Le assaggiatrici di Hitler: nel suo ultimo romanzo Rosella Postorino si ispira alla storia di Margot Wölk

di Alessandro Campaiola

È possibile affidare la propria sopravvivenza a un incontro quotidiano con la morte?
Per Rosa Sauer – l’alter ego letterario di Margot Wölk – l’ordinario, drammatico appuntamento si ripete tre volte al giorno, quando assaggia i piatti destinati alla tavola di Hitler.
“Rappresenta la contraddizione in cui ciascun essere umano si trova, la colpa in cui si cade proprio diventando vittime: vivere è sempre scontrarsi con la morte”. Rosella Postorino, scrittrice calabrese, affronta questo tema nel suo ultimo libro, “Le assaggiatrici”, ambientato negli anni in cui il mondo era scosso dal secondo conflitto mondiale.

Candidato nella cinquina finale del prossimo Premio Campiello, “Le assaggiatrici“, edito da Feltrinelli, si muove su una linea sottile, tra il privilegio della protagonista di pranzare tre volte al giorno, contrariamente a chiunque altro in Germania e nel mondo, e la paura che quel pasto possa essere avvelenato e quindi l’ultimo.
Un racconto, quello di Postorino, che si muove nelle stanze più intime dell’animo umano, in bilico tra colpa ed eroismo, sullo sfondo dell’ambiguità del desiderio, temi già cari all’autrice: “I temi della colpa, della vittimizzazione, della violenza, della sopraffazione di un essere umano sull’altro, della coercizione, della gabbia, dei rapporti uomo-donna, della famiglia, dell’emancipazione (colpevole) attraverso il desiderio, dell’ambiguità del desiderio ricorrono in tutti i miei romanzi”.

La vita di Margot Wölk cambiò il giorno in cui si trasferì a Gross-Partsch, un paese nella Prussia Orientale, successivamente a un bombardamento che rase al suolo il suo appartamento a Berlino. Il villaggio sorgeva a pochi chilometri dalla Wolfsschanze, la Tana del Lupo, ossia il bunker in cui Hitler si nascondeva. Il Führer fece prelevare la donna dalle SS per farne l’assaggiatrice delle pietanze destinate alla propria tavola, scongiurando così il rischio di un attentato.

“Sono stata a Gross-Partsch, che adesso si chiama Parcz” spiega Postorino “e ho visitato la Wolfsschanze, girando per le macerie dei bunker con una guida, carpendo aneddoti, fotografando meticolosamente, registrando sul mio cellulare i suoni (diurni e notturni) della foresta in cui la Tana del Lupo era nascosta. Sono andata anche nel quartiere di Margot, a Berlino, per conoscere la sua scuola elementare, la piazza dove giocava da piccola, il palazzo in cui è stata stuprata dai soldati sovietici e ho parlato di lei con la sua dirimpettaia”. Nessun particolare però è emerso circa l’attività di assaggiatrice della Wölk: “Tutto questo non mi è servito a saperne di più sulle assaggiatrici: né la guida, né le biblioteche nei dintorni della Tana del Lupo mi hanno aiutata, e la vicina di Margot mi ha raccontato cose anche molto tenere su di lei, ma mi ha detto anche che dell’esperienza come assaggiatrice, e in generale della guerra, la Wölk non voleva mai parlare. Tutto ciò che riguarda la mensa forzata è dunque frutto di invenzione narrativa”.

Conoscere luoghi e persone che ruotarono attorno alla Wölk era una necessità imprescindibile per l’autrice che – come ci ha raccontato al termine del tour previsto per i finalisti della manifestazione letteraria istituita dagli industriali del Veneto – ha nascosto in alcuni aspetti del carattere di Rosa Sauer tematiche a lei vicine, mescolandole sapientemente con le tracce lasciatele in eredità dalla storia della donna tedesca.

“Rosa ha una formazione cattolica, ma dubita di Dio e con Dio si indigna: credo sia l’aspetto del suo carattere che più mi somiglia. Dare alla protagonista del libro il mio nome è stato un modo per gettarmi a capofitto in un’impresa che mi spaventava molto, per la ricostruzione storica, da un lato, ma soprattutto perché mi pareva difficile raccontare una donna così lontana da me”. Postorino ha quindi aggiunto: “A differenza di Rosa io non ho mai vissuto una guerra, non sono cresciuta sotto una dittatura e soprattutto non sono tedesca. Narrare la storia attraverso la prima persona, in soggettiva, mi è sembrata una bella sfida e affinché la sfida fosse totale ho chiamato la protagonista come me, quasi per rendere più evidente la domanda: che cosa avrei fatto io al posto di Margot Wölk?”.

Una vita, quella di Rosa, così come quella di Margot, che Postorino racconta ponendola di fronte alla possibilità di una via d’uscita che, dice, “c’è sempre, ma ognuna implica costi e sofferenze”. Di fatto, la donna contribuisce attraverso i suoi servigi a tenere in vita il regime, seppur mascherandosi con l’alibi di non scoprirne subito la vera natura. L’ambiguità delle pulsioni umane la tiene in bilico tra la fame che soffre e la possibilità di essere eroe. “La scelta di essere eroi (o martiri) è estrema quanto il suicidio: chiedere a chiunque di comportarsi da eroe è ingiusto. Credo dunque nel movimento, mai nell’immobilità, ma non è detto che il movimento porti alla salvezza”.

Il romanzo di Rosella Postorino, come accennato in apertura, è stato recentemente inserito tra le cinque opere finaliste del prestigioso Premio Campiello, uno dei riconoscimenti letterari più importanti d’Italia. La scrittrice, già editor per la casa editrice Einaudi, potrebbe succedere a Donatella Di Pietrantonio, vincitrice dello scorso anno con “L’Arminuta”. In lizza compare anche Helena Janeczek, neo-vincitrice del Premio Strega. Questo conferma quanto questo sia un momento particolarmente felice per la letteratura al femminile. L’affermazione de “Le assaggiatrici” confermerebbe questa tendenza e contribuirebbe a sollecitare l’attenzione dell’opinione pubblica su un periodo storico di cui non si parla mai abbastanza.