Sedici storie di lavoro nero in gastronomia. Tonio: un professionista da poco città
Jacopo Marghinotti si è già occupato del tema del lavoro nero per “Il Mitte” e da tempo si impegna per promuovere tra gli italiani in Germania una cultura della legalità e dell’autotutela. Con questa rubrica vi presentiamo una serie di storie vere, raccolte tra i nostri concittadini residenti a Berlino. Questo terzo capitolo parla della storia di Tonio.
Tonio appartiene a quella categoria di persone che stanno immediatamente simpatiche. Divertente, sveglio, a pelle direi che è anche un collega straordinario: affidabile, sicuro, autonomo e soprattutto capace di far volare le ore interminabili di un mestiere che sa essere monotono e ripetitivo. Riesce a farlo commentando quello che accade fuori dalla vetrina del locale, facendo delle battute sui clienti – bonarie, s’intende – e tutto questo senza trascurare nessuno dei suoi compiti.
D’altra parte questo è il suo lavoro da tempo: suo padre aprì uno dei bar più frequentati del comune italiano dal quale Tonio proviene, bar che purtroppo, pur essendo in centro, finì per essere tagliato fuori dallo sviluppo urbano della città. In breve venne aperto un centro commerciale poco distante e le linee di traffico della piccola città cambiarono, così come cambiò il destino del bar. L’idea di Tonio sarebbe quindi quella di vendere in Italia per comprare in Germania.
Mentre parliamo, però, si capisce come il suo tormento principale sia piuttosto quello di trovare una casa dove vivere per più di sei mesi di fila, diviso tra l’incubo di non pesare sui suoi attuali ospiti e quello di trovare casa troppo fuori dal Ring.
Tonio ha scelto di fare la sua esperienza all’estero scoccati i quaranta. Berlino non è stata la prima meta. Si è trasferito prima a Vienna, “Stupenda”, dice, poi nella capitale tedesca. Parlando, naturalmente male, dei vari gruppi Facebook di italiani a Berlino fa un paragone interessante con l’Austria. Mentre sui gruppi tedeschi non è raro leggere le offerte di lavoro più strampalate (Cerco personale cucina – no contratto), in Austria esiste l’obbligo di specificare una serie di parametri per ogni offerta di lavoro, a partire dallo stipendio e dall’orario di lavoro. Una misura semplice che aiuta a diminuire la confusione e l’opacità.
Da quando è arrivato a Berlino ha lavorato in due locali, uno tedesco e uno italiano, e mentre scrivo ha trovato lavoro nella caffetteria di in una prestigiosa showroom berlinese.
Ecco alcuni punti salienti dei cinque mesi trascorsi a lavorare in una tranquilla caffetteria di Charlottenburg: ha ricevuto un contratto scritto senza aver bisogno di chiederlo. Non gli chiedo se abbia ricevuto il Nachweis, che per legge diventa superfluo quando il datore stipuli il contratto per iscritto. Gli chiedo cosa mi sappia dire della condizione contrattuale dei suoi (pochi) colleghi. Risponde di non sapere tanto, ma che non ha motivo di dubitare che per gli altri valessero condizioni simili alle sue. Riceveva le ferie che erano calcolate dal suo capo. Lo stipendio coincideva con quello indicato in busta paga, che riceveva puntualmente. Veniva pagato con un bonifico mensile sul conto in banca e quando si è assentato da lavoro per malattia, i giorni di assenza gli sono stati retribuiti.
Da questo caffè è stato infine licenziato per motivi economici: il datore di lavoro, che era molto soddisfatto delle prestazioni di Tonio e del clima che si era creato, ha scelto di licenziarlo in quanto ultimo arrivato, una volta che il lavoro è diminuito. I due si sono lasciati in buoni rapporti, il preavviso di licenziamento è stato di due settimane e il datore di lavoro ha scritto una buona lettera di referenza.
Di quest’esperienza Tonio ricorda la correttezza del datore di lavoro e l’aria un po’ anonima, monotona del posto. Correttezza, quindi, unita a un puntiglio un po’ esagerato e in genere a una scarsa empatia. “Insomma, paga il giusto ma ti tratta come un dipendente”. E di questa mancanza di intesa ne risentiva anche il lavoro. Non essendo completamente soddisfatto, la notizia del licenziamento non è stata una tragedia. Dal punto di vista dei diritti, però, c’è stata la massima trasparenza e si tratta, secondo quanto emerge, di un lavoro in regola.
La seconda esperienza è in un ristorante pizzeria gestito da italiani, nel quale ha lavorato per circa 5 mesi. Qui non ha ricevuto né un Nachweis né un contratto scritto. La cosa, tristemente frequente, è doppiamente grave in quanto Tonio ne ha fatto esplicitamente richiesta al datore di lavoro. Anche le ferie che gli spettavano non sono state pagate. È vero che lui non ne ha fatto precisa richiesta, ma non essendo pagate a nessuno non sarebbe stata una richiesta “normale”.
Anche le buste paga non gli venivano consegnate puntualmente e alcune non le ha mai ricevute. In quelle che ha conservato, l’importo indicato (900 Euro circa) è più basso di quello effettivo (circa 1200 Euro). Nel periodo in cui ha lavorato non si è mai assentato per malattia, ma ha l’impressione che non sarebbe stato pagato o che la sua assenza non sarebbe stata accolta di buon grado dal titolare.
In generale la condizione è molto simile a quella che abbiamo visto negli altri casi, un lavoro in grigio di attività italiane.
Tonio era da poco in Germania quando ha trovato questo lavoro, quindi scoprire da quali fonti abbia appreso quello che sa sul mondo del lavoro in Germania è per me doppiamente importante. Per prime nomino le fonti istituzionali e gli chiedo se le abbia mai sentite nominare: il ComItEs, il patronato Ital-Uil, il sindacato della gastronomia NGG e il FAU. Buio assoluto. Gli chiedo poi se i partiti politici siano stati di qualche aiuto (mi limito al circolo del Partito Democratico e al 5 Stelle, LeU non si era ancora formato, e al collettivo dei Berlin Migrant Strikers), ma anche in questo caso risponde di non aver trovato nei partiti alcuna sponda e comunque di non aver pensato a loro come strutture in grado di aiutarlo. Anche nel suo caso la fonte principale è stata il passaparola, l’esperienza diretta e in una certa misura alcuni articoli de Il Mitte e di Berlino Magazine sul lavoro nero.
Se vi piace il progetto di Riccardo, potete leggere qui anche i primi due capitoli della sua inchiesta sul lavoro nero:1) Sedici storie di lavoro nero in gastronomia: Andrea, la famiglia cambia tutto e altre buone notizie2) “Nella vecchia Trattoria”: ovvero quell’antica filastrocca sul lavoro nero a Berlino, che nessuno canta mai fino alla fine