazione sud-nord dei giovani cittadini dell’UE in tempi di crisi, argomento che raramente viene discusso in un contesto europeo più ampio.

Giovani italiani: Storia di chi fugge e di chi resta” fa parte di un multimedia feature che è stato pubblicato in inglese. Per quanto riguarda le interviste, noi abbiamo scelto la storia di Giulia, ma potete leggere qui tutti i contenuti del progetto.

La storia di Giulia

Giulia Norberti, 29 anni, è nata e cresciuta in un paese vicino a Torino. Ha studiato Scienze Strategiche all’Università di Torino e ha trascorso un semestre all’estero presso l’Università Artica di Norvegia.
È venuta a Berlino per lavorare con mafianeindanke e.V. nell’ambito del Servizio Volontario Europeo. Si è poi candidata all’Università Humboldt di Berlino per un secondo master in Metodi di ricerca in scienze sociali.

Attualmente vive nella capitale tedesca, dove ha un lavoro part-time presso la Open Knowledge Foundation Deutschland ed è parte integrante di mafianeindanke e.V., su base volontaria.

Giulia Norberti, foto di Giada Armante

Come percepisci la situazione economica e politica complessiva dell’Italia, magari anche rispetto alla Germania o altri Paesi europei?

A casa mia, dove sono cresciuta, al momento la situazione è piuttosto complicata. C’è un clima di generale pessimismo e frustrazione perché i lavori non sono pagati bene, il costo della vita è piuttosto alto e c’è molta incertezza. Inoltre, molti posti di lavoro non offrono sufficienti garanzie, spesso si tratta di contratti a breve termine che vengono rinnovati all’ultimo minuto. Questa situazione influenza molto, credo, lo stato d’animo della gente. La frustrazione aumenta e si ha la sensazione di essere una sorta di vittima del sistema e che non si possa cambiare nulla.

Mentre la sensazione che percepisco qui a Berlino, o a Tromsø, dove ho studiato, è completamente diversa. Così, da giovane, qui e in Norvegia ho sempre avuto questa sensazione: Devo sforzarmi, ma se davvero ci provo e voglio davvero qualcosa posso farcela. È questa è la differenza principale rispetto all’Italia. Questo è quello che penso influisca di più sull’approccio alla vita.

Andrea Costa, foto di Giada Armante

Se hai la sensazione di essere semplicemente indifeso e senza speranza, che nessuno dei tuoi sforzi verrà riconosciuto, allora perderai inevitabilmente la motivazione e ti ritroverai in uno stato d’animo passivo, dove non vuoi più fare niente. Tanti miei amici in Italia, persone con cui sono cresciuta, stanno lottando molto: alcuni di loro hanno cercato di realizzare i loro sogni, ma hanno fallito. Le loro aspettative sono sempre state disattese.
Non solo hanno fallito perché non sono riusciti ad ottenere la posizione o i soldi che volevano, ma soprattutto perché erano così delusi dall’intero sistema e avevano la sensazione di aver sprecato tanto tempo ed energie.

Ora si limitano a dire: “Ok, voglio solo un lavoro qualunque, in ogni caso. Voglio i miei 1000 euro al mese e voglio fare il meno possibile perché non sarò mai in grado di essere soddisfatto dal mercato del lavoro”. Se non hai nemmeno 30 anni e sei già tanto disilluso, se ti senti già così frustrato nei confronti del lavoro, non è davvero un buon inizio, soprattutto perché dovremo lavorare per 30 o 40 anni, molto probabilmente. E, naturalmente, la tua vita non è solo lavoro, ma se il tuo lavoro ti occupa sei-otto ore al giorno, è davvero una parte importante della tua esistenza.

Sara Susta, foto di Giada Armante

Da dove pensi che provengano queste frustrazioni? Sono motivate solo da fattori economici?

Soprattutto dalla condizione economica, ma non solo. Si tratta della realtà che non riesce a rispecchiare le aspettative delle persone. La nostra generazione è stata educata con l’idea che la nostra vita sarebbe stata migliore di quella dei nostri genitori, ma in realtà non è stato così. Non è vero che impegnandoci possiamo raggiungere qualsiasi cosa.

La nostra generazione non è assolutamente pronta ad affrontare una crisi. E questo causa molta frustrazione. La verità è che in alcuni luoghi la situazione è davvero pessima, è impossibile trovare un lavoro decente. Se si ha la fortuna di trovare un lavoro, è spesso mal pagato e con un contratto di sei mesi. C’è un enorme divario da colmare tra le nostre aspettative e la realtà in cui viviamo. È in questo senso di frustrazione facilmente manipolabile che alcuni politici ritrovano la risposta in: “Tutti questi migranti stanno arrivando per ottenere il nostro lavoro e per ottenere benefici dal nostro stato sociale”.

Sempre più giovani altamente qualificati stanno lasciando l’Italia. Come ti senti? Cosa ne pensi? Come si ripercuote sull’Italia? Cosa pensi del “brain drain” di cui tutti parlano?

Penso sia sicuramente un male, per l’Italia, perché il Paese sta investendo soldi nell’istruzione dei giovani, che però vanno via non appena riescono. D’altra parte, credo che sia un aspetto naturale che, se non si ha niente da offrire, la gente se ne vada dove può ottenere qualcosa.

Per quanto possa sentirmi in colpa per non vivere in Italia, contribuendo così all’evoluzione della società, penso anche che tornare e lavorare per una compagnia di assicurazioni, vivendo a casa dei miei genitori, non sarebbe davvero un buon modo per restituire qualcosa . È una questione di valutazione. Le persone cercheranno sempre la propria situazione migliore.